L’open world, terra promessa di videogiochi, saghe, software house. Pietra Filosofale che, nell’erronea percezione comune, avrebbe la portentosa facoltà di garantire, da sola, notorietà, qualità, vendite. Struttura di level design che ha fatto indubbiamente bene a Elden Ring per esempio, donando ulteriore spessore al linguaggio dei soulslike, ma che al tempo stesso ha condannato decine produzioni alla mediocre e vuota riproposizione di feature rincorse con scarsa convinzione.
Non è affatto una casualità se apriamo con una simile considerazione la recensione di Rise of the Ronin, nuova produzione in esclusiva per PlayStation 5, che nasce dalla stretta collaborazione tra il Team Ninja e Sony e che rappresenta la più naturale delle evoluzioni di un processo le cui origini si identificano in Nioh.
Quell’action lineare, per certi versi seminale, a sua volta frutto dell’esperienza maturata con i vari Ninja Gaiden e dalla lezione impartita da From Software a partire da Dark Souls, si è poi evoluto in un sequel che spingeva l’acceleratore con più convinzione sul combat system e, soprattutto, in Wo Long: Fallen Dynasty che timidamente proponeva un approccio open map e un combat system ulteriormente raffinato.
Naturale, da un certo punto di vista, l’approccio all’open world, ultima tappa di un’inevitabile progressione che oggi si attualizza in un gioco che sceglie come scenario il Giappone del periodo Bakumatsu, che segna la fine del sistema feudale e dello shogunato, con l’invasione delle navi straniere, battenti bandiera americana, capitanate dall’ammiraglio Matthew Perry.
La trama sulla carta si presenta estremamente ricca di spunti, nonché di appigli con cui fare breccia nei cuori di un’ampia e variegata tipologia di utenti. Dagli amanti della storia, a chi soffre il fascino di samurai e ronin, le fondamenta narrative sono sufficientemente profonde per accontentare un ampio pubblico.
All’atto pratico, purtroppo, non tutto funziona come dovrebbe. L’Enciclopedia, consultabile tramite un menù dedicato, offre un gran numero di schermate, puntualmente aggiornate, tali da restituire l’orizzonte entro cui la vicenda si sviluppa. Dalle note storiche, ai numerosi personaggi che incontrerete, tutto è ben annotato e la mole di appunti e documenti restituisce le dimensioni della fittissima e intricata trama messa a punto dagli artisti di Team Ninja.
Peccato che nel suo effettivo svolgersi, la narrazione sia ben poco accattivante. Un gran numero di figure si alternano sullo schermo, verrete coinvolti in tantissimi intrighi e missioni, esplorerete innumerevoli regioni e strutture, ma è pochissimo ciò che resta fisso nella mente del videogiocatore, sballottolato come sarà da una parte all’altra da personaggi privi di carisma e coinvolto in processi dalla difficile comprensione.
Questa mancanza di caratterizzazione, si ripercuote anche nello stesso mondo di gioco. Laddove Ghost of Tsushima si fece amare soprattutto per la direzione artistica di personaggi e scenari, il Giappone di Rise of the Ronin, che potete ovviamente acquistare da GameStop, perseguendo il realismo anche sul piano visivo, appare sbiadito, poco caratteristico, difficilmente attraente. Panorami dotati di fascino non mancano, ma complice una palette di colori non particolarmente satura, difficilmente si resta a bocca aperta.
In questo senso, lo stesso comparto tecnico concorre a mortificare la meraviglia e lo stupore del videogiocatore. Al di là di un frame rate che in certe situazioni singhiozza, eventualità piuttosto rare fortunatamente, a non convincere completamente è la povertà di dettagli generale degli scenari. I modelli poligonali non spiccano per realizzazione e il costante pop-up che accompagnerà ogni cavalcata nel mondo di gioco restituisce l’impressione globale di trovarsi di fronte ad una produzione per PlayStation 4, per quanto tirata a lucido.
Insomma, sul fronte prettamente artistico, Rise of the Ronin non brilla particolarmente. Trama, art design, grafica, anche il comparto sonoro, non spiccano, sebbene non ci siano grosse criticità tali da influenzare negativamente l’esperienza. C’è qualche colpo di scena, qualche panorama suggestivo, qualche personaggio più carismatico, ma si tratta di brevi e isolati lampi.
Un discorso simile lo si può estendere anche all’open world architettato da Team Ninja. Dimenticatevi non solo l’abbondanza di luoghi d’interesse di Elden Ring e The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, ma anche il brillante lavoro di level design implicito che, quasi per magia, imbriglia il videogiocatore in una sequela quasi infinita di variazioni sul percorso. Il Giappone di Rise of the Ronin è costellato di punti sulla mappa da raggiungere nel più breve tempo possibile, il più delle volte tramite un tragitto lineare, in cui nemmeno le asperità geografiche dello scenario costituiscono un ostacolo. Anche i nemici che potrete incontrare casualmente sono pochi e spesso mal organizzati.
L’open world è una caratteristica sfruttata fino ad un certo punto in Rise of the Ronin.
L’open world di Rise of the Ronin è insomma vecchio e privo di brio. I collezionabili, le missioni secondarie, i luoghi da scoprire per ottenere bonus di varia natura sono innumerevoli, non c’è dubbio, ma procederete da una zona all’altra spinti dallo spirito di completismo, più che dalla reale curiosità scaturita dalla semplice osservazione dell’orizzonte.
Rampino e aliante, due feature molto cavalcate in fase di presentazione, si rivelano due gadget fin troppo situazionali, indissolubilmente legati a zone circoscritte in cui farne un vero uso. Non c’è l’arrampicata libera di Link, né la libertà esplorativa concessa all’avatar di Elden Ring. Solo su determinati appigli potrete sfoderare il rampino. Di conseguenza solo su specifici edifici potrete spiccare il volo per planate controllate.
L’open world è insomma una caratteristica sfruttata fino ad un certo punto in Rise of the Ronin. Ci sono tanti avamposti da conquistare, torri da scalare, scrigni da aprire e missioni secondarie a cui prendere parte. Difficile dire che una strutturazione simile del level design non funzioni o che soffochi l’esperienza, ma sicuramente non aggiunge molto, non si interseca nel migliore dei modi né con la trama, né con la progressione. Semplicemente si procede da un punto all’altro, ammirando di tanto in tanto il panorama, aiutando di tanto in tanto qualche indifeso, esplorando di tanto in tanto qualche anfratto comunque sempre segnalato sulla mappa.
Dove Rise of the Ronin brilla senza lasciare alcun dubbio è il combat system, vero fiore all’occhiello della produzione e feature da sola sorreggere l’intera esperienza e motiva il videogiocatore quel tanto che basta da convincerlo ad accettare la successiva missione e prendere parte all’ennesimo viaggio.
I modelli di riferimento, poco a sorpresa, sono Nioh e Sekiro. Tutto ruota intorno al tempismo. Vista la velocità con cui si consuma la barra della stamina bisogna dosare ogni fendente. Le schivate sono una strategia a cui fare riferimento solo in specifici momenti della battaglia. Solo effettuando parate con il giusto tempismo aprirete la guardia dell’avversario per apportare fatali e spesso fondamentali danni critici.
Non viene utilizzato lo stesso metro punitivo visto in azione in Sekiro, almeno a livello di difficoltà standard. Quasi nessun colpo è fatale, anche i boss garantiscono margini d’errore e spesso l’attacco a testa bassa porta dei risultati, ma scordatevi di avere la meglio senza un minimo di strategia e, soprattutto, senza lo studio dell’avversario. Bisogna sempre osservare i movimenti del nemico, magari conoscerne in anticipo i pattern, valutarne lo stile adottato per adeguare il proprio di conseguenza.
Rise of the Ronin propone numerose armi divise per genere, ognuna delle quali a sua volta sottende diversi stili di combattimento. Anche in questo senso, l’esperienza è molto più accessibile rispetto a Sekiro, dal momento che icone e numeri indirizzano facilmente non solo sull’arma più potente, ma anche sullo stile più efficiente contro l’avversario di turno, così da modificarlo eventualmente in tempo reale.
Sulle prime hud di gioco e menù possono confondere, soprattutto a causa dell’altissimo numero di armi e armature che si accumulano in breve tempo, ma basta prendersi la briga di leggere i testi a schermo per prendere dimestichezza con il sistema.
Diventare tutt’uno con il proprio personaggio è difficile sulle prime, ma non impossibile. Eliminare un avversario con un singolo fendente, dopo aver parato ogni sua offensiva, regala un’immensa soddisfazione. Abbattere un boss dopo aver imparato ogni pattern, a suon di game over, vi farà sentire onnipotenti.
Dove Rise of the Ronin brilla senza lasciare alcun dubbio è il combat system
Rise of the Ronin, tuttavia, vuole anche essere un prodotto più malleabile di Nioh e Sekiro, e per fortuna verrebbe da dire. Come già suggerito, innanzitutto, propone tre differenti livelli di difficoltà, segno lampante che anche in questa tipologia di giochi si possa adottare una soluzione simile, senza mancare di rispetto a nessuno, nemmeno a chi cerca una sfida davvero ardua che troverà selezionando la difficoltà massima. Inoltre, se sul piano prettamente esplorativo la creatura di Team Ninja, non permette chissà quale libertà, l’approccio alla battaglia è lievemente più libero, visto che la maggior parte delle volte potrete sgattaiolare alle spalle delle sentinelle ed eliminarle una per una, senza ingaggiare (quasi) mai battaglia. Certo, questa strategia non funziona con tutti i nemici, quelli più forti dovrete comunque affrontarli viso a viso, ma quanto meno potrete evitare di trovarvi in inferiorità numerica.
A questo proposito, tornano utilissimi anche gli alleati, controllati dalla CPU o da qualche utente pescato dalla rete, che in particolari missioni potranno darvi supporto rendendovi la vita più semplice.
Dal punto di vista dell’accessibilità, insomma, Rise of the Ronin fa le cose al meglio. È difficile per chi cerca la sfida, ma fa di tutto per venire incontro anche a chi è alle prime armi.
In tutto questo, ultimo punto da analizzare, sulla progressione del personaggio è difficile non fare qualche appunto a Team Ninja. Lo skill tree che si dirama in quattro rami, sulla carta vuole incentivare il videogiocatore alla creazione di una build specifica, in accordo alla tipologia d’arma che si predilige. Purtroppo, all’atto pratico, si finisce per distribuire punti un po’ a caso, con l’unico obiettivo di ottenere quante più skill possibili in ogni ambito.
Ciò, principalmente, è dovuto all’inutile confusione del sistema che frammenta la progressione in fin troppe tipologie di punti acquisibili, oltre che in una frenesia di livelli ottenuti, stili offensivi sbloccati, bonus di ogni tipo determinati dall’equipaggiamento che si indossa in quel momento.
Va da sé che i più puntigliosi avranno innumerevoli schermate e dati di cui tenere conto per dare forma e vita al personaggio definitivo. La maggior parte dei videogiocatori, tuttavia, si accorgerà in fretta che né le skill sbloccate, né i bonus ulteriori ottenuti dall’equipaggiamento sono così determinanti per andare avanti nell’avventura, almeno a livello di difficoltà standard.
Le potenzialità ci sono, insomma, il sistema è di per sé raffinatissimo e architettato in ogni minimo dettaglio, ma da una parte è fin troppo ramificato, dall’altra si è poco incentivati a scoprire e sfruttarne ogni minima finezza.
Chi sperava in un grande capolavoro, resterà deluso da Rise of the Ronin. Sono tanti gli ambiti in cui il titolo di Team Ninja è deficitario o non riesce ad essere graffiante quanto sperato. A partire dalla trama, passando per il comparto tecnico, la progressione del personaggio e la strutturazione dell’open world, sono tanti gli ambiti in cui Rise of the Ronin non convince pienamente, per quanto non presenti criticità gravi tali da influenzare negativamente l’esperienza. Avremmo gradito un utilizzo più libero del rampino, avremmo sicuramente apprezzato una gestione del personaggio più puntuale, ci sarebbe piaciuto appassionarci maggiormente alla trama, ma ciò non toglie che sia comunque possibile ammirare bei paesaggi, creare una build efficienti, appassionarsi all’esplorazione della mappa. Di sicuro, dove il gioco non sbaglia è nel combat system ancor più raffinato di quelli incontrati in Nioh e Wo Long. Combattere vale da solo il prezzo del biglietto e anche se siete neofiti potrete vivere la vostra avventura selezionando il livello di difficoltà inferiore e facendovi aiutare dagli alleati in alcune missioni. Non un titolo perfetto, ma chi ama il genere saprà godersi l’esplorazione del Giappone durante il periodo Bakumatsu. |
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