San Francisco – Ty Burr, reporter del Boston Globe, una volta ha affermato che “La VR non potrà mai essere come il cinema, tanto da un punto di vista culturale quanto estetico“. Un’affermazione di quelle che non perdonano, che non lasciano scampo, che sembrano quasi voler condannare un medium di età ancora ragionevolmente giovane su cui, tuttavia, in molti stanno scommettendo. Non sappiamo quanto voi possiate essere d’accordo con quanto detto da Burr, ma una cosa è certa: a Cortney Harding quella frase sta stretta. Molto stretta: docente, consulente e esperta di realtà virtuale e delle sue possibili connessioni con il campo della musica e del sonoro, la Harding ha tenuto in questi giorni uno speech particolarmente interessante, che proprio partendo dalla disillusione espressa dal reporter di Boston traccia una serie di possibili futuri della Realtà Virtuale per come la conosciamo ora.
Quattro alternative concrete, che dal caso peggiore a quello migliore vanno a delineare due concetti assiomatici sui quali è difficile non essere in accordo: il primo è che, allo stato attuale, Hollywood non ha ancora capito nulla sul significato di Realtà Virtuale. Il secondo, indubbiamente più sofisticato, è che “non esiste errore peggiore da fare che prendere la VR e adattarla a qualcosa di già esistente, sperando di ottenere qualcosa di interessante“. Serve dunque “un linguaggio del tutto nuovo, per progettare e creare universi virtuali capaci di esprimere davvero il proprio potenziale“.
Ma quali sono dunque questi quattro fantomatici scenari? Scopriamoli rapidamente assieme:
- Il Primo Futuro: la versione VR degli eventi “quotidiani”
Non fatevi trarre in inganno dal concetto di “quotidianità”. Stiamo parlando di uno scenario sterile, una situazione (la peggiore) limite dove l’utente finirebbe per essere un semplice osservatore passivo in un universo privo di interazione, di dialogo, privo del minimo controllo. Pensate a quei video disponibili su YouTube in cui, ruotando la testa, possiamo osservare lo scenario intorno a noi: carino, e nemmeno così tecnologicamente difficile da realizzare. Ma è questo che vogliamo davvero dal nostro potenziale Virtuale?
- Il Secondo Futuro: portare i medium già esistenti in Realtà Virtuale
Ancora una volta, la sfida tecnologica dietro questo possibile scenario non è così complessa: del resto, il linguaggio per realizzare questi prodotti non solo esiste già, ma è anche ben conosciuto. Pensate a video musicali o film interamente in VR. Affascinanti, chiaro, ma ma ancora una volta ci ritroviamo di fronte a quel problema insito nella natura stessa del contenuto: fondere la VR a cose preesistenti cancella da subito ogni possibilità di innovazione, di sperimentazione, di evoluzione tecnologica. Nessuno vuole uno spot di una macchina da guardare con un headset: tutti vogliono esperienze e interazione.
- Il Terzo Futuro: Engagement one to one a breve termine
Dietro a questo nome così altisonante si nascondono quelle esperienze in stile The Void o Viveport in Cina. Il futuro più incredibile soltanto qualche anno fa: ma viste le potenzialità attuali della VR, impossibile non accorgersi dei loro limiti in questa generazione. Limiti che coincidono con il rapporto unitario dell’esperienza, pensata per una sola persona alla volta: qualcosa di simile al vecchio cinema dinamico, più evoluto nei contenuti e nella tecnologia. Ma quelle esperienze virtuali – disponibili oramai anche su YouTube, spesso associate al lancio di una nuova pellicola (vedi Insidious lo scorso anno) sono ancora troppo limitate rispetto al vero potenziale di questa tecnologia.
- Il Quarto Futuro: Social Engagement a lungo termine
Il sogno ultimo dei creatori di mondi virtuali: qualcosa che spinga al massimo la tecnologia, che infranga i confini stessi del medium. Qualcosa che arrivi persino al leggendario Holodeck, passando per la generazione di contenuti da parte degli utenti o persino Facebook VR. Il futuro “roseo” della realtà virtuale, quello che oggigiorno molti sviluppatori cercano di raggiungere, è affascinante e pericoloso allo stesso tempo, così capace di creare interconnessioni, legami e interazioni da rendere quasi difficile distinguere cosa sia reale e cosa no. Certo, si tratta di una situazione limite che nasconde al proprio interno dibattiti non certo trascurabili: è possibile relazionarsi con altre persone “nascoste” da un visore e, proprio per questo, lontane anche migliaia di chilometri? Più questo universo diventa immersivo e simile alla realtà, sarà davvero possibile uscirne come oggigiorno spegniamo una console o arriveremo davvero al punto da non distinguere il vero dal virtuale?
Di tutte queste cose, magnifiche ma allo stesso tempo terrificanti, ci sarà modo di parlare nei prossimi anni. Magari, tra cinque anni, fare quattro chiacchiere con Obama o con Micheal Jordan sarà alla portata di tutti, a patto di avere un hardware adeguato per farlo. Il cammino verso il quarto futuro, se mai potremo raggiungerlo davvero, è appena agli inizi: manca ancora molta tecnologia, come una AI in grado di processare in tempo reale un qualsiasi linguaggio naturale o un sistema di eyetracking capace di rilevare anche le emozioni dell’essere umano. Sì, c’è ancora molta strada da fare; ma difficilmente, dieci anni fa, avremmo previsto quanto accaduto negli ultimi due anni. E forse il bello deve ancora venire.
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