L’abbiamo ammirato a Los Angeles, l’abbiamo provato a Colonia e ce ne siamo innamorati. In un inizio d’autunno fatto di titoloni enormi, che spaziano dal prevedibile campione di vendite made in Rockstar, GTA V, alle puntualissime simulazioni calcistiche di casa Konami ed Electronic Arts, parrebbe quasi impossibile trovare un posticino per un titolo digital-only come Rain. Eppure nei due “miseri” gigabyte di cui si compone il titolo PSN, nato dalla collaborazione di Sony Japan e dei giovani di Acquire nel corso del recente PlayStation Camp c’è molto più del solito platforming “da scaricare tra un tripla A e l’altro“. C’è passione, poesia, malinconia e tanto, tantissimo fascino, amalgamati in una narrazione armoniosa e per certi versi quasi infantile nel modo in cui viene dipanata.
L’autunno è arrivato e con esso Rain, un’esperienza – duole doverlo ammettere – non ancora perfetta nella sua acerbità, ma assolutamente degna d’essere vissuta. Molti giochi sono infatti abili nel trasmettere al giocatore scariche emotive: pochi, tuttavia, riescono a rapirne la mente, a veicolare in maniera così forte sensazioni di solitudine, abbandono, melancolia. E Rain, nonostante tutto, è uno di questi.
Lo ameranno: gli amanti di Ico, delle esperienze fuori dal coro, emozionali ed introspettive
Lo odieranno: gli amanti dei corridoi stretti e lunghi, dell’headshot e della frenesia ad ogni costo
È simile a: Ico
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Titolo: Rain
Piattaforma: PS3
Sviluppatore: Acquire, Japan Studio
Publisher: Sony
Giocatori: 1
Online: Assente
Lingua : Italiano (Testi)
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Tutto inizia con un temporale
Il comparto narrativo di Rain rappresenta uno degli aspetti meglio riusciti dell’operato di Acquire. Protagonista di questa favola dalle tinte fosche è un ragazzino senza nome, costretto al letto dalla febbre e ritrovatosi catapultato in un universo inspiegabile ed incredibile, dove l’oscurità cede lo scettro soltanto alla pioggia. Tutto inizia con due sagome invisibili, delineate dalle gocce che le bagnano: la prima è una bambina impaurita, che corre a perdifiato da una terribile minaccia. Minaccia che assume le fattezze di un enorme mostro, un Oscuro intenzionato ad avvolgere nelle tenebre quell’esile corpo. Raggiunte le strade incurante dell’acquazzone e della salute cagionevole, il giovane eroe insegue le “ombre” come può, sino a perderle. Ma proprio quando tutto sembra svanito intravede un’enorme porta mai vista, circondata da un insolito bagliore: serve molto coraggio per attraversarla, ma nulla è più importante che salvare la piccola fuggitiva. Pochi passi e succede l’inaspettabile: il suo corpo non solo è invisibile, ma la realtà tutta intorno è cambiata. La città che lo accoglie è la stessa solo in apparenza, ma cela nel profondo un animo diverso: un animo divorato dagli Oscuri, che non appena notano il nuovo entrato iniziano a dargli la caccia.
Inizia così una lunga corsa alla ricerca della bambina, destinata a divenire una fuga simbiotica dalle grinfie delle pericolose sagome del regno oscuro. Una fuga lunga una notte, raccontata con una dolcezza ed un tatto incredibili e, allo stesso tempo, capace di toccare le corde più sensibili del giocatore, che difficilmente resterà impassibile di fronte all’infantile tenacia di un piccolo eroe o, parimenti, alla desolazione di una città il cui unico suono è lo scrosciare incessante della pioggia.
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Non servono ombrelli
Difficile inquadrare Rain in una tipologia ludica ben definita. Un po’ platform e un po’ puzzle, l’esclusiva PSN strizza l’occhio in modo inusuale allo stealth game, mescolando brillantemente le carte in tavola e trasformando la pioggia da semplice elemento scenico a colonna portante del gameplay. Proprio quest’ultima permette di “vedere” la sagoma del giovane protagonista mentre si muove tra le strade di una non meglio definita città dell’Europa Centrale, facilitando l’azione del giocatore – che non dovrà comandare un personaggio invisibile – ma allo stesso tempo palesandone la presenza agli Oscuri, che gli si fionderanno sopra come api sul miele. Proprio in questi frangenti sarà necessario nascondersi dalla pioggia, trovando un qualsiasi riparo che copra la nostra testa e permetta di diventare invisibili agli occhi nemici. In altri casi, dopo essere entrati in contatto con pozzanghere fangose, sarà necessario trovare uno specchio d’acqua pulita per cancellare ogni traccia della nostra presenza, visibile anche senza l’ausilio della pioggia.
Le soluzioni disponibili, disseminate negli otto scenari di cui Rain si compone, spaziano dalle classiche tettoie agli armadietti, passando per “Oscuri buoni” simili a goffi cavalli che, nel loro incedere, permettono di muoversi con calma senza essere visti. Va comunque sottolineato che invisibilità non è sinonimo di salvezza. Le location sono piene di elementi secondari (tavolini, sedie, bottiglie) che se urtati nel momento sbagliato assumono la stessa fisionomia di un neon lampeggiante con scritto “Sono qui!”; correre sulle pozzanghere produrrà un rumore non trascurabile, facilmente udibile da mostruose orecchie vicine. Una volta nascosti conviene dunque stare immobili per una manciata di secondi, il tempo di far passare l’allerta.
Alle volte, però, richiamare l’attenzione degli Oscuri potrebbe essere fondamentale per proseguire lungo una strada bloccata o per muovere il mostriciattolo verso uno specifico punto. Ecco che dunque gli elementi appena descritti (a fianco di altri come pianoforti o grammofoni) assumono valenza duale, trasformandosi da ostacoli a preziosi alleati. Il ricorso agli elementi di scena determina quindi uno spazio di soluzioni più variegato, e conferisce al giocatore un piccolo grado di libertà aggiuntivo nella scelta di come affrontare determinate sequenze stealth: distrarre gli Oscuri con un rumore e correre a perdifiato sino al prossimo riparo oppure mantenere un basso profilo, muovendosi “all’asciutto” per piccoli e silenziosi passi sino ad essere a distanza di sicurezza? Questa, a conti fatti, rappresenta l’unica “libertà” in un universo forse troppo lineare, che si limita ad offrire un unico percorso obbligato dove è impossibile perdersi. Certo, lo scorcio visivo è il più delle volte impressionante e predispone positivamente il giocatore, ma l’introduzione di bivi o percorsi alternativi che prevedessero maggior diversificazione del gameplay avrebbe probabilmente giovato, specie in un’ottica di rigiocabilità (che rimane invece legata, una volta terminato il playthrough, al desiderio di stanare i 24 ricordi disseminati in terzetti lungo ciascun livello).
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Era una notte buia e tempestosa…
La linearità, tuttavia, non esaurisce l’elenco delle imperfezioni. Altro aspetto non eccessivamente brillante è quello degli enigmi, che non godono di quell’ispirazione che caratterizza le componenti artistica e narrativa. Una curva di difficoltà particolarmente bassa non è per forza di cose un peccato mortale, ma l’assenza di varietà degli indovinelli proposti (che si esauriscono nello spostare una cassa, tirare qualche leva e sbloccare una porta con l’apposita chiave) lascia un po’ di amaro in bocca, considerando il vasto potenziale del titolo in esame. Il livello di sfida alza un po’ la testa quando si è rincorsi dal “capo” degli Oscuri, ben più ostico dei suoi tirapiedi nonché capace di arrampicarsi sulle pareti e di infrangere alcune barriere: nulla che però non possa essere superato in una manciata di tentativi.
La situazione non vira in meglio nelle sezioni cooperative, piuttosto superficiali oltre che quantitativamente esigue. Esclusion fatta per una sequenza critica, nella quale per salvar la vita della nostra compagna dovremo capire la giusta sequenza di azioni nel minor tempo possibile, si tratta per lo più di semplici interazioni con elementi di scena. La conseguenza più naturale è che, seppur emozionalmente coinvolto nell’avventura, il giocatore difficilmente riuscirà a stabilire una connessione empatica forte con la compagna di sventure. Contrariamente a quando visto in Ico, il titolo più affine a Rain nonostante i richiami a Limbo e Papo&Yo, raramente ci sentiremo “direttamente responsabili” della vita di quest’ultima, capace da sola di ripararsi dalla pioggia quando serve o di evitare il pattugliamento degli Oscuri. La longevità risicata del titolo (appena tre ore di gioco, soste per ammirare il panorama incluse) non aiuterà certo a far evolvere questo rapporto, lasciandolo di fatto piuttosto superficiale.
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A spasso per la città
Dove Rain tira fuori le unghie e mostra il meglio è nella propria direzione artistica. Maestosa e imponente, la città che fa da teatro all’opera di Acquire è un totem architettonico che non ci stancheremmo mai di guardare. Dalle strade lastricate agli enormi edifici, dai ponti baroccheggianti al piccolo circo di paese, tutto trasmette un forte senso di oppressione e abbandono. I cromatismi cupi sembrano quasi risaltare grazie all’acqua, elemento onnipresente che riflette immagini tremolanti, diffonde le luci flebili provenienti dai lampioni o dalle finestre illuminate, appare e scompare sottoforma di pozzanghere e rivoletti. Molto bello è il climax narrativo (e contestualmente scenografico) a cui assistiamo nelle battute finali, con la città in una variante alla De Chirico dalle tinte sbiadite, con edifici fortemente geometrici sviluppati nella componente verticale e intervallati da ponti multipli, passatoie e altre prodezze architettoniche di impatto. Ci si sente piccoli, se non minuscoli, sotto questo temporale.
Merito di un sistema di inquadrature che non lascia nulla al caso, che stringe e allarga il campo visivo con cognizione di causa disorientando il giocatore e che allo stesso tempo regala inquadrature degne della migliore cinematografia. Applausi a scena aperta anche per il comparto sonoro, che accompagna il giocatore con raffinatezza in questa andata e ritorno dal regno dell’oscurità. Lo scrosciare della pioggia, che sembra voler cullare nella sua quasi totale onnipresenza, viene interrotto da calde note blues e struggenti scale di pianoforte, che alternano brani originali a opere magne della musica classica quali la ben nota Clair De Lune di Debussy.
E di colpo la pioggia cessò…
È vero, Rain non è perfetto come avremmo sperato dopo la nostra prima prova. È meno longevo di molti suoi colleghi del digital delivery, offre una curva di difficoltà sbilanciata verso il basso e, un po’ a malincuore, non presenta una varietà di enigmi all’altezza di quella che è la sua idea portante. Sì, perché Rain nasce da un’intuizione brillante, una dicotomia geniale che trasforma un semplice evento atmosferico nel fulcro focale di un gameplay capace, tra alti e bassi, di mescolare con inedita eleganza i dettami del platform, del puzzle game e dello stealth. Il figlio della collaborazione di Acquire e Sony Japan è una favola intrisa di autentico fascino, che narra con delicatezza encomiabile una storia fatta di silenzi e insicurezza, di solitudine. Passo dopo passo, è impossibile non farsi sedurre dalle gesta di un ragazzino tenace immerso in un mondo decadente e dimesso, capace con i suoi scorci meravigliosi di toccare malinconicamente l’animo di chi gioca. Rain non è certo un prodotto per tutti, sia per alcune scelte di gameplay purtroppo ancora acerbe sia – e soprattutto – per una poetica subdola e priva di fronzoli: non è perfetto, già, ma è un’esperienza che vale la pena vivere almeno una volta. Un po’ come lasciarsi baciare dalla pioggia.
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