Un’opera si costruisce dalle fondamenta a prescindere dall’ambito in cui nasce, e quello cinematografico non fa certo eccezione. Più le fondamenta sono fini e delicate più l’impresa di creare qualcosa di solido si fa complessa. Faccio questa premessa per introdurre il film che recensirò brevemente oggi: Le Due Vie del Destino, aka The Railway Man.
L’intero impianto narrativo poggia su tematiche che definire delicate sarebbe eufemistico, mi riferisco agli orrori (tragicamente noti e documentati su qualunque libro di storia) patiti dall’uomo nel corso di ogni singolo conflitto che ha scosso il pianeta fin dall’alba dei tempi. In questo caso si fa riferimento al secondo conflitto mondiale, di cui il protagonista – Eric Lomax, un ispirato Colin Firth – è veterano.
La pellicola si ispira al romanzo autobiografico dello stesso Lomax, realmente esistito e morto nell’ottobre del 2012 all’invidiabile età di 93 anni.
Ogni opera storica che si rispetti ha bisogno di una cornice in cui svilupparsi, un vaso in cui crescere, e – come tradizione vuole – non esiste dramma a sfondo bellico senza una storia d’amore. Al cinema, almeno.
Ecco quindi scendere in campo Nicole Kidman, veterana non di guerra ma di capolavori memorabili autografati dai migliori directors e autori.
Anni ed anni dopo la fine della guerra tra lei e Firth, o meglio , tra Eric e Patti nasce una passione intensa e bruciante, la storia che tutti vorrebbero poter raccontare ai nipoti, un giorno… ma qualcosa non va.
Ci sono fantasmi, spettri così spaventosi nascosti nei recessi dell’animo umano che nemmeno l’amore più puro può scacciare. Inizialmente tutto può sembrare perfetto, idilliaco, ma un uomo con la sensibilità di Lomax non può semplicemente cancellare dal proprio subconscio un orrore così grande da oscurare il sole, la luna, la felicità e – forse – persino Patti. Persino la più immensa delle gioie.
Sapientemente orchestrato su piani temporali, geografici ed emotivi completamente diversi questo film riesce a porre la più complessa delle domande con una semplicità disarmante: siamo padroni di noi stessi o è ciò che siamo diventati, che abbiamo fatto, che ricordiamo a comandare?
Consigliato, per riflettere.
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A noi ricorda…
Medal of Honor – Pacific Assault: a livello contenutistico fini e mezzi espressivi sono radicalmente diversi, ci siamo, ma è innegabile l’affinità di atmosfera ed il tono drammatico che accomuna le due opere, cinematografica e videoludica. Se avete voglia di “giocare” oltre che osservare l’inferno del Pacifico durante la WW2, direi che un’occhiata al blasonato titolo EA la dovreste dare.
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A settimana prossima con una nuova recensione, intanto grazie per l’attenzione e – come al solito – stay tuned!
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