Luc Besson: un nome che racchiude anni ed anni di cult (sfiorati e non) e memorie indelebili, contraddizioni, pellicole uniche nel proprio genere e pellicole troppo vicine al “genere” per essere considerate uniche. Di certo non ci troviamo di fronte ad un regista “facile”, il suo modo di fare cinema ha sempre avuto un’impronta filo-americana e commerciale ma con quel plus, con quel valore aggiunto capace di distinguere ogni opera dalla massa confusa dei lavori similari.
Rovistando tra i ricordi esplodono nitide immagini e sequenze da Leon o Il Quinto Elemento, posso provare lo stesso, genuino stupore proiettando quelle scene nella mia mente e ripensando a come – per qualche motivo che non saprei definire – mi avevano colpito. Cinema “di massa” o fine trama intessuta per nascondere perle e significati difficilmente accessibili nello spettacolo di scena? Come accennavo non è facile rispondere, non è facile definire Besson in qualche riga, per cui mi limiterò a dare un giudizio chiaro e conciso sulla sua ultima opera, fresca di distribuzione nelle sale italiane.
Sto parlando di Lucy, lungometraggio che vede protagonista l’ormai onnipresente Scarlett Johansson.
Dunque, premessa: non è un giudizio semplice. Al solito, il regista francese sembra giocare a nascondino “interpellando” concetti difficili e profondi all’interno di scene dal taglio hollywoodiano, a tratti action, non certo il taglio che un autore viziato darebbe al proprio film per farlo risultare – appunto – autoriale.
La biondissima protagonista si trova suo malgrado ad assorbire una sostanza (sconosciuta e top secret) capace di incrementare esponenzialmente le possibilità di sfruttamento dei neuroni. A questo punto si innesca una delle domande che reggono l’intero lavoro Bessoniano: quali meraviglie potrebbe produrre l’essere umano con la “semplice” forza della mente, se sguinzagliata al massimo delle sue capacità? Ecco che la Johansson si trova catapultata in un vortice di guai belli grossi, conditi e insaporiti con inseguimenti, scene d’azione e carrellate adrenaliniche fino all’epilogo della storia.
Per valutare il tutto non posso scindere l’aspetto “commercial” da quello più introspettivo (fin troppo nascosto, però) e devo ammettere che il primo ci mette poco a prendere il sopravvento sul secondo… quindi direi, riassumendo: l’idea e gli sviluppi narrativi sono più che buoni, ma a conti fatti il film che vedrete non riesce a discostarsi di netto da quella cornice pesante, fumettosa e rumorosa propria della maggior parte dei film della recente generazione.
Una sufficienza abbondante, ma niente lode.
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A noi ricorda…
Prototype: non è la prima volta che accosto ad un film il blasonato titolo di Radical Entertainment, ma anche in questo caso il paragone è quasi dovuto. Parliamo di individui apparentemente comuni dotati di poteri che per i più non sono nemmeno immaginabili o comprensibili, con tutti i vantaggi e – soprattutto – i rischi che questa particolarissima condizione porta con sé. Se non ci avete mai giocato, dovreste rimediare!
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Ci rivediamo settimana prossima per una nuova recensione! Stay tuned, mi raccomando.
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