Redout – Recensione

In quel lontano 1997 ciò che mi spinse, con estremo sacrificio all’acquisto di una PSX, non fu tanto Toshinden, per quanto apparisse “”rivoluzionario”” all’epoca, né la conversione favolosa di Ridge Racer (certo l’emozione di giocarlo a casa era grande ma, lo avevamo già stragiocato in sala). No, quello che mi fece “ipotecare tutto” per avere il primo modello di PlayStation fu un gioco chiamato WipeOut.

Non si usa retorica se si parla di nascita di un mito, perché proprio così è stato. Il concept delle gare  antigravitazionali è stato  introdotto in F-Zero da una Nintendo che dominava il mercato, in tutti i sensi, anche dal lato del genio creativo e delle nuove IP, ma Psygnosis lo rimaneggia, lo rende adulto, lo tinge di una cupa estetica cyberpunk, che ancora viveva gli ultimi scampoli del suo massimo successo letterario e cinematografico, lo arricchisce di musiche semplicemente fuori parametro (Prodigy, Chemical Brothers, Orbital), e ne fa un capolavoro, una vera icona per quegli anni e di quelli  a venire.
Tutti poi sappiamo come proseguì la storia del titolo: la Psygnosis dopo due seguiti, diventa Studio Liverpool sotto il controllo di SCE, sforna a cadenza regolare vari titoli della serie, fino all’ultimo per PSVita, ma qualcosa si è affievolito, non tanto nei giochi (di per sé ottimi, anche se la voglia di rischiare era praticamente assente), ma nel pubblico; man mano l’interesse per questo tipo di gioco viene meno, diventa sempre più di nicchia ed infine il 22 agosto di due anni fa Studio Liverpool viene chiuso.

Per la folta nicchia rimasta, appassionati sfegatati di questo adrenalinico genere sembra si sia chiusa un’era. Fino ad ora, quando 34BigThings, uno studio tra l’altro italiano, se ne viene fuori,  come se niente fosse, con questo Redout, del quale nemmeno serve un solo minuto di trailer, o di gameplay su youtube, ma basta uno screenshot, per avere subito chiaro di cosa si stia parlando…

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Corse antigravitazionali

Redout dunque certamente può apparire molto familiare, quantomeno al primo impatto ogni giocatore di WipeOut  (e in parte F-Zero, in special modo l’ultimo glorioso capitolo) saprà cosa aspettarsi, sopratutto se ci si limita a scorrere le scuderie della modalità carriera o a  visionare con superficialità qualche filmato di gameplay.
Una volta scesi in pista però quello che ci aspetta è un’esperienza che si, sicuramente è immediatamente assimilabile a quella di un WipeOut,  partendo  dal feeling su pista, l’audio, le musiche e gli effetti, fino allo stesso setup dei controlli (che hanno settaggi non mappabili, ma che coprono qualsiasi esigenza, da quello di default, con la disgraziata scelta di inserire gli aereofreni e l’inclinazione del muso sullo stick destro, fino al classico settaggio controllo classico alla WipeOut appunto), ma interpretata ed eseguita  in maniera decisamente personale.

Certo, l’obiettivo in fondo è quello: sfrecciare su  lussuose, folli, coloratissime piste, dalle ambientazioni più svariate, a velocità improponibili, senza praticamente agire sul freno, ma al limite solo sugli aereofreni laterali, che ci permettono rapidi o prolungati scarti laterali per pennellare, in una perenne derapata, le curve di impegnativi tracciati, con l’aiuto di una serie di modifiche al nostro mezzo; il tutto condito da una adrenalinica colonna sonora.

 …un’esperienza immediatamente assimilabile a quella di un WipeOut, ma interpretata ed eseguita  in maniera decisamente personale.

A differenza della serie  di Studio Liverpool, viene messa da parte  e praticamente abbandonata la foga belligerante, privilegiando la tecnica di guida.
In Redout è la pura abilità che viene esaltata, le modifiche sono quasi tutte prestazionali, o di supporto al nostro mezzo; certo, alcuni power up attivabili sono ideati per danneggiare avversari, ad esempio succhiandone l’energia, ma non c’è nessuna arma wave o missili a ricerca. Tutto ruota quindi sulla pura abilità, sulla perfetta conoscenza delle piste, e sulla gestione del nostro mezzo, prima della gara scegliendo il setting dei power-up e, durante la gara, calibrando l’utilizzo dell’energia disponibile.

Questo è uno dei focus del gioco, l’utilizzo dell’energia disponibile sul  nostro mezzo. I boost di accelerazione sparsi sulla pista infatti sono pochi, sebbene sia sempre essenziale sfruttarli, in gare in cui conta il centesimo di secondo. Le nostre navi hanno però però la possibilità di sfruttare la propria energia  per usufruire di boost autonomi, potremo quindi spingere al massimo la navicella sprecando tutta l’energia, o usandola con più parsimonia (sopratutto negli eventi dove si usano power-up attivi , visto che è necessaria per attivare questo tipo di potenziamento, come ad esempio una riparazione del mezzo accelerata, il risucchio energia ecc), la capacità energetica  si ricaricherà autonomamente, quando non in uso.
Le navi inoltre sono dotate di autoriparazione, dunque se riusciamo a non subire danni per un certo lasso di  tempo, i naniti cominceranno il loro lavoro di ripristino dell’integrità del mezzo.

In Redout l’attenzione per il tracciato viene focalizzata sulla mera tecnica di pilotaggio, nessuna ricerca di power-up, nessun pit-stop di ricarica, rimangono solamente dei punti  di accelerazione disseminati sulla pista, ma la massima concentrazione rimane sulla guida.

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Sei squadre, tre classi di potenza, un gran numero di evoluzioni e stili di guida, tantissime navi. Esteticamente, va detto, i modelli delle navi non sono entusiasmanti, si nota la voglia di dare personalità alle scuderie, ma l’intento non è raggiunto appieno. L’ambientazione non riesce a donarci lo stesso “lore” delle mitiche squadre di WipeOut, ma è apprezzabilissimo l’impegno e, in fondo è una caratteristica secondaria rispetto al gameplay puro.

Abbiamo quindi sei squadre : ESA, Lunare Scuderia, Asera , Koeniggswerth, Sulha, Conqueror, fra le quali scegliere e intraprendere la modalità carriera, una volta iniziata la carriera non sarà un grosso problema guadagnare molto denaro; anche perdendo le gare una certa somma si incamera comunque, inoltre,  la natura del gioco molto tecnico, è quella del trial&error, ma di quello buono, di quello che ti fa venire voglia di ripetere la stessa pista 26 volte di seguito; e questo ci farà ritrovare pieni di credito da investire , senza quasi rendercene conto.
Durante la nostra carriera, inoltre, ci verranno offerti dei contratti, come ad esempio correre ed ottenere un certo obiettivo, con cotale nave, e con quel settaggio particolare; in quel caso riceveremo molti soldi, oppure dei power-up gratuitamente, ma é questa sostanzialmente la modalità carriera, poco strutturata, non coinvolgente, una mera scusa per affrontare una lunga serie di tracciati.

L’Abruzzo e le sue curve

Il primo approccio di Redout è veramente difficile, per quanto il team sia presente al massimo e sia rapido ad accogliere i feedback dei giocatori: il gioco inizialmente fu bilanciato  rendendolo frustrante, mentre adesso può esser definito solamente impegnativo.  Comunque, superata la fase iniziale e compreso come gestire le varie tipologie di gara, e soprattutto una volta guadagnato un buon parco di veicoli potenziati (il che come detto richiede solo di tenere duro per un po’) il tutto fila molto più liscio, anche troppo.

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Le tipologie di gara sono molte, sia da affrontare in carriera, che come gare veloci o multiplayer: vanno dalla corsa pura, senza power-up, alla sopravvivenza, dove il tracciato viene disseminato di letali ostacoli e bisogna imparare e analizzare una seconda volta la pista, evitando le normali traiettorie (quelle normalmente ottimali) per evitare di scoppiare, passando per la classica gara a eliminazione (alla fine di ogni giro, l’ultimo viene eliminato), oppure la modalità arena, gare senza respawn. Insomma, le modalità sono varie e di certo il divertimento non manca.
Comprendere esattamente la tipologia della gara e avere la possibilità di forgiare una nave adatta alla competizione è fondamentale, ma verso metà gioco diventa anche troppo semplice, quantomeno se si vuole finire solo fra i primi classificati; conquistare tutti gli ori sarà invece una impresa molto dura.

Il track design è esuberante, la grafica ispirata, ed il feeling dei controlli è perfetto

I tracciati sono impegnativi, e sono in buon numero, venti piste, cinque per ambientazione, che vanno dall’Alaska, ad un vulcano, passando per il mistico Cairo e una futuristica e coloratissima reinterpretazione del nostro Abruzzo. Sono ben costruiti, spettacolari e velocissimi: la voglia di dimostrare una propria peculiarità, una identità definita e non un mero copy&paste di WipeOut, si sente soprattutto qui, nell’estetica e nel track design. La prima, generalmente meno afflitta dalla pesante ma sensuale patina cyberpunk della maggioranza dei capitoli della serie ispiratrice, mentre  il secondo arriva ad adrenalinici parossismi, vere e proprie orge di velocità e sfide alla gravità, enormi balzi nel vuoto, e veri e propri tuffi (la cui gestione è importantissima per il raggiungimento della vittoria), accelerazioni e decelerazioni impossibili, loop e ruote da affrontare a velocità dove solo un gioco su rotaie potrebbe essere gestibile, vista l’incredibile velocità (maggiore pure dell’ultimo F-Zero), ma che invece grazie ai perfetti controlli sono affrontabili con soddisfazione.

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Graficamente il gioco è notevole. L’Unreal Engine non viene spremuto nemmeno molto a livello computazionale, tutto sommato sono pochi gli oggetti in movimento, e la distanza visuale, si gioca molto sulla folle velocità che, ovviamente mette in secondo piano i dettagli, ma vuole impressionare con  i forti  colori, i potenti contrasti le improvvise esplosioni di tonalità, associate alle potenti accelerazioni che alle volte risultano quasi piacevolmente intollerabili.
Anche la colonna sonora denota la voglia di distinguersi dal passato, con brani ambient, elettro pop, qualche chitarra e una voce femminile che fa alle volte capolino; musiche ed effetti sonori che, seppure a tavolino non si direbbe, si amalgamano alla perfezione con lo scorrere sincopato del gioco, dopo averla ascoltata e assimilata con ore e ore di gioco, e al netto dei gusti personali, il lavoro sulla colonna sonora mi ha piacevolmente stupito.
Il multiplayer online, presente, funziona bene, ma  meglio se si hanno amici, così da riempire rapidamente una lobby che può affollarsi fino a 12 giocatori.

Conclusioni

Un lavoro davvero notevole quello di 34BigThings, coraggiosi a riprendere un filone così elitario, che seppur entusiasmante non è certo semplice da gestire, quello delle corse antigravitazionali, e che purtroppo ad oggi sembrava definitivamente morto.  Realizzato non con l’animo di pedissequa copia e mero ossequioso omaggio, ma confezionando un prodotto divertente, che si sforza, e riesce perfettamente, a distinguersi dal passato e donare nuove emozioni agli appassionati del genere e non.
Il track design è esuberante, la grafica (pur non esosa di risorse e quindi alla portata di qualsiasi elaboratore medio-basso) ispirata, personale e sempre bellissima da intravedere mentre si sfreccia a quasi  1000km/h. Poi il feeling dei controlli è perfetto, senza praticamente sbavature, la sfida ben calibrata (grazie agli interventi tempestivi del team) e c’è anche un buon comparto multiplayer, anche se purtroppo poco popolato.
Ottimi gli ingredienti, ineccepibile l’esecuzione; se siete fanatici di WipeOut in realtà dovreste già aver comprato il gioco, se non lo siete, ma amate l’adrenalina e la velocità, fatelo oggi; se non siete ne l’uno ne l’altro (o state attendendo la versione console), dovreste comunque farci un pensierino, non ve ne pentirete.
  • Good
    Meravigliosa sensazione di ipervelocità Controlli fluidi e responsivi ottimo track design
  • Bad
    Modalità carriera anonima Modelli delle navi non entusiasmanti
  • 8
  • Good
    Meravigliosa sensazione di ipervelocità Controlli fluidi e responsivi ottimo track design
  • Bad
    Modalità carriera anonima Modelli delle navi non entusiasmanti
  • 8

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