Nella lontana e torrida estate del 1972 un venticinquenne di nome Stephen King gettò uno scarno plico di fogli nel cestino di casa e ci bevve sopra una bella birra ghiacciata. La moglie Tabitha ripescò quell’ammasso di carta scribacchiata e ne lesse qualche stralcio: tanto bastò ad appassionarla e convincere Stephen a lavorarci ancora un po’, per poi proporlo come romanzo ad una o più case editrici nel tentativo (apparentemente disperato) di ricavarci qualcosa.
Il giovane, che al secolo lavorava in una lavanderia industriale, accettò il consiglio e intitolò il romanzo Carrie. Due anni dopo la casa editrice Doubleday acquistò l’opera per 2500 dollari: mentre l’edizione rilegata vendette “solo” 13000 copie, quella economica (i cui diritti vennero venduti per 400.000 dollari) superò abbondantemente il milione. Sbocciava così la carriera di uno scrittore immenso, nonché – ci tengo a specificarlo – uno tra i pochissimi ad abitare l’Olimpo letterario ideale del sottoscritto.
La storia è di quelle toste (i problemi con la censura non tardarono a presentarsi), profonde, toccanti nel senso più completo del termine. Coraggioso fin dalla scelta della protagonista (una ragazzina goffa ed impacciata), Carrie, ha ispirato il genio di artisti di ogni tipo ed ambito, il che ci porta a considerare il primo – storico – adattamento cinematografico siglato Brian De Palma.
Il film è del 1976, e senza stravolgere gli eventi e le linee guida del romanzo riesce ad inscenare un dramma horror destinato ad imprimersi indelebilmente tra i cult assoluti del genere (e non solo). “Freddo” eppure appassionato, angosciante, opprimente, impietoso, ottimamente realizzato e recitato (la figura della madre fanatica si avvicina allo stato dell’arte)… insomma, un capolavoro.
Nel cast anche un impeccabile John Travolta e l’intensa Sissy Spacek nel ruolo della protagonista.
Senza scendere nei dettagli per evitare ogni spoiler, sappiate che la pellicola resta tra le imprescindibili per ogni cinefilo degno di tale nome. Questo di De Palma, però, non è l’unico adattamento dell’opera di King, anzi, ne spuntarono qua e là come fiori senza riuscire ad eguagliarne – però – la qualità.
Arriviamo così ad oggi, precisamente all’ultimo di questi remake: Carrie – Lo Sguardo di Satana, regia di Kimberly Peirce.
In qualità di amante del buon Cinema, della letteratura e dell’horror in ogni sua declinazione mi esprimerò senza mezzi termini: il film vale poco o nulla, “suona” più come un edulcorato adattamento per la tv che come qualunque altra cosa pretenda di essere.
Di certo non è il degno erede della pellicola di De Palma, tanto per farla breve.
Non saprei nemmeno da dove cominciare per evidenziare i difetti più evidenti, palesi. La recitazione, ad esempio: Sissy Spacek seppe trasformarsi in una furia vendicatrice dagli occhi di ghiaccio, Chloe Moretz invece sembra partorita da un teen movie dei più beceri, nessuna sofferenza o angoscia, non un briciolo di pathos, niente di niente, calma piatta. Dov’è finita l’opprimente “presenza” e simbologia pseudo-religiosa? Che fine ha fatto la glaciale indifferenza della madre nei confronti della figlia in difficoltà? Il sincero stupore di una ragazzina che scopre di poter incanalare (ma non del tutto controllare) la rabbia in fenomeni ai limiti del soprannaturale? Manca tutto, del libro come del primo film.
Anche preso a sé, senza tentare di fare gli inevitabili confronti, il film della Peirce gronda acqua (e non sangue) da tutte le parti.
Provare per credere (ma anche no e risparmiare il denaro per un film più meritevole).
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A noi ricorda…
Aliens: Colonial Marines: adesso vi chiederete quale analogia possa esserci fra l’ultima fatica di Gearbox Software gli attacchi telecinetici e le ansie della giovane Carrie White… ve lo dico immediatamente: anche in questo caso abbiamo un capostipite inattaccabile (Alien, regia di Ridley Scott, datato 1979) e la conseguente occasione – brutalmente sprecata – di trarne ispirazione per realizzare qualcosa di nuovo, fresco, originale pur senza snaturarne l’essenza. Le premesse per trovarsi fra le mani una perla horror c’erano tutte, ma quella che ci ha “consegnato” SEGA… beh, una perla non era!
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Settimana prossima, all’alba di Febbraio, una “retrospettiva” sui pochi film meritevoli dell’anno appena trascorso (nella foto Spring Breakers, di Harmony Korine). Grazie per l’attenzione, vi aspetto! …Popcorn Time è anche su Facebook
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