30 Mar 2020

Resident Evil 3 – Recensione

Dopo il meritato successo del remake di Resident Evil 2, pensare che Capcom si sarebbe dedicata a fare lo stesso anche con Resident Evil 3 era d’obbligo e scontato: non a caso, lo sviluppo è partito in parallelo al secondo capitolo. Ecco perché, a poco più di un anno dalla rocambolesca fuga di Leon Kennedy e Claire Redfield da una Raccoon City piegata dall’epidemia, siamo pronti a ritornare lungo le sue strade infette nei panni di Jill Valentine. In nostra compagnia c’è anche un Nemesis più terribile che mai, deciso a precluderci l’agognata salvezza in qualunque modo.

Che Resident Evil 3, nel 1999, sia nato sull’onda dell’incredibile successo di Resident Evil 2 è indubbio, ponendosi quasi più come un moderno DLC che non un gioco completo vero e proprio: ciò non significa che mancasse di qualità od originalità, avendo introdotto meccaniche inedite come la schivata e persino le scelte multiple capaci di determinare l’andamento dell’avventura. Non solo, alcune pubblicazioni nel corso degli anni hanno fornito materiale aggiuntivo per espandere la lore, fornendo a Capcom il giusto pretesto per andare a lavorare su un remake che non fosse solo quello, bensì la base per riscrivere e ampliare una serie spesso disordinata nella propria espansione.

Queste, assieme all’innegabile qualità emersa dai trailer e dai provati che ci hanno accompagnato nei lunghi mesi prima dell’ormai prossima uscita, sono le ragioni che ci hanno spinto a guardare Resident Evil 3 con un entusiasmo se possibile maggiore rispetto al secondo capitolo: le sue sconfinate potenzialità.

E Resident Evil 3 ci ha di fatto sorpreso, solo non nel modo che ci aspettavamo: prendiamo subito di petto l’elefante nella stanza, siamo di fronte a un gioco inferiore rispetto a Resident Evil 2 pressoché sotto ogni aspetto tranne quello tecnico/cinematografico. Una doccia gelata, penserete, ma è la stessa che abbiamo provato noi nel renderci conto che sotto la bellissima patina di una Jill perfettamente ricreata e caratterizzata, di un Nemesis possente e indistruttibile, e in generale di una resa ambientale curata nei dettagli, batte un cuore ludico molto debole. Veniamo inebriati da una scarica di adrenalina iniziale promettente, per poi realizzare quanto poco Resident Evil 3 abbia da offrire al’atto pratico, e non per una mancanza di contenuto pregresso, come abbiamo già avuto modo di sottolineare nell’introduzione.

Lentamente, ma nemmeno troppo considerato che la durata complessiva si attesta attorno alle quattro/cinque ore in modalità Estrema, emerge la differenza tra il team di sviluppo che si è occupato di Resident Evil 3 e il precedente: da un riciclo di asset e ambientazioni (che ci aspettavamo ma avremmo voluto fossero ampliate per l’occasione), a una forte linearità nelle varie sezioni di gioco – eccezion fatta per una che raggiunge i fasti qualitativi di Resident Evil 2 – fino a una generale struttura mordi-e-fuggi che ci accompagna lungo tutta l’esperienza, siamo di fronte a un gioco troppo condensato, veloce e privo di un vero senso di sfida.

Non facciamo in tempo a interiorizzare una nuova area che subito la stiamo abbandonando per passare alla successiva, senza più farvi ritorno: lo stesso backtracking è ridotto all’osso e se da un lato può sembrarvi una buona notizia, stanchi del continuo andirivieni con Leon e Claire, dall’altro denota come la componente survival di Resident Evil 3 ceda il passo a quella action. Potrebbe aver senso, se pensiamo che quella di Jill è una corsa contro il tempo, ma il tempo stesso è un concetto relativo quando si gioca, e allungare la nostra permanenza nelle varie zone implementando alcuni puzzle intriganti sarebbe stato perfetto. Qua, invece, sono del tutto assenti.

Resident Evil 3 è un gioco inferiore rispetto a Resident Evil 2 pressoché sotto ogni aspetto

Ci teniamo a sottolinearlo, soprattutto in virtù delle brillanti soluzioni adottate nel capitolo precedente: nel corso di tutta la partita non troverete un enigma che possa essere definito tale e il solo che richiederà da parte vostra un poco di impegno in più è bene o male un clone di quanto già visto in Resident Evil 2. A questo si aggiunge la povertà di scenari, con una Raccoon City blandamente lasciata a se stessa e non sfruttata quanto si sarebbe potuto: senza voler “rubare” le ambientazioni dai due Resident Evil: Outbreak, che comunque avrebbero trovato un loro spazio logico, si poteva inventare qualcosa di nuovo e soprattutto mantenere in toto quelle vecchie.

Questo per dire che uno dei luoghi più iconici del gioco è stato tagliato senza alcuna apparente ragione che non rimandi, purtroppo, a una qualche carenza interna del team stesso. Ridotta a una semplice arena per uno scontro con il boss, è una ferita aperta e sanguinante. È sopraggiunta, insomma, la decisione di rendere Resident Evil 3 un gioco su binari, tanto lineare nelle mappe quanto blando nella loro stessa risoluzione: la mancanza dell’aspetto survival inficia l’atmosfera stessa, che fatte ben poche eccezioni non raggiunge mai un climax – complice anche un sound design meno di peso rispetto al precedente capitolo.

A proposito di boss, tocchiamo un’altra nota dolente: il Nemesis. Ancora una volta siamo di fronte a un netto spartiacque per quanto riguarda qualità visiva ed efficacia in termini di gameplay. Il nostro inseguitore d’eccezione sarebbe stato molto efficace se non gli fossero stati dati pochi e scriptati momenti in cui dà la caccia a Jill e non fosse stato pensato quasi solo come un boss – due combattimenti, peraltro, sono identici nello svolgimento.

Come dicevamo, manca il senso di sfida anche perché impariamo presto come non ci saranno davvero avversari pronti a darci del filo da torcere, questo nonostante gli sviluppatori abbiano introdotto due nemici (ancora, della stessa tipologia) che con un solo attacco possono ucciderci: risultano più frustranti che impegnativi, senza contare che l’arsenale a nostra disposizione rende molto difficile soccombere una volta tolto l’elemento sorpresa. Un discorso simile può essere fatto per chiudere il cerchio sulle boss battle: un paio di queste in particolare le abbiamo trovate mal pensate, sviluppate più per portare a un inutile ed eccessivo spreco di munizioni che non per metterci alla prova.

Laddove la deriva più action del gioco è comprensibile e giustificabile narrativamente, prende del tutto il sopravvento sul gameplay evitando al giocatore il senso di crescente tensione dovuto al consumo di munizioni: ne troverete così tante, persino a fronte del fattore rischio/ricompensa con il quale gli sviluppatori vi tentano nell’esplorare alcune sezioni di gioco, che il timore di rimanere a secco non vi sfiorerà nemmeno. In questo senso si sarebbe potuta incastrare molto meglio la meccanica della schivata, uno dei pochi elementi degni di nota di Resident Evil 3: se eseguita perfettamente, attiverà un breve bullet time nel quale Jill punterà in automatico al punto debole del nemico e voi potrete investirlo di colpi. Affidandosi a questo e al fatto che, rispetto a Resident Evil 2, il vostro coltello non si rompe, si sarebbe potuta pensare una gestione più ristretta delle munizioni per infondere al giocatore non un senso di totale impotenza (visto che un’offensiva è quasi sempre possibile) quanto il sacro timore dovuto a una netta situazione d’inferiorità. Non aiutano i tagli rispetto all’originale e un level design davvero fin troppo semplicistico.

Per quanto assolutamente godibile, Resident Evil 3 è un gioco troppo condensato, veloce e privo di un vero senso di sfida

Tolta l’innegabile qualità tecnica, assieme alla forte impronta cinematografica che valorizza personaggi e situazioni, il vero problema di Resident Evil 3 non è il gioco in sé che alla fine risulta godibile e invita alla rigiocabilità, bensì uno svolgimento eccessivamente rapido: le varie sezioni sono troppo lineari persino per un’esperienza più improntata all’action, contenutisticamente deboli e inframmezzate da tempi morti che avrebbero potuto – quando non dovuto – essere riempite in diversi modi. Mancanze che hanno il loro peso, sottolineando una generale pigrizia nel voler inserire qualche mappa in più, nell’espandere un gioco per il quale c’erano tutti i presupposti, ma paradossalmente anche nel voler mantenere almeno i contenuti originali.

Ne risulta, con rammarico, un’occasione sprecata: per stare almeno al passo con Resident Evil 2 sarebbe stata sufficiente anche solo una campagna tre le sette e le nove ore, dedicando il giusto tempo a ogni area, aumentando il numero di inseguimenti del Nemesis, costruendo ambientazioni più elaborate e complesse, e soprattutto sfruttando meglio la città di Raccoon City in sé. Questo perché un’intera sezione di gioco è un riciclo a trecentosessanta gradi di un’ambientazione di Resident Evil 2, solo più ristretta. Nel complesso, dunque, Resident Evil 3 è un gioco che comincia bene per poi imboccare una graduale curva discendente e limitarsi a essere un buon prodotto, forse troppo caro per la sua offerta, ma niente di più.

Dedichiamo anche qualche parola a Resident Evil Resistance, l’esperienza multigiocatore che accompagna (come gioco a sé) Resident Evil 3: si tratta di un PvP nel quale un giocatore interpreta il Mastermind e altri quattro sopravvissuti, il cui compito è fuggire dai laboratori sotterranei dell’Umbrella prima che scada il tempo senza soccombere alle trappole che il loro carceriere appronterà per loro. Abbiamo trovato interessante la struttura nel complesso per entrambe le fazioni: da un lato è intrigante l’implementazione delle carte come base per il gameplay del Mastermind (sottolineando con maggiore forza, peraltro, quanto per lui o lei la sperimentazione sia al pari di un gioco), dall’altra la forte enfasi sulla cooperazione e sulla scelta oculata di una squadra che possa bilanciare le reciproche debolezze.

In fase di recensione non è stato facile trovare abbastanza giocatori per una partita ma siamo riusciti a progredire quanto basta per analizzare almeno un paio di Mastermind (Annette Birkin e Daniel Fabron), scoprendo piacevolmente quanto lo stile di gioco differisca l’uno dall’altro: non solo per l’arma biologica utilizzata come risorsa definitiva ma per il “mazzo da gioco” in sé. Per quanto sia personalizzabile in base ai potenziamenti acquistati con la valuta in game, rimane comunque vario abbastanza da far capire di star utilizzando due personaggi diversi. Va da sé che la chiave per la vittoria consiste nello sbloccare quanti più potenziamenti possibili in modo da creare uno stile che riesca a contrastare quello di quattro giocatori, che faranno leva sulla superiorità numerica per ingannare il Mastermind.

Rimane in sospeso la questione microtransazioni: per guadagnare nuovi potenziamenti si devono acquistare della casse Umbrella, disponibili in numero prestabilito e per grado di rarità, sfruttando i punti ottenuti a ogni partita in base al nostro risultato. Questi punti non possono essere acquistati, tuttavia è possibile comprare spendendo denaro reale dei booster che ne aumentano la quantità ottenuta in partita. Non sappiamo fino a che punto inficeranno il gioco, poiché il servizio sul PS Store sarà disponibile soltanto a partire dal lancio il prossimo 3 aprile, ma la speranza ovviamente è che non andranno ad alterarne in modo significativo gli equilibri.

Conclusioni

Resident Evil 3 è un netto passo indietro rispetto a Resident Evil 2: breve, poco ispirato in termini di level design, inspiegabilmente tagliato in alcune parti rispetto all’originale del 1999 e incapace di trasmettere lo stesso senso di angoscia del predecessore, è un gioco che mostra tutto il fianco di una produzione scialba. Si nota lo sviluppo da parte di un team diverso, che pur partendo dalle stesse basi – tecniche e non – della lunga notte di Leon e Claire non si avvicina agli stessi livelli e annaspa nel dare (non) vita a un’esperienza fin troppo concentrata e rapida: tanto è ottimo sul piano visivo e cinematografico, quanto insipido su quello ludico.

Resident Evil 3 sarebbe potuto essere la base per espandere la lore integrando tutte le informazioni pubblicate nel corso degli ultimi vent’anni, invece ha preferito rallentare, frenare addirittura, non trovando il coraggio di osare. Ne risulta un gioco godibile nel complesso ma ben lontano dall’eccellenza del precedente: intrattiene senza dubbio ma non soddisfa, lasciando la sensazione di un lavoro incompleto. Di un’occasione sprecata, quando tutto era estremamente a portata.