“Zipangu è una isola in levante, ch’è ne l’alto mare 1.500 miglia.” Così Marco Polo, ne Il Milione, definisce quella strana terra, tanto lontana da essere ignota agli occidentali: un Giappone che tre secoli più tardi farà da teatro a un’avventura dove storia e folklore si intrecciano sullo sfondo di un’epoca Sengoku ormai al termine. Sono trascorsi dieci anni, con fasi a singhiozzo che hanno fatto temere per il futuro di Nioh, l’ultima fatica di Team Ninja che vi ruberà ore di sonno a partire dal prossimo 8 febbraio; se vi state chiedendo perché, mentre in Europa imperversa il conflitto anglo-spagnolo, un inglese si spinga fino alle coste del Sol Levante per poi vestire i panni di un samurai, sappiate che si tratta di una domanda più che legittima. Date le tinte fantasy dell’ambientazione, viene naturale pensare che lo stesso William (soprannominato Anjin) sia stato creato solo per soddisfare le esigenze di narrazione, snaturando il contesto così da inserire l’archetipo dell’eroe – pur se vissuto e trasandato.
Dimostrando invece di volere attingere a piene mani a una realtà storica non limitata esclusivamente al dove, gli sviluppatori traggono spunto dal passato anche per il chi: chi è, insomma, il nostro Tom Cruise videoludico? La figura di William, marinaio sotto il comando di Francis Drake in persona durante le battaglie contro l’Invincibile Armada, si ispira al navigatore inglese William Adams, ritenuto il primo britannico ad aver raggiunto il Giappone e divenuto in seguito il consigliere di Ieyasu Tokugawa, nonché uno fra i pochissimi samurai occidentali. Team Ninja ne è stato talmente affascinato da non fornire una personalizzazione per il William virtuale, se non per rifiniture da barbiere – allontanandosi una volta di più dallo stile Dark Souls cui s’ispira per offrire un protagonista dall’identità ben definita.
Non possiamo negare loro la fascinazione per il vero William Adams, poiché documentandoci abbiamo scoperto l’epopea dietro la vita del marinaio britannico, qualcosa che non guasterebbe in un romanzo d’avventura: giunto a Londra appena dodicenne, avrebbe appreso negli anni quelle conoscenze che gli avrebbero in futuro garantito la stima di Tokugawa e spalancato le porte dell’odierno Giappone. Una realtà, quella dell’Estremo Oriente in generale e dei suoi traffici grazie ai quali il Vecchio Continente godeva di ricchezze esotiche, che lo spingerà a trentaquattro anni a unirsi a un gruppo di cinque navi mercantili olandesi note come il nucleo primitivo della ben più conosciuta Compagnia delle Indie Orientali. La Liefde – qui di nuovo realtà e gioco si fondono, poiché il nome è stato mantenuto per la nave di William – sarebbe stata l’unica imbarcazione a raggiungere le coste di Zipangu, gettando l’ancora nella baia del Kyūshū e lasciando l’equipaggio di fronte un contesto storico particolarmente delicato ma anche favorevole per lo stesso Adams: proseguendo l’opera di unificazione dell’arcipelago cominciata da Nobunaga Oda, interrotta con il suo assassinio in quello passato alla storia come l’incidente di Honnō-ji, Ieyasu Tokugawa si dimostra un uomo consapevole della necessità di commerciare con l’estero ma diffidente nei confronti degli stranieri a causa dei missionari cattolici europei.
I loro proseliti minacciavano l’autorità di un potere centrale bisognoso di affermarsi e in questo clima Adams rappresenta una mosca bianca, data la sua fede protestante. Il futuro shogun lo incontra di persona, prendendo le parti sue e del suo equipaggio davanti alle esortazioni dei missionari spagnoli e portoghesi, la cui avversione nei loro confronti aveva radici sostanzialmente religiose, affinché fossero giustiziati con l’accusa di pirateria. Che il destino avesse già iniziato a giocare i propri dadi è evidente da queste fortuite coincidenze, le quali portano il giovane britannico da un’iniziale prigionia a diventare una delle pedine chiave nella decisiva Battaglia di Sekigahara, apogeo degli oltre cent’anni di crisi politica giapponese e punto fermo da cui sarebbe cominciato il Periodo Edo (o Tokugawa): si racconta infatti che i cannoni con cui Ieyasu avrebbe bersagliato le linee nemiche durante tutta la battaglia fossero proprio quelli della Liefde.
Il resto è storia, interessante e di cui consigliamo la lettura ma via via più lontana dal soggetto della nostra recensione. Nioh si ambienta dunque in uno fra i periodi più feroci del Giappone, una pacificazione scritta nel sangue e la cui trattazione si è largamente diffusa tanto in ambito videoludico, con serie come Samurai Warriors o Nobunaga’s Ambition, quanto fumettistico: manga del calibro di Inuyasha e Sengoku Basara muovono i loro passi proprio in quest’epoca. Una menzione particolare poi alla forte influenza che i film del maestro Akira Kurosawa hanno avuto sullo sviluppo soprattutto artistico e d’azione di Nioh. Ne è un valido esempio I Sette Samurai, anche per la presenza di easter eggs fra i tanti inseriti da Team Ninja: i cinefili più attenti non mancheranno di notarlo.
A differenza dell’originale, tuttavia, il William videoludico si imbarca verso Zipangu con il preciso obiettivo di dare la caccia all’antagonista principale di Nioh. Gli sviluppatori non hanno lasciato nulla al caso nemmeno nei confronti di Edward Kelley: sebbene storicamente lui e Adams non si siano mai incontrati, anzi la sua morte occorre qualche anno prima degli eventi in Oriente, Team Ninja ha mantenuto inalterata la sua figura ambigua, di alchimista, medium e glottoteta – lo si può sentir nominare a volte l’enochiano, la lingua degli angeli – nonché i suoi legami con un altro personaggio oscuro alla corte di Elisabetta I, John Dee. Reo di aver rubato a William qualcosa di molto prezioso, Kelley si dirige nelle lande orientali con l’obiettivo di impadronirsi del potere degli Amrita, le potenti pietre-spirito bramate a loro volta da Spagna e Inghilterra per mettere definitivamente in ginocchio la rivale e garantire la propria egemonia sul mondo intero.
Niente di quanto letto sulla fantomatica “terra dell’oro” riesce a preparare William alla realtà dei fatti. A causa della sanguinosa guerra in corso, dell’elevato numero di morti e delle emozioni negative che pare quasi di poter respirare nell’aria, gli Yokai sono apparsi portando ancora più morte e distruzione in una terra già devastata dal conflitto e al protagonista non rimane altra scelta che farsi strada a colpi di spada. Ancora una volta va lodato l’impegno di Team Ninja nell’attingere alle più disparate credenze e superstizioni giapponesi per porci davanti creature da incubo, dalle molteplici forme e dotate di altrettanti poteri. Guardando dunque a una delle mitologie più ricche del mondo e traendo ispirazione per il design da Ehon Hyaku Monogatari, un bestiario pubblicato attorno al 1841 che sta alla base della cultura giapponese in quanto punto di riferimento per l’immaginario moderno associato agli Yokai, il team di sviluppo propone un’ambientazione sfaccettata, dove realtà storica, immaginario e tradizione si fondono in un crescendo di difficoltà che metterà alla prova persino i più rodati.
Nioh è la perfetta fusione di realtà storica, immaginario e tradizione
Questa lunga premessa vuole da un lato sottolineare, come già detto, l’impegno di Team Ninja nella dettagliata ricostruzione del contesto in cui si sviluppa Nioh e di una trama che, assieme ad altri elementi di cui parleremo, lo differenzi dall’essere un mero “soulslike”; dall’altro vuole però togliersi un primo sassolino dalla scarpa, quello per cui la storia manca a volte di una fluidità atta a far capire la situazione fin dai suoi primi momenti. Alcune scene di transizione sembrano non trovare senso, mentre nuovi personaggi sono introdotti ed eliminati dalle scene tanto in fretta che spesso non ci si ricorda di loro nel rivederli. In una situazione dove l’equilibrio delle parti è delicato, con nemici e alleati che si susseguono, attardarsi di più avrebbe forse giovato alla narrazione: visto il genere, è altrettanto vero che la questione non ci ha colto del tutto impreparati e nel complesso, lore e atmosfera suppliscono bene a questo piccolo inciampo.
Detto questo, passiamo agli interrogativi che maggiormente circondavano il gioco negli ultimi mesi. Nioh è un soulslike? Sì. È una copia di Dark Souls? No. Trattandosi del primo vero titolo di alto livello che non porti la firma di Miyazaki o From Software (Lords of the Fallen è stato discreto, mentre Salt and Sanctuary, per quanto migliore, è proprio un altro paio di maniche, trattandosi di una produzione indie), il gioco non soltanto segue perfettamente i dettami gettati da Dark Souls ma ne condivide le basi per poi distaccarsene, aggiungendovi meccaniche proprie in grado di conferirgli una personale caratterizzazione. Soprattutto grazie a un sistema di combattimento dall’approccio unico, che fonde hack’n’slash e strategia per un risultato sempre nuovo a seconda dell’arma impugnata: un sistema che va studiato, capito e padroneggiato se si vuole portare William allo scontro finale senza lanciare il joystick dalla frustrazione dopo l’ennesima guardia spezzata.
Procediamo a piccoli passi. Si possono equipaggiare due armi da mischia a scelta fra katana, doppia katana, lancia, ascia e kusarigama (letteralmente catena-falce), e due armi a distanza che comprendono arco, fucile e schioppo. Nessuna di queste influenzerà il peso complessivo dell’equipaggiamento, demandato appunto solo a quanto decideremo di indossare – un bel sollievo per chi conosce Dark Souls ma non esultate troppo, ciò non lo rende più semplice. Tornando allo scontro corpo a corpo, non esiste alcun tipo di scudo e William potrà maneggiare una sola arma alla volta, ma sarà in grado di assumere tre diverse impugnature: alta, media e bassa. Ciascuna offre un set di mosse e combo differente, migliorabile grazie all’apprendimento di abilità speciali che si sbloccheranno nel proseguo dell’avventura, dunque già a questo punto è possibile comprendere la complessità e la grande varietà del combattimento in Nioh.
Ogni scelta porta con sé vantaggi e svantaggi, da attacchi più lenti e perforanti (di contro, una predisposizione a subire molti danni) con impugnatura alta a fendenti più rapidi e meno efficaci con quella bassa, passando per un bilanciamento delle due se si opta per l’impugnatura media. Trovare il giusto approccio, soprattutto essere in grado di alternarlo – premendo R1 + triangolo, quadrato o croce – è uno degli aspetti più impegnativi e al contempo interessanti di Nioh. Dopotutto stiamo parlando di Team Ninja, il suo livello di sfida è noto dal lontano 2004 quando Ninja Gaiden era considerato uno dei giochi più difficili in circolazione. In una generazione di console dove si è cercato di appagare un pubblico più ampio sacrificando la componente hardcore, gli sviluppatori vogliono con quest’ultimo lavoro tornare alle origini e riprendere le redini di quella che è sempre stata la loro integrità e la loro identità, con buona pace, ammettiamolo, dei nostri nervi.
Come in ogni soulslike che si rispetti, un ruolo fondamentale è ricoperto dalla stamina. Conosciuta in questo caso come il Ki (l’energia “interna” del corpo umano), da essa dipende tutto ma la cosa più importante, e che di nuovo pone l’accento sull’identità che Team Ninja vuole dare al proprio gioco, è la possibilità di rigenerarlo. Dopo aver fatto la nostra mossa, qualunque essa sia, noteremo che una porzione della barra Ki di William si colorerà di bianco e comincerà a riempirsi in fretta: premendo R1 con il giusto tempismo si effettuerà il cosiddetto Ritmo Ki, che permetterà di recuperare tanta stamina quanta era compresa nel segmento bianco, aprendo la possibilità a una serie di attacchi sfiancanti ed evitandoci di rimanere scoperti di fronte all’offensiva nemica. In alternativa, il momento è segnalato anche da una serie di particelle che si raccoglieranno all’altezza dell’addome, tuttavia la concitazione dello scontro rende difficile notarle. Infine, l’esecuzione perfetta di un Ritmo Ki porterà a una Purificazione, ovvero l’annullamento della manifestazione del Regno Yokai spesso usata dagli stessi demoni in battaglia per accrescere la propria forza e limitare quella di William, rallentando notevolmente il ripristino di Ki finché ci si trova nell’area d’effetto.
Veloce, dinamico, spietato. Nioh non lascia spazio a distrazioni
In questa lotta impari contro creature d’incubo non siamo però soli. Gli Spiriti Guardiani veglieranno sul nostro cammino fin dai primi istanti: all’inizio potremo sceglierne uno su un totale di tre, i rimanenti saranno sbloccati a mano a mano che continueremo il nostro viaggio. Al di là dall’essere solo un mero conforto spirituale, rappresentano l’incarnazione delle forze della natura e attraverso il potere delle pietre-spirito possono intervenire in nostro soccorso sotto forma di Armi Viventi: quando la barra Amrita dello Spirito Guardiano è piena, premendo cerchio + triangolo s’innesca l’abilità, che conferisce all’arma in uso il potere elementale dello spirito. Infliggeremo così danni maggiori, causeremo determinate alterazioni di stato e saremo protetti dai danni, ma la barra dell’Arma Vivente si accorcerà se un attacco nemico andrà a segno, perciò è conveniente essere cauti per non perdere subito tutto il potenziale. Premendo gli stessi tasti di cui sopra mentre l’Arma Vivente è attiva potremo innescare l’abilità unica del nostro Spirito Guardiano, consumando tutta l’energia rimanente.
Non mancano poi gli oggetti di supporto. Assegnati alla croce direzionale e divisi in due gruppi alternabili, possono essere lasciati cadere dai nemici, trovati nelle casse, nei bauli, esaminando i cadaveri sul percorso o ancora, in alcuni casi, creati grazie ai Jutsu Ninja e ai Jutsu Magia Onmyo: sbloccabili distribuendo i rispettivi punti abilità, consentono la preparazione di determinati oggetti in grado di conferire potenziamenti o depotenziamenti a seconda della tipologia.
Tutte le implementazioni appena descritte hanno come risultato un sistema di combattimento molto più veloce rispetto a quello cui From Software ci ha abituato. Nioh oltrepassa il punto e vira verso i giochi d’azione più puri proponendosi, se vogliamo usare una descrizione semplice ma ottima quale base di partenza per avvicinarci alla natura di questo gioco, come una via di mezzo fra Dark Souls e Ninja Gaiden in termini che variano dalla complessità al tipo di approccio nei combattimenti. Partendo da fondamenta molto solide, gli sviluppatori hanno saputo portare alla nostra attenzione un risultato notevole, un titolo che gode di una sua unicità, simbolo dei loro sforzi e della volontà di riallacciarsi al passato. Un aspetto, per quanto ci riguarda, promosso a pieni voti.
Abbiamo continuato a ripeterlo senza mai chiarificarlo. Quali sono gli aspetti che invece Nioh condivide, pur con le dovute differenze, con il genere soulslike e la serie di From Software in particolare? Anzitutto l’incremento di livello, che avviene spendendo gli Amrita (l’equivalente delle anime in Dark Souls) nei Santuari Kodama, piccoli templi sparsi lungo i livelli dove fermarsi a pregare e accrescere le proprie caratteristiche di base: corpo, cuore, energia, forza, abilità, destrezza, magia e spirito, ciascuna com’è ovvio volta a influenzare più di una statistica del personaggio. Si possono inoltre fare offerte per ricevere Amrita e, se la quantità o la rarità degli oggetti è soddisfacente, avere in cambio anche delle ricompense; preparare i jutsu da usare in battaglia e impostarli nella croce direzionale; cambiare lo Spirito Guardiano; riscattare oggetti DLC ed evocare dei visitatori in modalità online; infine, uno tra gli aspetti più interessanti, ricevere la Benedizione dei Kodama. Creature benevole a guardia del santuario, a volte si smarriscono finendo col vagare senza meta e toccherà a noi indicare loro la via del ritorno: così facendo non solo otterremo la loro benedizione, differente a seconda del tipo di Kodama, ma in base al numero ricondotto indietro aumenterà anche il numero di Elisir concessi in quella regione. Data l’esigua quantità di base, tre, conviene perderci del tempo.
Ad affiancare e integrare lo sviluppo del personaggio troviamo poi i titoli e la reputazione: strettamente collegati fra loro, consentono di guadagnare punti nelle categorie Agyo e Ungyo, proprio come i guardiani che secondo la tradizione giapponese avrebbero seguito e protetto Gautama Buddha nel suo viaggio. Rappresentative della violenza e della forza latente, ciascuna consente di incrementare in modo permanente un aspetto di William al costo di un solo punto, che si otterrà aumentando la propria reputazione a sua volta dipendente dal conseguimento di titoli in battaglia; possono essere i più svariati, dall’elevato numero di uccisioni con un’arma alla padronanza di un elemento mediante un uso costante e spesso guadagneremo punti senza nemmeno rendercene conto.
Un action RPG hardcore dall’identità precisa e una forte personalità
L’inevitabile similitudine tra i Santuari e i ben noti Falò di Dark Souls pone in essere anche lo sviluppo del level design, concettualmente ispirato all’opera di Miyazaki: ogni livello (ricordiamo che il gioco non presenta una struttura open-world) si dirama in una moltitudine di passaggi e scorciatoie lungo i quali possiamo ritrovare uno di questi santuari per facilitarci il percorso fino al boss finale. Qualitativamente non raggiunge il livello di From Software ma parlando di due giochi strutturalmente diversi in termini di proposizione del mondo di gioco, non si può in nessun modo etichettarlo come difetto. Lo stesso quando, uscendo da una missione e rientrando, si perdono i progressi fatti all’interno: può senza dubbio essere frustrante ma comprensibile, da un certo punto di vista.
La nostra dipartita e conseguente rinascita nel mondo di Nioh sono regolate come in Dark Souls e affini. Liberati delle spoglie mortali, lasceremo a terra gli Amrita ottenuti e non spesi fino a quel momento, custoditi dallo Spirito Guardiano che non verrà in nostro soccorso finché non recuperemo quanto perduto o non lo richiameremo a noi attraverso un oggetto speciale, assieme alle preziose pietre-spirito. Morire di nuovo prima di aver raccolto tutto comporterà un ritorno dello Spirito Guardiano e una perdita di tutti gli Amrita accumulati: un’esperienza per certo familiare a chi si è fatto le ossa con i titoli From Software.
Sempre in ambito soulslike possiamo, come accennato, evocare altri giocatori nella nostra partita attraverso l’uso di una Tazza Ochoko, oggetto piuttosto comune lasciato cadere dai nemici e che rimarrà attivo fino a quando qualcuno non si unirà alla nostra partita o noi non cadremo sul campo; vi è poi una libera gestione dell’equipaggiamento che rende ininfluente la mancanza della divisione in classi come invece la troviamo in Dark Souls, anche perché in un gioco basato prettamente sul corpo a corpo sarebbe stato un inserimento piuttosto superfluo. Oltre all’armatura, si possono aggiungere due accessori di vario tipo.
La curva di difficoltà delle missioni principali è molto ben sopperita dalla moltitudine di missioni secondarie proposte per ogni regione: tendenzialmente sviluppate nello stesso scenario già visitato proseguendo con la storia, ma con delle varianti a rappresentare esercizi di level design sfiziosi, ognuna propone un obiettivo sempre differente e in genere anche ben contestualizzato. A queste si affiancano poi le Missioni Crepuscolo, una variante più impegnativa delle quest principali (come se non lo fossero già abbastanza) dove la presenza umana cederà il passo a quella demoniaca, costringendoci a una rivalutazione del nostro approccio, e il bottino acquisito sarà migliore; un meccanismo forse inviso da alcuni riguarda proprio l’accessibilità a queste missioni, regolata totalmente dal sistema che ne proporrà due diverse ogni giorno alle quali il giocatore potrà accedere soltanto dopo averle sbloccate completando l’originale. Considerata la longevità del gioco che si attesta almeno sulle 70 ore, è un aspetto del quale ci si accorge a malapena avendo già parecchio da coprire di base.
Spendiamo infine qualche parola per l’aspetto visivo del gioco, quello più altalenante. Laddove il design dei mostri è curato fin nei minimi dettagli per una riproposizione fedele dell’immaginario folkloristico giapponese, quello dei nemici umani e di molti elementi delle mappe di gioco, un po’ povere a livello di dettaglio rispetto a quanto avrebbero potuto offrire, scivola verso il basso minando una direzione artistica che – sempre in termini di comparazioni – ha ancora molto da invidiare a un titolo come Bloodborne. Visto il lungo processo produttivo di Nioh, un progetto nato a cavallo fra diverse generazioni, simili limitazioni grafiche possono essere figlie di tali circostanze, con conseguenti risultati un po’ datati sotto alcuni aspetti: si veda ad esempio l’esplorazione, inficiata dalla decisione di impedire a William di saltare e per questo interamente basata su un gioco di percorsi nascosti, scale e scorciatoie a volte frustrante.
Per lasciare agli utenti piena libertà su come fruire l’esperienza di Nioh, gli sviluppatori hanno inserito tre diverse modalità di visualizzazione: risoluzione dinamica con sessanta frame al secondo, risoluzione fissa con trenta frame al secondo o in alternativa risoluzione fissa con frame rate variabile. Di tutte, quest’ultima si rivela essere la peggiore, favorendo in tal modo la superiorità della prima anche sulla modalità Cinema (risoluzione fissa), per la quale non vale la pena sacrificare il frame rate vista la qualità non proprio eccelsa del motore grafico. Nell’insieme va comunque apprezzata la filosofia seguita da Team Ninja. Ci sarebbero ancora diversi aspetti di cui ci piacerebbe parlare ma è tempo di tirare le somme e lasciare a voi il compito di scoprire cosa il gioco ha in serbo.
Non era facile, in un panorama dominato da From Software, sviluppare un gioco che a colpo sicuro non venisse bollato come clone delle opere di Miyazaki. Nioh ci è riuscito, mostrandosi come un titolo coraggioso e convincente, consapevole di dove vuole arrivare e soprattutto di dove vuole portare i giocatori, capace di sopperire ad alcune carenze focalizzando l’attenzione su un sistema di combattimento, e di gameplay in generale, assolutamente pregevole. Storicamente molto accurato e interessante per l’uso dei personaggi di William e Kelley, presenta un approfondimento folkloristico notevole che concorre ad arricchirlo e per il quale sarà necessario combattere, se si vorranno guadagnare tutte le informazioni del bestiario. Allo stesso modo, i protagonisti umani – nel bene come nel male – della fine di un’epoca godono di descrizioni esaustive che fanno luce su figure spesso mitizzate e forse mai conosciute davvero. Un titolo difficile ma gratificante, capace di ripagare l’impegno dell’utente. Un’opera grazie alla quale rivisitare in chiave molto più cupa, quasi soffocante, uno dei periodi più sfruttati della storia giapponese, soprattutto l’occasione per Team Ninja di lasciarsi alle spalle i loro anni bui per tornare a fare quello che sanno fare meglio: metterci alla prova. Nioh è, lo vogliamo ripetere, un gioco dall’identità precisa a dalla personalità ancora più marcata, che lascerà il proprio segno in una realtà finora esclusiva From Software. Se vi appassiona il genere e siete amanti delle sfide, vi aspettano ore e ore dove affilare la lama. |