PREY
09 Mag 2017

PREY – Recensione

Ci sarebbero molti modi per iniziare la recensione di un gioco come PREY. Un titolo attesissimo, uno di quelli capaci di catalizzare l’attenzione di milioni di giocatori sin dall’istante dell’annuncio, l’ultimogenito di uno sviluppatore, Arkane Studios, sulle cui doti incredibili oggigiorno nessuno sano di mente oserebbe controbattere. Del resto, vantare nel proprio palmares un successo indiscutibile come il franchise di Dishonored non è un onore di cui molti si possono fregiare: serve però costanza, dedizione, la capacità di stupire ancora una volta, e forse più di prima, ogniqualvolta una nuova creatura venga alla luce. Ed è esattamente quanto successo in questi giorni con PREY, reboot illustre di uno sparatutto di culto sviluppato e coltivato con attenzioni paterne presso gli studi parigini del team.

Una scommessa non certo facile, quella di Bethesda e Arkane Studios: i rimandi ad illustri IP precedenti (Bioshock in primis), la sottile linea rossa che in molti vedevano tra le avventure di Morgan Yu e l’universo mai dimenticato di System Shock o il retaggio inevitabile con il lore di Dishonored davano sì sostanza ad una formula dalle potenzialità vincenti, ma rischiavano inesorabilmente di rappresentare un boomerang pericoloso per l’esito della produzione stessa. Un clone senz’anima di successi precedenti, insomma, che ne attingeva le parti migliori senza presentare una propria identità: ma, ancora una volta, Arkane Studios ci mette del proprio e confeziona un prodotto sensazionale che gli amanti dello sci-fi non dovrebbero perdersi per nessuna ragione al mondo. Un “nuovo” PREY non ancora perfetto ma morboso, asfissiante, un autentico magnete capace di portarci a spasso nello spazio per oltre venti ore estraniandoci da ogni altra cosa. Sì, questo PREY ci è piaciuto parecchio, e ora vi raccontiamo perché.

Prey

Le prime battute di PREY, lo ammettiamo, potrebbero trarre in inganno. Non certo da un punto di vista narrativo, visto e considerato che la sceneggiatura ordita dagli scrittori di Arkane parte con il piede meravigliosamente sull’acceleratore, per poi dosarsi – come vedremo a breve – con sapienza nel corso del playthrough. È piuttosto una sorta di déjà-vu, quella sensazione che mescola uno stupore quasi scontato alla consapevolezza di aver già visto, almeno in parte, alcuni elementi di questo PREY. La curiosità vorace con cui si frugano cassetti, bidoni della spazzatura o scrivanie alla ricerca di munizioni o equipaggiamento, quello skill tree incentrato sulle Neuromods, prodigiosa tecnologia futuristica basata sul concetto di impianti genetici tramite nervo ottico, che tanto profumano di Tonici prodigiosi, oppure le stesse meccaniche stealth con cui dovremo fare i conti per aggirare l’ennesimo spettro e che, in più di qualche occasione, ci hanno fatto ripensare alla cara Karnaca.

Gameplay derivativo, verrebbe da dire. Ma cedere alle apparenze e alle lusinghe delle prime impressioni sarebbe l’errore peggiore che potremmo compiere nell’analisi dell’opera dello studio con sede a Lione, che non si limita ad omaggiare (e non fa nulla per nasconderlo) un immaginario collettivo preso in prestito da Irrational Games, Looking Glass Studios e persino Valve, ma lo espande, lo plasma, lo ridipinge basandosi su una nuova concezione personale di sci-fi. PREY non è clone o copia senz’anima, ma passo dopo passo delinea i tratti di un’esperienza inedita e sui generis, tanto memorabile quanto destabilizzante.

Morboso, tentacolare, un autentico magnete

Un’esperienza che, per propria stessa natura, non può essere circoscritta nei canoni tradizionali dello sparatutto in prima persona. Proprio come le fonti ispiratrici, PREY non si esaurisce nella sola componente shooting, ma punta ad ampliare all’inverosimile le possibilità offerte al giocatore e a donare una libertà decisionale senza pari. Paradossalmente è proprio lo shooting a rappresentare l’anello più debole del titolo Arkane Studios, laddove un’esagerata imprevedibilità dei movimenti nemici unita ad una lentezza dell-alter ego rendono l’eliminazione aliena problematica e, in alcune fasi, ai limiti del frustrante.

È questo l’unico limite evidente di PREY, limato comunque sensibilmente dalle possibilità che lo stesso titolo offre per ovviare ad alcune di queste problematiche: dai kit balistici per stabilizzare mira e potenza di fuoco alle capacità di “assorbire” alcune delle capacità aliene, passando per le soluzioni offerte dall’utilizzo attento dello Psicoscopio e delle Neuromod o dalla possibilità di craftare il proprio equipaggiamento riciclando materiale inutile con appositi macchinari, appare evidente come il ruolo della componente FPS non sia primario, ma corollario ad un dinamismo ed ad una varietà di situazioni che difficilmente prima d’ora avevamo ravvisato. PREY gioca con sé stesso, muta e si evolve, presentando di volta in volta situazioni differenti e altrettanti modi alternativi per uscirne indenni, o quantomeno ancora in piedi. Il “trucco”, se così lo si può chiamare, risiede proprio nell’ingegno del giocatore, nella sua capacità di sperimentare, nell’esplorare ogni anfratto con attenzione. Perché se esiste un problema, all’interno di Talos I esiste almeno una soluzione brillante per risolverlo; perché, all’interno di Talos I, l’esplorazione paga.

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Talos I è una perla di level design. Dicemmo lo stesso di Karnaca ai tempi di Dishonored 2, oggi più che mai ci sentiamo di plaudere le doti di uno sviluppatore tra i migliori attualmente in attività. Labirintico, intricato, progettato con una cura architettonica ai limiti del maniacale, il teatro delle avventure di Morgan Yu è un mondo aperto che rifugge dalla linearità, incline a bivi o scorciatoie da sfruttare in svariati modi. Impossibile non addentrarsi in un paragone tra Talos I e la Rapture del primo Bioshock, ugualmente impossibile non accorgersi di come l’universo tratteggiato da Levine e soci rappresenti soltanto il punto di partenza per la creazione di un mondo titanico, capace di raccontare (a chi avrà voglia e modo di raccoglierla) una storia memorabile ed appassionante tramite note, locandine, insegne o poster disseminati nei vari uffici.

È così, quasi per caso, che scopriamo come Kennedy sia in realtà sopravvissuto al famigerato attentato e, sottratta una base lasciata cadere in disuso dai russi, abbia dato vita ad un laboratorio orbitale (la TranStar) tra i più efficienti e avveniristici del pianeta. Un tempio della scienza pura, dove un’estetica da prima metà del novecento si alterna a studi di ricerca avanzatissimi. Impossibile non rimanere di volta in volta estasiati dagli scorci del teatro di gioco, che compongono un progressivo teatro “stratificato” a testimoniare quasi il progresso scientifico dell’essere umano.

Talos I è una perla di level design

Ma sotto questa raffinata patina PREY nasconde una sceneggiatura sci-fi eccezionale, encomiabile, una prova di scrittura che affonda le proprie radici ben più in profondità di Half-Life per arrivare alla fantascienza agghiacciante dei primi anni 80 – sino a scomodare sua Maestà Alien. Una razza aliena torbida e indecifrabile, i Typhon, capaci di manipolare le menti degli esseri umani per trasformarli in creature letali e all’apparenza imbattibili. Telepatia, telecinesi o mimesi (la capacità di assumere una qualsivoglia forma, appoggiandosi ad una fisica lontana anni luce dal genere umano) sono la base dell’immaginario narrativo di PREY, che affronta un tema dall’indiscutibile fascino senza mai banalizzarlo o renderlo una mera cornice di gioco – un po’ come quando, per tentare di intuire la fisica alla base dei Mimic, viene supposta l’esistenza di infiniti universi paralleli al cui interno gli alieni possono muoversi.

C’è un enorme mistero dietro la figura di Morgan Yu e del fratello Alex, un mistero destabilizzante che si respira sin dai primissimi minuti indecifrabili di gioco e che, progressivamente, sembra quasi infittirsi nella coltre dei dendriti dei Typhon. Chi siamo veramente, cosa ci lega a quei famigerati alieni, cosa è successo a Talos I durante la nostra assenza … se davvero “assenza” la si può chiamare. La sceneggiatura di PREY vale da sola il prezzo del biglietto, non lesina colpi di scena e si arricchisce metro dopo metro di una miriade di dettagli collaterali utili a colmare le lacune lasciate dai tasselli mancanti di un racconto sensazionale.

Prey

Un racconto che prende ulteriore forma nelle missioni secondarie, numerosissime e mai scontate, capaci di offrire di volta in volta punti di vista differenti o informazioni destinate altrimenti all’oblio dello spazio profondo. Potremo persino metterci alla ricerca dei numerosi “abitanti” della stazione orbitale, siano essi vivi o morti: il rischio è elevato, ma le nostre lodi alle abilità degli scrittori di Arkane dovrebbe suggerirvi quanto il gioco valga la candela. Questo tenendo bene a mente che Talos I è enorme e nasconde audio log, mail, documenti capaci di gettare una piccola luce in un mistero dai contorni sfuocati come quelli degli stessi Typhon: l’ibridazione del genoma umano a quello alieno e la possibilità di acquisire capacità extraterrestri con apposite Neuromod rappresentano soltanto la superficie più estrema di un iceberg profondo centinaia di metri, destinato ad emergere prepotentemente nel finale. Ed è allora che il quadro di Arkane Studios prende forma, che le “fibre sfilacciate” di Spettri e altre creature avranno un significato ancora più agghiacciante dell’intera avventura che abbiamo affrontato.

Chiudere il cerchio delineato da un gameplay poliedrico, che mescola shooting, RPG, stealth ed esplorazione, e da una narrazione ben al di sopra delle più rosee aspettative, è compito di un comparto tecnologico sontuoso e sicuramente apprezzabile, che pur senza gridare al miracolo regala istantanee ispiratissime – merito, è bene ricordarlo, di un level design sontuoso – e dall’enorme impatto evocativo. La direzione artistica di PREY, in perfetto stile Arkane, ricalca parte dei passi intravisti in Dishonored, tratteggiando una linea peculiare per quanto concerne i personaggi umani (non certo avari in quanto a carica poligonale, nonostante un paio di animazioni leggermente datate) e regalando il meglio, per l’appunto, per Talos I e per l’enemy design.

Un’esperienza agghiacciante, indimenticabile, unica.

Inutile girarci troppo attorno: i Typhon, dal primo all’ultimo, sono spettacolari. Imprevedibili, ruvidi, aberranti in quel loro stato quasi informe che sembra quasi sfumarne i bordi, sostituendoli con gangli che si muovono di vita propria alla ricerca di una preda, essi rappresentano la summa ultima della direzione stilistica di Arkane, capace allo stesso tempo di congelare il sangue nelle vene e di irretire il giocatore, grazie ad un fascino alieno indecifrabile e morbosamente attraente. Così attraente che potrà, per chi lo vorrà, addirittura diventare proprio: ma attenzione alle torrette, la loro reazione a forti componenti di DNA alieno potrebbe non essere propriamente gentile. Ultima, ma non meno importante, la colonna sonora: strepitosa, evocativa, destrutturante e a tratti pure spaventosa, accompagna nel migliore dei modi questo viaggio intriso di misteri, epifanie e verità ancor più agghiaccianti degli stessi Typhon. A testimoniare, ancora una volta, quanto la natura di PREY vada ben oltre le normali barriere precostituite: come un alieno che, mutando la propria forma, si insinua a pochi centimetri dai nostri passi per sferrarci un attacco che ricorderemo per lungo tempo.

Conclusioni

Un’esperienza agghiacciante, indimenticabile, unica. Questo è PREY, ultimo nato di casa Arkane Studios e già archetipo di un nuovo modo di concepire l’intero genere dello sci-fi. Un titolo destinato a diventare paradigmatico, tanto in termini narrativi quanto di gameplay generale, che omaggia fondamenta illustri per poi innalzarsi verso nuove vette di intrattenimento. Un intrattenimento fatto di scelte morali agghiaccianti, di libertà decisionale, di soluzioni nascoste sotto gli occhi alla portata dell’ingegno e della volontà di sperimentare di chi stringe il pad tra le mani. Arkane confeziona un’altra perla (quasi) assoluta, delineando i tratti di un gameplay poliedrico e davvero funzionale alle scelte del giocatore, per poi contestualizzarlo in una novel fantascientifica dall’incredibile retrogusto letterario.

Peccato per quello shooting farraginoso e a tratti frustrante, unico neo in un quadro di assoluto encomio che sancisce, ancora una volta, l’importanza e l’eccellenza del binomio Bethesda/Arkane nel mercato videoludico. Le oltre venti ore regalateci da PREY sono un costante divenire, un mutarsi di situazioni e di astuzie del team di sviluppo che, nell’alternarsi di terrore, stupore e scoperta, si insinuano nella mente di chi gioca ad imperitura memoria. Un mosaico dinamico meraviglioso, narrato magistralmente e nel cui mistero quasi assoluto ci si muove a tentoni, alla ricerca della verità finale. Che, forse, potrebbe essere meno scontata di quanto vorremmo aspettarci: ma nello spazio più profondo, quello in cui “nessuno può sentirci urlare”, ci sono cose che vanno ben oltre la comprensione umana. E, da oggi in avanti, c’è anche Morgan Yu.

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