Volenti o nolenti, il 2016 verrà ricordato come “L’anno della VR”. L’anno in cui vennero immesse sul mercato le prime, pionieristiche periferiche, il cui scopo principale era (sarà) quello di avvicinare il pubblico a questa “Realtà Virtuale” tanto decantata, bistrattata, immaginata nel corso degli ultimi decenni in decine di opere cinematografiche e letterarie come la rivoluzione, ma anche come la definitiva croce posta sul concetto di “socializzazione”. Oscuri presagi a parte, concentriamoci un momento sul presente e l’immediato futuro: il Rift di Oculus VR e il Vive di HTC sono già arrivati nelle case dei primi utenti che scommisero su di loro (con Kickstarter) alcuni anni or sono, e sono in procinto di giungere sugli scaffali (virtuali e non) di alcune catene di negozi americane, ma a prezzi e requisiti (in termini di PC e persino di spazio, nel caso del Vive), francamente, non proprio concorrenziali.
C’è però un altro concorrente, in realtà loro alleato in questa grande battaglia allo scetticismo di stampa e pubblico, che si è preso qualche mese extra per schierare in campo la sua artiglieria, non prima però di aver mostrato le sue carte e stuzzicato l’interesse degli utenti console (nello specifico, PS4), decisamente meno smaliziati e “smanettoni” rispetto ai colleghi PC-muniti: con 230 sviluppatori al lavoro su IP dedicate e con un prezzo decisamente più abbordabile per oltre 35 milioni di potenziali acquirenti (399€, più altrettanti per l’eventuale console, per chi ne fosse sprovvisto di PS4, contro i quasi 2000€ per un Vive – 899€ del solo visore, oltre ad un PC in grado di supportarlo), PlayStation VR, questo il nome della periferica, punta ad offrire un’esperienza ugualmente immersiva e coinvolgente anche su console.
Sony ha da subito dimostrato il suo interesse in questa nuova tecnologia, o per certi versi “filosofia”, e ci ha dato l’opportunità di provare con mano nei suoi uffici di Roma una versione pressoché definitiva del suo visore, con lo scopo di testarlo in un ambiente più rilassato e tranquillo, lontano dal trambusto e dai ritmi sfiancanti di E3 e GamesCom, ma anche di vedere a che punto sono i lavori sulla line-up di lancio, fondamentale tanto quanto la qualità del visore stesso per decretarne il successo, o comunque un debutto impattante e significativo. Speravamo di poter metter mano (e testa) agli esperimenti più curiosi (RIGS e Rez Infinite su tutti), ma nonostante alcune “facce” già conosciute in passato, non possiamo che ritenerci soddisfatti dalla manciata di giochi provati, ognuno pensato con un preciso target in mente.
Del resto, allo stato attuale, basta oggettivamente poco per restare, letteralmente, a bocca aperta: lungi dall’essere una tecnologia ormai assodata e scontata, ogni contatto di sfuggita con la Realtà Virtuale rappresenta un bagno di stupore, e PlayStation VR non è stato per nulla da meno. Abbiamo vissuto una sparatoria in autostrada (e giocherellato con gli interni di un veicolo), fatto un tuffo negli abissi oceanici, smitragliato carri armati, droni e torrette, e persino fatto un giro su una vera giostra del terrore, ed ogni singolo momento “lì dentro” si è rivelato un qualcosa di unico, intenso, sorprendente. È davvero difficile rendere con precisione quelle sensazioni, e delle semplici parole (o un video condito da reazioni, grida e salti dalla sedia) non rendono minimamente giustizia a quel “trucchetto” adottato da PlayStation VR (e soci) per illuderci di trovarci dentro un abitacolo, per spingerci a premere, come degli “scemi” (in senso buono), dei pedali che oltre a non esistere, neanche hanno uno scopo effettivo nel gioco (ad accelerare e farci muovere ci penseranno il DualShock 4 o i controller PlayStation Move). Ruotare la testa per gustarsi ogni dettaglio e stamparsi un sorriso sulla bocca, afferrare l’aria convinti di poter attivare una leva, abbassarsi per evitare una trave, il tutto comodamente seduti (o in piedi) di fronte ad un monitor: la Realtà Virtuale è un incantesimo che toglie ogni filtro di serietà e compostezza, e ci abbandona ai nostri istinti. Ce lo ha ricordato questa nuova prova con mano in un contesto il più possibile simile ad un salotto di casa.
C’è però un altro concorrente, in realtà loro alleato in questa grande battaglia allo scetticismo di stampa e pubblico
Parte del merito di una immersione così efficace va senza dubbio al visore stesso: è impossibile non sentirne il peso, ma è indubbiamente comodo e leggero, imbottito al punto giusto (dietro la nuca e sulla fronte), e salvo qualche lieve fastidio sul naso, qualche “appannatura” improvvisa e la per ora inevitabile presenza di un cavo (che rischia di intralciare alcuni movimenti, oltre a ricordarci di avere qualcosa indosso), non abbiamo riscontrato particolari fastidi, segnacci o arrossamenti in volto di sorta. Inoltre, si indossa con estrema semplicità: c’è un tasto sul retro che permette di adattarlo alla dimensione della propria testa, mentre con un pulsante sulla parte frontale, è possibile spostare in avanti e indietro, oltre che in alto e in basso, l’alloggio delle lenti, così da poter regolare PlayStation VR al meglio, tanto per un fatto di comodità, quanto, soprattutto, per mettere a fuoco l’immagine, fattore fondamentale. A proposito, ne approfittiamo per darvi un consiglio prezioso: converrà spendere anche qualche secondo extra prima di iniziare a giocare per la regolazione ottimale del visore, al fine di godere di un’esperienza al massimo delle sue potenzialità ed evitare disturbi di vario genere. Il refresh dell’immagine ci ha evitato sussulti e problemi di stomaco, e, altro fattore positivo, l’immagine stessa dei giochi testati ci è parsa molto più pulita rispetto alle build del passato, ora più ricche di dettagli ed effetti (quasi del tutto assenti alcuni mesi fa) che contribuiscono senza alcun dubbio all’immersione generale. Soprattutto all’inizio non aspettatevi esagerate complessità poligonali al pari di Oculus e Vive, in quanto i titoli VR richiedono il doppio delle risorse di un comune gioco e una fluidità rocciosa – rivelatasi tale nel corso della prova, priva di incertezze -, ma è un dettaglio che scenderà inevitabilmente in secondo piano, tra un cassetto da aprire e uno squalo che ci gironzola attorno.
Ma ora veniamo ai singoli giochi. Ve lo diciamo da subito: non si tratta di esperienze significative da un punto di vista ludico, né particolarmente appaganti per gli hardcore gamer o brillanti dal punto di vista tecnico: tali elementi speriamo di trovarli in quel di Los Angeles o di Colonia, ovvero nelle fiere dove Sony dovrà sparare tutte le (altre) sue cartucce. Tolta la lente d’ingrandimento, le sensazioni provate con PlayStation VR in testa sono state comunque, e in positivo, fuori dal comune.
The London Heist
Parte della raccolta PlayStation VR Worlds (compilation di tech demo, volgarmente, il “Wii Sports” di PS VR), lo avevamo già provato all’E3, ma era ancora in fase embrionale. La nuova build ci è parsa molto più pulita e performante: qualitativamente non è ancora ai livelli del trailer mostrato durante la GDC 2016, ma sia l’interno del veicolo che l’ambientazione, un’autostrada assolata, si sono rivelate più ricche di dettagli e con texture decisamente meno spoglie. Dal punto di vista ludico, l’esperienza è rimasta identica: una valigia piena di caricatori, un uzi, e un nerboruto compare intento a guidare, mentre il giocatore dovrà preoccuparsi di smitragliare per bene, impugnando i Move, un’orda di nemici alla guida di moto e SUV.
Potremo mirare direttamente a loro, oppure alle ruote (più semplici da colpire, colpa forse di una certa imprecisione dei proiettili tutta da sistemare), e prima che la situazione diventi rovente, divertirci a toccare manopole, cassetti e lattine. I movimenti non sempre risultano fluidi e precisi, e le animazioni delle mani (ma anche dei nemici) appaiono grezze e in certi casi forzate, mentre l’esperienza di gioco, almeno da questo breve frammento, appare molto semplice e banale, trattandosi di un mero shooter su binari senza arte né parte, ma l’altra parte di demo dedicata ad un interrogatorio (in quest’occasione purtroppo assente) lascia presagire quantomeno uno straccio di trama e la presenza di alcuni momenti più riflessivi. Sia chiaro, difficilmente ci troveremo al cospetto di un capolavoro pulp, ma come antipasto di quello che verrà non sembra poi tanto male.
Battlezone
Titolo dalla natura lievemente più hardcore (come testimoniato dai controlli a base di DualShock 4), remake dell’omonimo titolo per Atari uscito nel 1980, mantiene la grafica vettoriale di un tempo e le dona colore, vita e magia, ma mantiene anche la visuale in prima persona e in parte anche i movimenti rigidi e meccanici, maggiormente incentrato com’è più che sul movimento, sul mirare e il far fuoco su numerosi obiettivi. Un breve tutorial permette di prendere confidenza con le due armi a disposizione della demo (un mitragliatore e un cannone), così come con l’interno dell’abitacolo, ricco di dettagli inutili ma dannatamente immersivi (dai pedali alle leve), finestra sul mondo del giocatore.
Una sbirciata dal finestrino e via di contrattacco a bordo del nostro possente carro armato alle forze della malvagia Rotberg Corporation, che tiene sotto scacco l’umanità. Nel breve livello, per nulla libero da esplorare ma coloratissimo e maestoso, con i suoi alti palazzi e le loro cime da ammirare a rischio e pericolo del proprio collo, abbiamo affrontato un buon numero di nemici, suddivisi in varie unità: carri armati nostri simili, torrette antiaeree, entità simili ad uccelli e droni, tutti da tenere sotto controllo con il fido radar posizionato davanti a noi nell’abitacolo virtuale. I controlli vanno impartiti via DualShock 4, mira inclusa, e pur non vedendo il controller, ci è venuto spontaneo e naturale giocare, senza alcuna incertezza di sorta: il grosso dell’esperienza è infatti affidato all’head tracking di PlayStation VR, che offre quella marcia in più proprio negli shooter, perfetto com’è per monitorare i movimenti dei nemici, in particolare quelli volanti. Le prime, buonissime, impressioni risalenti all’E3 sono state confermate: Battlezone è veloce, divertente ed immediato, e trascina il giocatore dritto in un letale cingolato col quale spargere distruzione in varie location (inclusa una “glaciale” di cui abbiamo potuto solo ammirare alcuni frammenti).
Until Dawn: Rush of Blood
A colpire positivamente chi vi scrive è stato senza dubbio Until Dawn: Rush of Blood. Sia chiaro, nulla di leggendario o particolarmente rivoluzionario, profondo o appagante dal punto di vista ludico, ma è stato perfettamente in grado di suscitare un genuino terrore con le sue atmosfere macabre, i suoi jumpscare calibrati al millesimo, il suo feeling malato e morboso. È legato a doppio filo con l’Until Dawn originale, ma agli antipodi in termini di gameplay, trattandosi di uno shooter su binari i cui unici “bivi” vengono attivati sparando ad una freccia posta poco prima delle biforcazioni disseminate lungo il percorso… che però conducono ad una stessa, agghiacciante meta: prima l’incontro/scontro con il folle spirito di una malvagia infermiera dai movimenti rapidissimi, e in seguito quello con una certa conoscenza di chi ha giocato il titolo di Supermassive Games.
Rush of Blood pone letteralmente il giocatore a bordo di un cigolante carrellino, e lo spedisce dritto dritto in una magione abbandonata stracolma di bersagli da colpire (per accumulare punti) a suon di proiettili, associati ad entrambe le mani (che impugnano due controller move). La ricarica avviene con un colpo deciso verso l’alto, mentre i sensori di movimento di PlayStation VR tornano utili per chinarsi quando sul percorso finiscono travi indistruttibili. Il resto della breve demo è costellato da barili infiammabili da far esplodere, casse contenenti armi più potenti da sfruttare per un breve lasso di tempo (come fucili a pompa o mitragliatori), e decine di nemici armati di molotov e affamati di sangue (ma oggettivamente non troppo intelligenti), da colpire mentre lanciano bottiglie altamente infiammabili o mentre tentano di afferrarci. Sono però i momenti di silenzio e più calmi, in piena tradizione horror, a suscitare le emozioni più disparate (almeno per quei giocatori particolarmente predisposti alla strizza come il sottoscritto, ndr): inquietudine, paura, scatti in preda al panico, e ricariche forsennate di caricatori che, con un nemico a qualche centimetro dalla faccia (sensazione sapientemente resa dal visore), sembrano sempre contenere troppi pochi proiettili. Perché si è spenta la luce? Cos’è questo rumore? Cosa diavolo è quella cosa? Il giro sulle montagne russe è stato diabolicamente piacevole, e ludicamente più divertente dello stesso London Heist (il rischio banalità e noia dopo qualche mezz’ora di gioco, con entrambi, è però ancora molto alto), per via di controlli più precisi (lungi però dalla perfezione), e un level design ispirato, caratterizzato da stanze illuminate dalla sola luce delle torce presenti nelle nostre armi, da ammirare in ogni sua sfumatura durante salite e discese grazie ai sensori del visore.