Oure

Oure – Recensione

Annunciata nel corso della Paris Games Week 2017, Oure è un’avventura per PS4 (in arrivo anche su PC) intrisa di delicatezza e poesia, una di quelle che strizza l’occhiolino a giochi come Journey e ABZÛ che tanto ci hanno emozionato. Ma… già, c’è un “ma”. Non basta infatti una splendida colonna sonora e una peculiare visione artistica per lasciare il segno: serve un’alchimia di fattori ed elementi estremamente difficile da trovare, e soprattutto, serve un messaggio, che ad Oure, però, sembra mancare. O per meglio dire, c’è, ma è talmente evidente e banale da sminuirne tutta la potenza poetica. Metteteci anche una continua alternanza di momenti di noia pura ad alcuni più ritmati ma a tratti frustranti, e tutte le buone impressioni che la presentazione ci aveva lasciano spariscono inevitabilmente in un soffio.

La storia raccontata da Heavy Spectrum ci vede indossare i panni di un bambino circondato da un mondo in rovina e avvolto dalle tenebre, i cui fervidi e strani sogni spingono i genitori ad un’ultima ratio: provare a risvegliare lo spirito di otto imponenti Titani, un tempo difensori di quello stesso mondo, ora decadente. Gli strani sogni sono solo l’anticamera di qualcosa più grande.

Oure

Il protagonista può infatti trasformarsi in un drago e svolazzare in completa libertà su un vasto mare di nuvole, su cui galleggiano torri e strutture custodi di misteriosi collezionabili, ma soprattutto sfere di vario genere, da quelle standard a quelle in grado di potenziare la resistenza del personaggio, necessaria per muoversi più velocemente entro un breve periodo di tempo, o le facoltà del suo “radar” con cui può individuare l’obiettivo successivo, ma anche le varie tipologie di sfere sparse qua e là (a partire dalle 750 di base). Disseminati per la mappa di Oure, letteralmente una porzione di cielo, sono presenti dei “segnalatori” presso i quali, immolando un certo numero di sfere raccolte, il giocatore attiva dei fasci di luce che attirano i succitati titani, dando il via a delle particolari boss fight che richiedono di risolvere enigmi via via più complessi (i quali prevedono di connettere tra loro dei punti utilizzando un certo limite massimo di mosse) associati a dei cristalli presenti sul corpo mastodontico di queste creature fluttuanti, ma anche di capire come riuscire a raggiungere i cristalli in questione: non basta solamente svolazzargli nei paraggi, in quanto ognuno di loro si difende come può, lanciando sfere di fuoco, generando un flusso di aria che ci spinge all’indietro, o ruotando, con l’obiettivo di farci cadere mentre, in forma umana, cammineremo sui loro giganteschi dorsi. Una struttura che non può che ricordare una pietra miliare del calibro di Shadow of The Colossus, ma in questo ardito confronto, Oure ne esce inevitabilmente con le ossa rotte: quegli epici duelli sono infatti un triste ricordo, qui sostituiti da miseri enigmi via via più complessi, ma anche più simili tra loro (alcuni hanno una struttura speculare, e di conseguenza anche la soluzione).

Oure

In comune, quello sì, hanno i tremendi problemi legati alla telecamera, ma in Oure arriva in alcuni frangenti a causare il mal di mare (o almeno quando, incredibile a dirsi, segue il frenetico serpeggiare del protagonista), sempre che non sia troppo impegnata a nascondere l’azione e a farci perdere tempo prezioso. Per non parlare della frustrazione generata dal trial & error forzato presente in alcune boss fight, della difficile lettura delle azioni da compiere per avanzare nello scontro o dei movimenti poco precisi del protagonista (data la sua natura). Problemi riscontrabili anche nelle lisergiche sequenze esplorative, tra lo sfondo deliberatamente sfocato, fonte di non pochi fastidi, e la genuina difficoltà di attraversare un banco di nubi alla ricerca del prossimo segnalatore (da attivare rigorosamente secondo l’ordine stabilito dal team, a discapito di una giustificabile libertà d’azione). Suggestive e cariche di atmosfera, complice il delizioso comparto artistico (seppur grezzo) con i suoi colori saturi in cui a farla da padrone sono il bianco e l’azzurro e la sublime colonna sonora, risulterebbero anche rilassanti, se non fosse per quei fastidiosi problemi menzionati qualche riga più in alto. Inutile stare quindi a scomodare un’altra pietra miliare di questa “corrente” (più che “genere”) come Flower, in quanto, di nuovo, Oure non ne uscirebbe di certo vincitore in un ipotetico confronto.

Oure è delicato, bello da vedere, ma di wannabe-Journey ne è pieno il mondo

Conclusioni

Oure è delicato, bello da vedere e accompagnato da una colonna sonora incantevole, ma di wannabe-Journey ne è pieno il mondo e senza un messaggio potente o della sostanza, il disastro è dietro l’angolo. L’inconcludente e banale finale è solo la punta dell’iceberg di un titolo problematico anche e soprattutto nella sua componente puramente ludica: quando Oure sembra finalmente premere il pedale dell’acceleratore e offrire una minima sostanza all’esperienza, finisce infatti con il rovinare tutto per colpa di problemi legati alla telecamera, ai movimenti del protagonista (sia in forma di drago che umana), e a una povertà di intuizioni che il più delle volte sfociano nella frustrazione. Il gran numero di collezionabili e di segreti, unito alla modalità Difficile e al New Game Plus, va tutto a beneficio della rigiocabilità, ma il problema sta nel trovare prima il coraggio di accettare, insieme alle buone idee che Oure offre (almeno sulla carta), una mole di compromessi non indifferenti.

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