Una crisi senza fine
Non ci sono solo le ondate di licenziamenti e gli studi che vengono chiusi con preoccupante cadenza regolare a segnalare che più di un meccanismo nell’industria videoludica si sia inceppato. C’è qualcosa di più sottile, inavvertibile, sinistro che si comincia a respirare nell’aria. Un qualcosa che potremmo identificare come un generale clima di scetticismo, di sfiducia, di pessimismo, qualcosa che non toccava il medium almeno dai tempi del così detto Atari shock, a cavallo tra il 1983 e il 1984, ovvero un’era geologica fa, considerando la velocità con cui il settore è cresciuto e cambiato da allora.
Non sono certo mancati, nel corso degli anni successivi, flop, inaspettate chiusure, aziende che si sono pesantemente ridimensionate, bilanci in rosso. La maggior parte di questi tracolli, tuttavia, erano riconducibili al singolo, ad un periodo limitatissimo, a fasi che non contrastavano affatto l’ascesa dei videogiochi al ruolo di settore dell’intrattenimento con il giro d’affari più ampio di tutti.
Oggi la crisi sembra sistemica, irreversibile, destinata a trasformare il medium che, per forza di cose, dovrà in qualche modo riadattarsi e riorganizzarsi.
Il caso Ubisoft, le notizie che hanno coinvolto il publisher francese negli ultimi giorni hanno offerto nuove e pessimistiche prospettive su quella che sembra una recessione non solo ed esclusivamente di natura economica.
Da una parte l’insuccesso di Star Wars Outlaw. Dall’altra il rinvio di Assassin’s Creed Shadows al 14 febbraio. Infine, lo smembramento del team che ha dato forma e vita all’ottimo Prince of Persia: The Lost Crown, che potete recuperare ad un ottimo prezzo sullo shop online di GameStop. Tre eventi che meritano di essere commentati, per comprendere quanto questa crisi sia profonda e abbia ormai raggiunto dimensioni preoccupanti.
Cominciamo proprio dal gioco ambientato nell’universo immaginifico partorito dalla brillante mente di George Lucas. Nonostante la critica sia stata piuttosto benevola con la produzione, nella nostra recensione lo abbiamo premiato con un 8.8, a quanto pare il gioco avrebbe venduto in totale poco più di un milione di copie. Troppo poco per un titolo su licenza, troppo poco per un tripla A del 2024, dove per rientrare nei costi di produzione e marketing i risultati da raggiungere devono essere ben altri.
Star Wars Outlaws potrebbe aver fallito anche in merito al prezzo di vendita
Nonostante la qualità di fondo del gioco, insomma, in pochi gli hanno voluto dare una chance, nonostante gli sconti segnalati da più parti, e su più store online, a breve distanza dal day one. Da questo punto di vista, insomma, la crisi del settore sembra essersi palesata sottoforma di pregiudizio e di scetticismo. Dopo anni di titoli sotto le aspettative o che riproponevano meccaniche già viste altrove, il pubblico sembra ormai piuttosto diffidente nei confronti di Ubisoft, al punto da anteporre la sfiducia alla possibilità di ritrovarsi tra le mani un gioco piacevole e ben realizzato, pur con i suoi innegabili dubbi. Star Wars Outlaw è stato stritolato prima di tutto da questo genere di sentimenti, oltre che dallo sfruttamento intensivo, spesso con risultati rivedibili, che sta subendo negli ultimi anni da quando la gestione è passata a Disney.
Prendiamo ora Assassin’s Creed Shadows. Dopo l’annuncio in pompa magna, dopo aver finalmente ambientato un capitolo della serie in Giappone, come sperato per anni dai fan, il clima si è progressivamente raffreddato attorno alla produzione. Troppo vicino il richiamo a Ghost of Tsushima. Troppo canonico per sembrare di poter offrire qualcosa di veramente nuovo. Troppo woke, persino, stando a sentire le ormai tristemente solite critiche di una frangia poco lucida di videogiocatori.
Per tutta risposta, Ubisoft ha preso del tempo, spostando la data di pubblicazione al 14 febbraio del 2025. Seppur ancora ignoti, i motivi del ritardo non solo hanno fatto registrare un ulteriore deprezzamento delle azioni del publisher francese, ma hanno quanto mai palesato lo stato d’ansia e la preoccupazione che serpeggia nella dirigenza dell’azienda, ben consapevole di non potersi permettere un altro scivolone, soprattutto in relazione alla sua saga di punta. Il clima di perenne mortalità che permea il settore è qualcosa che ormai è diventato palpabile e che contrasta fortemente le parole del compianto ex presidente di Nintendo, Satoru Iwata, quando sottolineava che per produrre qualcosa di bello ed efficiente bisogna innanzitutto preoccuparsi di creare un ambiente di lavoro salutare e positivo.
Giungiamo infine alla notizia più recente, allo smembramento del team responsabile di Prince of Persia: The Lost Crown. Nessuna chiusura, una volta tanto, né licenziamenti, quanto una ricollocazione, ma la mossa strategica è comunque simbolica. La decisione di riprendere il brand, un giorno indefinito, ma senza confermarne direttamente un sequel, che quindi ne ricalchi meccaniche e art design, è un altro fattore che di fatto testimonia il fallimento del progetto, l’insoddisfazione dei risultati economici raggiunti tramite il gioco.
La questione, se possibile, è ancora più grave considerando un elemento. Star Wars Outlaws potrebbe aver fallito anche in merito al prezzo di vendita. È possibile che, dopo anni di rincari, 80€ per un videogioco sia una soglia inaccettabile da parte del grande pubblico, una spesa tale per cui l’investimento viene effettuato solo poche volte l’anno, esclusivamente per titoli che assicurano divertimento e qualità. Ma per Prince of Persia: The Lost Crown, venduto ad un prezzo budget, il discorso non è ovviamente valido, né si può tirare in ballo lo scarso appeal di una delle saghe più longeve e conosciute di tutte.
Questa vicenda sembra la perfetta crasi di ciò che è accaduto con Star Wars Outlaws e Assassin’s Creed Shadows. Da una parte abbiamo una dirigenza poco lungimirante e lucida, che sceglie di scorporare un team che ha dato prova di saperci fare. Dall’altra un pubblico che non premia un prodotto di qualità, vuoi per una certa sfiducia in Ubisoft, vuoi per risparmiare i soldi per altro, vuoi, altro addendo da aggiungere all’equazione, per un’offerta ormai ampissima che disperde ulteriormente la audience potenziale.
Troppa scelta, troppi titoli in uscita sono indubbiamente un ulteriore fattore da valutare nell’odierno panorama videoludico, tanto più se si considera che una buona fetta di utenti continua ad intrattenersi a titoli pubblicati anni e anni fa, come Fortnite, Roblox e Minecraft, una percentuale sempre maggiore è attratta dai free-to-play e le nuove generazioni sembrano preferire titoli mobile a produzioni più canoniche che vengono pubblicate su console e PC.
Il caso Ubisoft è la cartina tornasole di un’industria che sta perdendo slancio, certezza, fiducia
Il momento storico sembra abbastanza delicato, con poche vie d’uscita certe. PlayStation 5 Pro porterà sicuramente un minimo di entusiasmo nell’ambiente, ma sembra che buona parte delle chance di rilancio passino nuovamente per la Grande N, che con il successore di Nintendo Switch potrebbe far capire a produttori hardware e publisher di tutto il mondo che la corsa tecnologica fine a sé stessa è ormai diventato un pericoloso boomerang che rischia di mandare a piedi all’aria gli sviluppatori, dal momento che mondi sempre più ampi e grafiche sempre più realistiche non sono per forza un’assicurazione sull’appeal che i progetti possono avere sul pubblico.
Il caso Ubisoft è la cartina tornasole di un’industria che sta perdendo slancio, certezza, fiducia nei confronti dell’utenza a cui si rivolgono. Il concetto di videogioco sta cambiando e con esso i potenziali acquirenti. Non sappiamo se e quanto le console sopravvivranno, se e come i titoli tripla A riusciranno a reinventarsi, con quali strategie i publisher intendono rilanciarsi.
Di sicuro la battaglia diventa ogni giorno più difficile, perché oltre ai conti da far quadrare, bisogna anche contrastare un pessimismo sempre più endemico.
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