Psycho-Pass: Mandatory Happiness – Recensione

Tokyo, 2112. In un futuro distopico, la narrazione dalle tinte cupe di Gen Urobuchi ci pone di fronte a un concetto affascinante e assieme annichilente: una società dove lo stato emotivo e psicologico dei cittadini è sempre monitorato da un sistema che ne determina le attitudini e la salute mentale, creando una situazione di sottomissione che assume i tratti della reciproca dipendenza. Il Sibyl System (così chiamato questa entità onnisciente e onnipresente) segue un’ottica utilitaristica, ergendosi a giudice e giuria degli abitanti per stabilirne l’effettiva utilità all’interno della società: chi non rientra nei suoi canoni deve afferrarsi alla speranza di essere almeno costretto a finire in terapia, perché l’alternativa è l’eliminazione. Uccidine uno per salvarne cento.

L’implementazione pratica di questa filosofia è lo Psycho-Pass, una registrazione dello stato mentale del singolo individuo, che include il Colore, ovvero la misura dell’attuale livello di stress, e il Coefficiente di Criminalità, una indicazione della tendenza a poter commettere un crimine; le persone sono regolarmente scansionate da specifici dispositivi presenti negli edifici e lungo le strade, e quando viene rilevato uno Psycho-Pass “sporco” entrano in gioco le Unità della Sezione Anticrimine del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, squadre composte da Esecutori sotto il ferreo e inflessibile controllo degli Ispettori. Laddove questi ultimi sono un’élite forgiata dall’imparzialità del giudizio, i primi sono considerati delle bestie in virtù della loro natura di criminali latenti; capaci di pensare come tali, sono in poche parole cani da caccia sguinzagliati contro ogni supposto pericolo della società. Esecutori e Ispettori intervengono usando i Dominator, particolari pistole in grado di leggere il coefficiente del bersaglio e in base a questo attivarsi secondo una modalità paralizzante o letale.

L’anime segue le vicende dell’Unità 1 della Sezione Anticrimine, composta dagli Ispettori Nobuchika Ginoza e Akane Tsunemori, e dagli Esecutori Shinya Kōgami, Tomomi Masaoka, Shūsei Kagari, Yayoi Kunizuka e Shion Karanomori. Assieme conducono la loro missione, a dispetto dei sentimenti personali. Ma qual è, alla fine, questa “missione”? E possono davvero chiamare Giustizia ciò per cui stanno combattendo? Il Sibyl System, del resto, solleva un numero non indifferente di problemi etici, primo fra tutti il suo giudizio preventivo: ai suoi occhi le persone sono dei semplici numeri, perciò se il coefficiente di qualcuno supera una certa soglia, il sistema lo dichiarerà passabile di immediata esecuzione a prescindere dal fatto che sia stato effettivamente commesso un crimine.

Non è ammessa la possibilità di un errore, eppure il Sibyl System è fallato sotto diversi aspetti, che sono poi gli stessi dei quali chi ha pensato e disposto il sistema si disinteressa: la violazione dello spazio personale e della libertà assieme a una serie dei diritti umani più comuni tra cui quello di vivere. Il libero arbitrio (degli altri) è sacrificato sull’altare di una società ideale, che possa raggiungere la massima realizzazione. Utilitaristicamente parlando, la sua felicità.

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In questo contesto che rivisita e ripropone un Grande Fratello di orwelliana memoria s’inserisce con scioltezza Psycho-Pass: Mandatory Happiness, una visual novel ambientata in un momento non specificato tra i primi otto episodi della serie. Per chi non ne fosse a conoscenza, la visual novel è un genere che racconta una storia nel modo più semplice: utilizzando testi e immagini a corredo, minimizzando la componente interattiva al punto tale che per qualcuno è soltanto un’opera che ha sbagliato medium. Noi diciamo invece che fa un po’ razza a sé, offrendo poco da fare e tanto da leggere in un videogioco dove la componente narrativa torna al suo punto zero: molto testo da seguire su fondali quasi statici all’interno dei quali si susseguono personaggi altrettanto statici.

La storia che Psycho-Pass: Mandatory Happiness vuole raccontare ruota attorno alla lotta della Unità 1 contro il misterioso Alpha, un hacker che si serve (ma non sempre) di un androide come emissario per portare a termine un obiettivo tanto semplice quanto pericoloso: rendere felici le persone. La mentalità naive e piuttosto adolescenziale di Alpha gli impedisce tuttavia di comprendere che la felicità è un sentimento egoistico e laddove soddisfa chi la cerca, porta alla sofferenza di altri individui coinvolti; a peggiorare la situazione, poi, i suoi obiettivi sensibili sono emotivamente instabili, il cui Coefficiente di Criminalità oscilla su quel confine che li porterebbe all’eliminazione. Le condizioni in cui versano li portano a vedere Alpha come salvatore e la felicità che egli promette, appunto, mandatoria: sono incuranti, o probabilmente troppo oltre per comprendere la gravità delle loro future azioni e le terribili conseguenze che avranno.

Il libero arbitrio è sacrificato sull’altare di una società ideale

Psycho-Pass: Mandatory Happiness ci permette di vestire i panni di due personaggi agli antipodi: l’Ispettore Nadeshiko Kugatachi, una giovane donna impossibilitata a comprendere le emozioni umane e vittima di un’amnesia causata da un incidente durante l’addestramento; l’Esecutore Takuma Tsurugi, scanzonato e irriverente, giunto a Tokyo dalla città di Sado Marine in cerca della sua migliore amica scomparsa senza lasciare traccia e caduto, a causa della propria impulsività, nella cerchia dei criminali latenti. Affiancheremo dunque gli iconici personaggi della serie animata nella loro incessante caccia ad Alpha.

Sebbene la prima effettiva scelta si abbia dopo circa più di mezz’ora, la storia si apre con la giusta dose di mistero e prosegue in modo tale da lasciar comprendere le basi di questa realtà distopica anche a chi l’anime non l’ha mai seguito, aiutata da costanti rimandi a un database consultabile in qualsiasi momento e fornito delle informazioni essenziali su eventi, strumentazioni, luoghi e personaggi. A questo proposito, la presenza di due protagonisti uno opposto dell’altro è un punto chiave quando si affronta lo stesso intreccio narrativo, perché consente di vedere la situazione da un punto di vista differente se non a volte in completa antitesi; spesso però, in particolare nei primi due capitoli, la collaborazione fra Tsurugi e Kugatachi ci porta a conoscere ugualmente l’opinione dell’altro e la cosa purtroppo si ripercuote persino a partire dalla seconda run, lasciandoci poco sorpresi davanti alle loro reazioni.

Le nostre decisioni non influenzeranno tanto il filone principale quanto piuttosto l’approccio (soprattutto psicologico) del protagonista agli eventi in corso, ed è una cosa che funziona particolarmente bene con l’impulsivo Tsurugi; per contro, vedere la granitica logica di Kugatachi sbriciolarsi lentamente a mano a mano che la sua amnesia perde mordente risulta altrettanto interessante. Il fattore psicologico viene concretizzato dall’effettiva presenza dello Psycho-Pass, la cui tonalità dipende solo da noi: saremo invitati spesso a tenere sotto controllo la nostra salute mentale, attraverso medicine o servizi di counseling, ed è proprio questo continuo bilanciamento emotivo ad aprirci la strada verso molteplici finali. Finali che tuttavia (nonostante la possibilità di cogliere nuove sfumature) non bastano a coprire la bassa rigiocabilità di cui soffre Psycho-Pass: Mandatory Happiness: dopo aver concluso la storia almeno una volta con ogni personaggio, non si è molto invogliati a riprendere in mano il pad e skippare scene già lette, arrivare ai bivi, fare altre scelte e così ripetersi fino alla fine.

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Da fan della serie mi ha po’ deluso la limitatezza dei bivi narrativi, soprattutto nelle prime ore di gioco, salvo poi risollevarsi nel capitolo finale in un susseguirsi di decisioni sul filo del rasoio, considerati i game over che si nascondono dietro ogni riga; questo potrebbe ricalcare le atmosfere della serie in cui ogni secondo è prezioso ma al tempo stesso non puoi permetterti giudizi affrettati, forse però avrei preferito una distribuzione più omogenea. In compenso, a livello narrativo generale non si può negare a Psycho-Pass: Mandatory Happiness di incarnare alla perfezione lo spirito dell’anime, rifiutando le mezze misure per ridurre il giocatore a spettatore impotente di eventi dal forte impatto emotivo, morale e psicologico, dove gli inermi sono i primi a soccombere al sistema.

Persino negli scenari migliori rimarrà l’amaro in bocca, la sensazione che per quanto si possa fare, non sarà mai abbastanza. La vera felicità non esiste, a dispetto di quanto possa professare Alpha: non in una realtà dove la nostra esistenza è già prestabilita e non possiamo decidere da soli come essere felici.

Conclusioni

Le narrazioni distopiche mostrano tipicamente un conflitto fra coloro che abbracciano la fusione dell’uomo con la tecnologia e chi invece la ritiene una perdita di quell’integrità che ci differenzia in quanto esseri umani; le società utopiche rappresentate conferiscono alla popolazione una ineguagliabile felicità in cambio del loro libero arbitrio, e per questo il sistema è visto come l’antagonista contro il quale i protagonisti si ribellano. Psycho-Pass si rivela tuttavia una di quelle rare serie che non ignora l’elefante nella stanza: è conscio dei difetti del sistema ma al tempo stesso lo vede come l’unica soluzione.

Poste queste premesse, Psycho-Pass: Mandatory Happiness è un vero e proprio “episodio perduto” della serie, un capitolo che a livello narrativo si inserisce senza colpo ferire all’interno della trama riportando i personaggi originali fedelmente caratterizzati e affiancando loro due figure nuove con la sensazione che invece siano sempre state parte dell’Unità 1. Ripropone quelle stesse tematiche che l’hanno reso celebre, i toni cupi e la continua messa in discussione di un totale abbandono alla tecnologia, e si rende fruibile anche dai neofiti, perché non obbliga a conoscenze pregresse per essere apprezzato.

Spicca l’onestà intellettuale verso il genere che delinea il gameplay, e di conseguenza la necessità di sottostare a canoni ben precisi e limitanti nelle meccaniche, ma si sarebbe potuto fare di più. Vista la complessità degli argomenti trattati, inoltre, una localizzazione italiana di Psycho-Pass: Mandatory Happiness sarebbe stata apprezzata per evitare di ridurre ulteriormente la nicchia di riferimento di un genere che già si rivolge a un pubblico ristretto.

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