rise of the tomb raider
10 Ott 2016

Rise of the Tomb Raider: 20 Year Celebration – Recensione

Se è vero che il primo amore non si scorda mai, impossibile dimenticarsi del primo Tomb Raider. Correva il lontano 1996 quando, quasi dal nulla, imparammo a conoscere quella giovane avventuriera dal grilletto facile, coinvolta in spedizioni mirabolanti alla ricerca dei più incredibili segreti sparsi nei quattro angoli del mondo.

Una Indiana Jones “in gonnella”, seppur in 20 anni di carriera di gonne se ne siano viste ben poche, determinata e coraggiosa come una tigre, capace di gettare le basi di un genere che, da lì a pochi anni, avrebbe scritto le fondamenta di parte della scuola del videogioco. E che, inutile dirlo, sarebbe divenuta modello di riferimento di una pletora di produzioni più o meno illustri per parecchio tempo. Impossibile, ripensando a quel primo leggendario capitolo, non riconoscere l’importanza, il peso del lascito della “creatura” dell’allora Core Design e il suo impatto epocale all’interno dell’Industria. Del resto, la rapidissima evoluzione del franchise nell’arco di nemmeno un decennio, tra maestosi alti e innegabili bassi, parla da sé abbastanza chiaramente: e lo status di icona di cui venne pregiata Lara, capace di bucare il muro del videogioco per diventare l’eroina per eccellenza in numerosi altri medium (cinema in primis), non è certo risultato di poca cosa.

Tomb Raider, o Tomb Raider “uno” – come ero solito citarlo in una delle milioni di volte in cui ne parlavo con amici appassionati – non è nella parte alta della classifica dei miei giochi preferiti per caso. A due decenni di distanza ricordo ancora il terrore nel muovermi in una giungla improvvisata del terzo livello, sperando che il famelico T-Rex non sentisse i miei passi, lo stupore assoluto nell’osservare le geometrie labirintiche di St. Francis’ Folly (il primo livello del secondo mondo, quando ancora il concetto di open world era fantascienza ed era facile rispondere a domande del tipo “dove sei arrivato?”) o, parimenti, l’angoscia nel dover ripetere una dozzina di volte il terribile scontro contro il Legless Mutant, quell’enorme creatura figlia di chissà quali ricerche che, su una piattaforma sospesa nel vuoto a centinaia di metri d’altezza, pattugliava i segreti della Great Pyramid. Questi sono solo alcuni dei tantissimi momenti memorabili che, in un modo o nell’altro, in molti dobbiamo a Lara Croft: il fascino dell’avventura che si fonde alla mitologia, dello scoperchiare tombe segrete nascoste negli anfratti più impensabili, di un tesoro più unico che raro che, come una scatola cinese, nasconde misteri ancora più grandi e pericolosi.

Se per un certo periodo della nostra vita di videogiocatori ci siamo sentiti dei tombaroli invincibili, questo lo dobbiamo esclusivamente a Lara: e ok che gli anni passano, ma il ricordo delle grandi avventure non muore mai. Esattamente come il “mito” di Lara Croft.

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Ok, fine della parentesi strappalacrime. A coronamento dei vent’anni di onorata attività di Miss Croft, Square Enix e Crystal Dynamics hanno optato per un compleanno di quelli memorabili, sfruttando in maniera particolarmente astuta l’arrivo su PlayStation 4 dell’ultima avventura (in termini cronologici) della bella avventuriera. Rise of the Tomb Raider, successo di critica e pubblico apparso lo scorso anno in esclusiva temporale su Xbox One e, soltanto un paio di settimane dopo, anche su PC, raggiunge finalmente l’ammiraglia Sony in un’Edizione Speciale, chiamata per l’appunto 20 Year Celebration. Un’edizione che va ben oltre il mero porting o la consueta “Game of the Year Edition” di cui oggigiorno si tende ad abusare: Rise of the Tomb Raider su PS4, come vedremo a breve, offre un set di contenuti inediti giocabili estremamente interessanti, che vanno ad affiancarsi ad un set di add on già rilasciati nel corso dell’anno appena trascorso e, immancabile, ad una lunga serie di chicche che andranno a colpire proprio nel centro dei cuori degli affezionati.

Prima di addentrarci nell’analisi del valore aggiunto di questa 20 Year Celebration vi rimandiamo alla lettura della nostra precedente recensione di Rise of the Tomb Raider per Xbox One, in modo da approfondirne il background narrativo e le principali novità in termini di gameplay introdotte dopo l’ottimo reboot del 2013. Novità che, per quanto concerne l’avventura principale, rimangono inalterate in questa migrazione su PlayStation 4: preparatevi dunque ad una visita nella gelida Siberia, alla ricerca delle tracce del Profeta e del suo incredibile segreto, che nasconde la verità sulla leggendaria fonte dell’eterna giovinezza. In termini di materiale, dicevamo, questa versione del ventennale affianca all’avventura principale tutti i contenuti digitali apparsi dal lancio del titolo ad oggi: le due avventure aggiuntive Baba Yaga: il Tempio della strega e Il Risveglio della Vecchia Oscurità, 12 set di abiti per Lara, 7 armi speciali e oltre 35 Carte Spedizione da usare nelle modalità di gioco tradizionali del titolo.

Un’edizione che va ben oltre il porting o la consueta “Game of the Year Edition”.

Come già ribadito, questo rappresenta solo l’inizio: per la gioia dei nostalgici saranno incluse nel pacchetto 5 skin “classiche” di Lara, equipaggiabili come Carte all’interno della modalità Spedizioni o, una volta raggiunti i credits, indossabili come normali abiti in corrispondenza di qualsiasi campo base. E dobbiamo ammettere che, nel tripudio della grafica ad alta risoluzione di Rise of the Tomb Raider, ritrovarsi con una protagonista tutta spigoli e (pochi) poligoni, un sorriso malinconico te lo fa strappare. A queste si aggiunge un sesto outfit, rivisitazione della tenuta Antartica utilizzata da Lara nel terzo capitolo della serie. Sopravvivenza Estrema rappresenta invece il livello di difficoltà per gli amanti delle sfide al limite dell’impossibile: la già problematica Sopravvivenza, disponibile lo scorso anno al termine dell’avventura principale, viene ulteriormente resa critica dall’eliminazione di tutti i checkpoint in gioco – toccherà quindi raccogliere il materiale necessario ad allestire i campi base e salvare “manualmente” ogniqualvolta possibile: il tutto, tenendo bene a mente che i parametri offensivi dei nostri nemici saranno ulteriormente incrementati. Considerando che si tratta di una delle richieste più accorate della fanbase di Tomb Raider, chi è causa del proprio mal pianga sé stesso…

La parte del leone spetta alle tre inedite modalità di gioco, introdotte dallo sviluppatore (stando a quanto riferitoci da Meagan Marie, Senior Community Manager di Crystal Dynamics nel corso di una recente intervista) per assecondare al massimo le esigenze e i gusti di una base di affiliati sempre più ampia: Legami di Sangue, per gli amanti dell’esplorazione e delle “cacce al tesoro”, L’Incubo di Lara, rivolta ai fedeli dell’horror e dell’azione senza compromessi, e Stoicismo Co-Op, per chiunque sia alla ricerca di una sfida cooperativa estrema dove l’ambiente ostile e le sue minacce sono sinonimo di morte, se non affrontati con intelligenza. Una ricetta per tutti i gusti, che riconferma a pieni voti le impressioni estremamente positive ravvisate in sede di anteprima.

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Legami di Sangue e L’Incubo di Lara saranno accessibili da un’apposita voce del menu principale, Maniero Croft, non appena raggiunto il primo campo base siberiano nella modalità Storia. Partiamo dal secondo contenuto aggiuntivo, questa inaspettata variante in salsa horror ambientata tra le mura della Magione di famiglia, infestata per l’occasione da creature spettrali. Tutto ruota attorno ad una maledizione di cui la protagonista è vittima: una maledizione che, se non spezzata in tempi rapidi, si tradurrà in eterna dannazione.

Il focus primario consiste nel trovare ed abbattere tre Teschi della Rabbia, demoni volanti simili a bucrani il cui “sacrificio” porterà allo scoperto il vero Demone dietro il delicato affare. Uno scontro facile soltanto all’apparenza: Lara inizierà ogni sfida in una stanza casuale dell’enorme castello, per poi farsi strada tra orde fameliche di zombie, alcuni dei quali armati di tutto punto, sino a stanare i tre obiettivi. Obiettivi che, a propria volta, modificano la propria posizione partita dopo partita: dei tre, non bastasse, almeno uno richiede di recuperare una Master Key (una sorta di passe-partout) per sbloccare la location ove si nasconde. Inutile sottolineare come la stessa posizione di questa chiave sia tutto tranne che costante, ma richiederà al giocatore di muoversi con attenzione lungo l’intero edificio sino a rinvenire il contenitore della preziosa reliquia.

Tutto questo, ovviamente, cercando di non rimetterci la pellaccia. Le creature che ostacolano questa impresa sono di tipologie differenti, e spaziano dal tradizionale nemico “standard” a quello potenziato, con caschetto antiproiettile sul capo, passando per mostri “in divisa storica” armati di sciabole e protetti da enormi scudi. Menzione speciale per i dinamitardi, soliti sfrecciare in direzione di Lara brandendo un candelotto di dinamite – che verrà fatto cadere al suolo qualora venga portato a segno anche un colpo non letale: un fattore da tenere in considerazione quando la situazione si fa affollata.

Il gameplay de L’Incubo di Lara, con le debite proporzioni, ricorda da vicino quanto visto a suo tempo in Left4Dead, con nemici soverchianti in termini numerici, capaci di muoversi rapidamente e tendere qualche intelligente imboscata. Così come gli ingredienti per preparare qualche medikit, anche i proiettili e l’armamentario in generale non mancano: i primi potranno essere raccolti dai corpi dei mostri abbattuti, rendendo di fatto improbabile l’evenienza di restare a secco di munizioni.

Per quanto concerne le armi, tre sono gli slot a disposizione di Lara: ben di più sono le bocche di fuoco disponibili a Villa Croft, disposte (ancora una volta) casualmente nelle numerose stanze ma facilmente identificabili da un paio di candele accese collocate attorno: scegliere le armi migliori tra quelle disponibili, caratterizzate da un diverso coefficiente di danno, tempo di ricarica o capacità in termini di munizioni, può fare davvero la differenza.

L’Incubo di Lara si è dimostrata modalità convincente.

L’Incubo di Lara, nonostante una longevità contenuta, si è dimostrata modalità convincente. Forte di un ritmo frenetico e incalzante, la componente cromatica votata all’oscurità (volutamente sporcata da imperfezioni e filtri presi in prestito alla cinematografia del terrore) si sposa bene col character design, che pur non eccedendo in termini di modellazione appare comunque vario e congeniale. Il livello di sfida è senza dubbio soddisfacente, così come il coefficiente di rigiocabilità – alla luce di una lunga serie di obiettivi secondari da sbloccare. Occhi e orecchie aperte, insomma: anche perché, se spediti al tappeto, sarà necessario ricominciare da zero la nostra caccia alle forze del male.

Legami di Sangue cambia invece le carte in regola, offrendo al giocatore un’avventura di matrice completamente esplorativa all’interno del Maniero Croft. Il “cattivo” di turno, questa volta, è Atlas de Mornay, zio materno di Lara da sempre ostile alla relazione tra la sorella e Richard, padre della protagonista. Alla morte dei genitori, la scomparsa del corpo della madre e l’assenza di un testamento scritto che la nomini erede sono sufficienti a rendere Lara una semplice “ospite” all’interno della ricca magione, passata nel mentre al controllo dello zio in quanto unico curatore del patrimonio Croft: l’unica possibilità, nell’arco dell’ultima settimana che le è stata concessa, è trovare un documento, una prova, qualsiasi cosa le permette di impugnare la decisione dello zio. Il segreto è nascosto nella cassaforte all’interno dello studio del padre: ma da un archeologo appassionato di enigmi e cifrature difficile aspettarsi una combinazione scritta a caratteri cubitali su una parete.

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Legami di Sangue rappresenta dunque una rivisitazione della classica caccia al tesoro a enigmi o, in termini più strettamente videoludici, un adventure game in terza persona caratterizzato da un mix equilibrato di esplorazione e risoluzione di enigmi. Viene richiesto di trovare specifici oggetti utili a progredire (piede di porco, chiavi, torce portatili), di analizzare mappe segrete che reagiscono al calore, di decifrare simboli egizi, quadri e quant’altro sino a carpire il senso dell’indizio. Il contesto, chiaramente, è l’intera “legacy” di Tomb Raider: per tutta la durata dell’avventura, che abbiamo terminato in poco più di un’ora al 91% prendendoci la calma dovuta, avremo a che fare con lettere, registrazioni o tracce del passato della sfortunata famiglia Croft. Tutti elementi che ci permettono di capire il dramma di Lord Croft, l’allontanamento dalla propria famiglia per inseguire il mito dell’eterna giovinezza, la crisi famigliare e il progressivo distaccamento dalla moglie, sino alla sua morte improvvisa. Gli amanti della narrazione troveranno in questa modalità pane per i propri denti, laddove parte dei dubbi personali e delle incertezze di Lara, in Rise of the Tomb Raider, vengono scatenati da vicende e vicissitudini citate e spiegate proprio in Legami di Sangue. Certo, maggiore sarà il numero di collezionabili raccolti (due dipinti, una quarantina di documenti e oltre cinquanta reliquie) e maggiori saranno le informazioni in nostro possesso: ma la dedizione, come sempre, viene ripagata.

Legami di Sangue offre inoltre una seconda modalità di gioco, interamente dedicata a PS VR. Sarà dunque possibile muoversi in prima persona all’interno del maniero Croft sfruttando il nuovo visore di casa Sony, per un’immersività e un coinvolgimento inediti nella serie. Per motivi “pratici”, lo sviluppatore ha tolto a Lara la possibilità di correre – potrà suolo camminare, rendendo così l’esperienza potenzialmente meno fastidiosa ad un pubblico alle prime prove con la Realtà Virtuale, integrando l’utilizzo fisico del controller per puntare la torcia e far ruotare gli oggetti al fine di trovarne specifici indizi, oltre che per la naturale gestione dei movimenti di Lara.

A tal riguardo saranno disponibili due modalità di utilizzo: la prima, Comfort Mode, prevede l’utilizzo dei trigger posteriori per “puntare” una specifica posizione – a mo di click, tiltando poi il DualShock per raggiungere la posizione prescelta, affiancati dai dorsali L1 e R1 per ruotare la telecamera; il Free Mode, invece, integra i comandi tradizionali a quelli appena esposti, rendendo di fatto possibile muoversi e cambiare inquadratura usando gli stick destro e sinistro. Premesso che, in sede di recensione, non abbiamo potuto provare in prima persona questa insolita modalità VR, vi rimandiano ancora una volta al nostro test, effettuato poco meno di un mese fa in sede di anteprima.

Legami di Sangue è una rivisitazione della classica caccia al tesoro a enigmi

La variante cooperativa di Stoicismo rappresenta l’ultima new entry di lusso in questo interessante pacchetto celebrativo di Tomb Raider. Pur non avendo potuto testare a fondo questo atteso contenuto extra in sede di recensione, per motivi di infrastruttura legati al funzionamento dei server di Square Enix, nemmeno un mese fa abbiamo potuto avventurarci nei boschi siberiani in compagnia di un esperto collega per verificare se sopravvivere in condizioni ostili fosse davvero così difficile. E, nel caso aveste qualche dubbio, sì, lo è.

I fedelissimi di Lara dovrebbero conoscere già abbastanza bene la modalità single player: immersa nel gelo inospitale siberiano, la nostra eroina dovrà resistere quanto più a lungo possibile a freddo, fame, belve feroci e adepti della Trinità cercando di stanare quante più reliquie possibili. Una volta recuperate, basterà accendere un fuoco segnalatore (a patto di avere quanto necessario per imbastire il fuocherello) ed abbandonare la zona.

Le meccaniche base, in questa trasposizione cooperativa, non subiscono modifiche sostanziali, se non una maggior enfasi sugli effetti deleteri dell’ambiente nelle protagoniste. Giocare di squadra si traduce rapidamente più in una necessità che in un caldo consiglio da valutare: prima di tutto, perché il cibo raccolto da un giocatore viene automaticamente condiviso se la distanza lo permette, e secondo perché, dovesse andar male qualcosa e uno dei due finisse al tappeto, il secondo ha poco meno di un minuto per raggiungerlo e rianimarlo. Tutto questo, ovviamente, senza contare le minori difficoltà ad abbattere lupi o simpatici orsi, se a sparare ci si ritrova in due.

Però, e c’è un però, se Stoicismo in co-op ci ha catturato così tanto non può essere certo tutto così facile: i meter di fame e freddo, collocati nella parte alta sinistra dello schermo, precipitano verso il fondo ad una velocità incredibile. Per non terminare anzitempo questa gita in Siberia, la cui permanenza verrà salvata sotto forma di durata in giorni su apposite classifiche globali, sarà necessario muoversi rapidamente per procacciare cibo, legna e quant’altro necessario per accendere i fuochi nei campi base – o, alle brutte, trovare una caverna protetta dalla tempesta se il congelamento inizia a farsi preoccupante.

Muoversi costantemente “a coppia” dimezzerà l’area esplorata (chi vi dice che, esattamente dalla parte opposta in cui vi state muovendo, non ci sia tutto quello che serve a sopravvivere?), ma separarsi per lunghi periodi in solitaria può essere controproducente per i motivi detti sopra: ne scaturisce un trade off tanto letale quanto entusiasmante, che obbliga i due giocatori connessi a scambiarsi costantemente informazioni e a collaborare al massimo per la riuscita della missione. Doveste perdere il vostro riferimento, per dovere di cronaca, basterà attivare i sensi del proprio PG per avere un’informazione sulla posizione del compagno di squadra. Nulla che una sana chat in-game fatta come si deve non possa risolvere.

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Perché questa modalità cooperativa ci ha affascinato? Indubbiamente, la presenza di un secondo giocatore su cui è possibile fare affidamento rende Stoicismo meno complicata e parimenti più coinvolgente dell’esperienza single player. Senza dubbio si tratta di una modalità estrema, che soppesa la totale avulsione dalla storyline principale di Rise of the Tomb Raider con un’enfasi sul concetto di sopravvivenza e di “far squadra” per non diventare ghiaccioli o cibo per orsi.

Tra le tre novità maggiori proposte, Stoicismo co-op rappresenta forse la sfida più intensa ma allo stesso tempo più appagante, forte di una rigiocabilità elevatissima – grazie anche alla possibilità di sbizzarrirsi con le Carte Spedizione per sperimentare combinazioni ancor più letali – e, potenzialmente, di un andamento sempre diverso partita dopo partita. Il mix di componenti al suo interno, che spaziano da sequenze combat all’esplorazione frenetica vista la costante penuria di tempo unite all’inderogabile “tatticismo” che determina le azioni dei due compagni di viaggio, insomma, è una vera bomba.

Un vademecum dell’avventura che non merita di essere perso per nessuna ragione

Da un punto di vista tecnologico, il lavoro di conversione del team di Crystal Dynamics può dirsi assolutamente riuscito: questo “nuovo” Rise of the Tomb Raider non sfigura affatto nell’ammiraglia Sony, fornendo una componente visiva di elevati standard e, più un generale, una complessità poligonale ben al di sopra del soddisfacente per quanto concerne la modellazione dei personaggi, siano essi primari o no. Ottimo ancora una volta il level design, che regala scorci ispiratissimi ed evocativi tanto nella Siberia quanto nei livelli iniziali in terra Siriana, dove l’orizzonte dai monti sembra non finire mai.

Nel complesso siamo di fronte ad un prodotto validissimo in un’ottica tecnologica, sia per grafica che per sonoro (il doppiaggio in italiano si assesta ben al di sopra delle medie nostrane): volendo essere pignoli, non abbiamo ravvisato dei balzi significativi in avanti rispetto alla versione Xbox One, se non un frame rate leggermente più stabile – specie nelle fasi finali – e una fluidità di poco maggiore nell’ammiraglia Sony. Non che potessimo certo aspettarci rivoluzioni in tal direzione, vista la bontà del materiale originale apparso lo scorso ottobre: diciamo che, alcuni leggeri glitch, avrebbero potuto essere sistemati nel mentre. Ma di fronte alla quantità di contenuti di questo Tomb Raider, tutto sommato, siamo disposti anche a chiudere un occhio.

Conclusioni

A chiedere gli anni ad una signorina, si sa, si passa per maleducati; a chiederli a Lara Croft si rischia di rimanere di sasso. O, per alcuni di noi, si rischia di sentirsi di colpo più vecchi del solito.

Del resto vent’anni non sono certo un batter di ciglia, e non è certo impresa da tutti riuscire, tra immancabili alti e bassi, a mantenere quello status di Icona dell’universo dei videogiochi per la bellezza di due decenni. Tomb Raider è uno di quei franchise di cui, da qui a parecchi anni, sentiremo parlare ancora: vuoi perché, ancora oggi, da esso traggono ispirazione titoli o serie – alcune delle quali particolarmente quotate – rivolte ad un pubblico incline all’avventura; vuoi perché, con due cartucce su due andate a segno a partire dal citato reboot, difficile non immaginare da qui a breve un terzo episodio “moderno”. Di motivi potremmo snocciolarne ancora parecchi, ma la realtà dei fatti rimane sempre la stessa: quando si pensa al tesoro, all’esplorazione, all’avventura sepolti in piramidi zeppe di trappole letali e nemici incredibili, c’è solo un nome che mette tutti d’accordo.

E quel nome è Lara Croft. Con questa 20 Year Celebration, Rise of the Tomb Raider raggiunge PlayStation 4 nel migliore dei modi possibili: un’avventura intensa, già premiata a gran voce lo scorso anno, corroborata da un set di contenuti “a tema Lara” (le skin classiche, per quanto prevedibili, sono una chicca da intenditori) e da tre nuove modalità di gioco che, da sole, varrebbero l’intero prezzo del biglietto.

Col passaggio all’ammiraglia Sony, quasi a voler celebrare quel leggendario “Tomb Raider Uno” apparso sulla prima PlayStation, Square Enix e Crystal Dynamics mettono a segno un autentico colpo da maestro, offrendo un ricco vademecum dell’avventura digitale che non merita di essere perso per nessuna ragione al mondo. Manca solo la fetta di torta per il compleanno di Lara: ma, al vostro posto, lungi dai noi rinunciare ai festeggiamenti.

 

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