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SEASON: A Letter to the Future – Recensione

SEASON: A Letter to the Future parla di quella volta che giocai in spiaggia a calcio con mio padre, in una di quelle partite in cui le porte non sono altro che dei sandali piantati nella sabbia, in cui serpeggia perennemente il dubbio se la palla sia realmente entrata o meno, soprattutto quando la sfera si alza un po’ troppo dal suolo. Quel giorno di tanti anni fa, c’era un delicato profumo di pioggia nell’aria e il garrire dei gabbiani si alternava ritmicamente al rumore del pallone sollecitato da calci mai precisi, mai inferti con un minimo di tecnica.

Parla di un corridoio di una terza superiore, dove il divertito vociare di un gruppo di adolescenti svanì in un secondo quando, dall’ingresso sul fondo, quello con a fianco la macchinetta che distribuiva panini e pizze che sapevano di conservanti e derivati chimici, comparve quella chioma rossa, che poi divenne un paio d’occhi scuri magnetici, che poi divenne un sorriso ammaliante, che poi finì per essere un profumo fruttato che evaporò velocemente nell’aria.

Parla, tra le altre cose, di quando venni a sapere, tragicamente e di punto in bianco, che il mio migliore amico non c’era più. Di come quel cielo di fine estate, già scuro a quell’ora del tardo pomeriggio, si sposasse alla perfezione con un mondo che intorno a me aveva istantaneamente perso qualche colore, qualche profumo, qualche sapore.

SEASON: A Letter to the Future, per dirla in altri termini, parla dei ricordi, della nostalgia, dell’abbandono, della morte, della fine, la fine di tutto, di una relazione, di un’epoca, di un mondo, del nostro mondo, tangibile o meno che sia. Eppure, nonostante le apparenze, non c’è un pizzico di pessimismo, nessuna conclusione amara, né c’è spazio per il cinismo nichilista a cui, forse, fin troppe opere contemporanee ci hanno abituato. Quasi portandoci all’assuefazione.

SEASON: A Letter to the Future, infatti, è pura catarsi, una seduta d’analisi psicologica consigliatissima soprattutto a chi ha difficoltà nel lasciar andare le cose o soffre di una nostalgia opprimente e soffocante. Con una delicatezza intangibile, mette in scena un’allegoria toccante, ma vibrante di vita, di ottimismo, di speranza nel futuro. Tira in ballo una protagonista giovanissima, per immergervi in un romanzo di formazione interattivo, in cui il fine ultimo consiste nell’incentivare la crescita dell’utente stesso, una crescita possibile proprio perché attiva, quasi magicamente, un processo di evoluzione interiore. E anche se giunti ai titoli di coda non ci si scopre particolarmente migliori, o banalmente più saggi, di quando si è iniziato, si realizza in ogni caso una più approfondita conoscenza di sé, si prende consapevolezza di aver imparato qualcosa sulla propria sensibilità ed interiorità, attraverso un viaggio alla scoperta del mondo, dell’altro, dell’ignoto. Perché l’antropologia, in realtà, non è altro che pura introspezione.

Estelle, come tutti gli altri abitanti del suo villaggio, che ormai da anni non si apre a ciò che esiste al di fuori delle mura che lo tengono protetto, sa che tutto ciò che conosce sta per finire. Non è l’apocalisse, per lo meno non ne ha le sembianze, ma i segnali sono chiari: si sta per chiudere definitivamente un’epoca, un tempo storico che svanirà nel nulla.

Decisa a lasciare una testimonianza del suo presente a chi verrà dopo di lei, decide di partire, in sella ad una bicicletta, armata di registratore vocale e macchina fotografica, al fine di raccogliere quanti più ricordi del suo viaggio e del suo mondo, da appuntare sul suo diario multimediale, giornale di bordo che, pagina dopo pagina, può essere riempito con istantanee, clip sonore, timbri, didascalie. Tocca al videogiocatore stesso decidere cosa valga la pena essere appuntato, in una selezione che finisce, per l’appunto, per essere estremamente personale, diversa persino di partita in partita.

Anche quando i dialoghi toccano tematiche come la guerra, la morte, l’abbandono, permane sempre un sottofondo di ottimismo

Nei panni di Estelle si esplora, ci si perde in questi acquerelli dai colori meravigliosi e si cerca di aprire il più possibile occhi e orecchie, a caccia del dettaglio, del panorama, del rumore che più attiri la nostra attenzione. SEASON: A Letter to the Future vive di spaccati di questo mondo alla Miyazaki, il regista dello Studio Ghibli beninteso, capaci di emozionare e di costringerci ad interrompere l’incedere, mettendo non solo il gioco in pausa, ma anche noi stessi, creando un contrasto netto con la vita frenetica che solitamente esperiamo ogni giorno, tipo d’esistenza che soffoca i pensieri e mortifica la pura contemplazione estetica.

A fare da contraltare ad un comparto visivo semplicemente mozzafiato, ci pensa una trama che vive di dialoghi semplicemente meravigliosi, suggestionanti, carichi di una poesia commovente. Proprio nell’incontro con gli altri personaggi, con quanto di più diverso dal sé possa esserci insomma, Estelle compie le sue indagini più suggestive e filosoficamente ricche di contenuti.

Scegliendo quali domande porre al suo interlocutore, riceverà notizie relative al passato del mondo che abita, alle abitudini di chi si trova davanti, indagherà sulle biografie degli intervistati facendo luce sulle loro diverse fasi della vita. Anche in questo caso, insomma, dovrete fare una selezione, scegliendo cosa trasmettere oltre l’epoca che sta per concludersi e cosa, invece, tralasciare per sempre.

È proprio attraverso questa selezione che SEASON: A Letter to the Future ci parla più da vicino e tratteggia i contorni della nostra sensibilità ed emotività. Sfrutta panorami meravigliosi e dialoghi suggestivi per esporre la parte più sensibile di ognuno di noi, per poi costringerci a scelte che parlano di noi stessi lasciandoci decidere cosa fotografare, cosa registrare, quali domande porre. Quali ricordi, e cosa di questi ricordi, ricordare per l’appunto.

In tutto questo, come già anticipato, non c’è traccia di pericoli, avversari, minacce, di tangibile pessimismo, anche di fronte ad una catastrofe che sembra inevitabile e dalle conseguenze indefinite. Anche quando i dialoghi toccano tematiche come la guerra, la morte, l’abbandono, permane sempre un sottofondo di ottimismo, c’è sempre una conclusione che permette uno sguardo speranzoso sulla vita e sul futuro. Siamo figli dei nostri drammi, suggerisce il gioco, siamo sgorgati da essi e tramite essi possiamo ancora collezionare nuovi, splendidi, ricordi.

Questa è certamente la principale forza della creatura di Scavengers Studio che attraverso il suo art design, attraverso le sue parole, riesce a infondere sentimenti positivi in chi gioca, catarsi che paradossalmente si schiude quasi sempre a partire da un’assenza, come quella del padre di Estelle; da un dramma, come la guerra che sembra aver sconvolto lo stesso villaggio della protagonista anni prima;  da piccoli e grandi disagi psicologici di cui sembrano soffrire molti personaggi incontrati, come quello dell’anziana del villaggio di cui sopra, che ha sofferto e subito la perdita di entrambi i genitori.

Strepitoso, tra l’altro, anche il lavoro svolto sul piano del sonoro. La colonna sonora sostiene l’avventura con musiche ora appena accennate, ora capaci di incrementare il carico emozionale di ogni scena. Gli effetti, invece, sono tutti perfettamente realizzati e concorrono a infondere vita agli scenari che esplorerete.

Se proprio vogliamo trovare qualche difetto nel gioco, questi vanno ricercati nella presenza di qualche bug e glitch. Nulla di preoccupante, né in grado di ostacolare la fruizione del gioco, ma di tanto in tanto c’è un po’ di pop-up, qualche cattiva collisione tra poligoni, qualche animazione non prevista.

 

Conclusioni

SEASON: A Letter to the Future è un concentrato di poesia e panorami mozzafiato, un’esperienza da godersi, ancor meglio se a piccole dosi, consapevoli di avere a che fare con un videogioco particolare che non vuole lanciare una sfida al videogiocatore, non esiste game over, né scontri o battaglie, quanto invitarlo ad una crescita interiore, ad un esame della propria interiorità.

Meravigliosamente scritto, artisticamente ispiratissimo, vivrete un viaggio sensazionale che vi commuoverà più e più volte. Dai dialoghi con altri personaggi, ai monologhi di Estelle, più e più volte sarete colti dal desiderio di appuntarvi certe frasi, certe conclusioni, certi spunti filosofici. Al tempo stesso, nel rammaricarvi di non poter conservare ogni foto, ogni suono, ogni dialogo sul vostro diario, comporrete un viaggio unico che inevitabilmente finirà con il rappresentarvi e con il raccontare qualcosa di voi, non solo del magico mondo che esplorerete.

Un titolo tanto atipico, quanto imprescindibile per chi è attratto dalle esperienze particolari o chi non vede l’ora di farsi raccontare una bellissima storia.

Unico appunto, il gioco è interamente in inglese, sia il parlato che i sottotitoli. Nulla di insuperabile, anche avendo una conoscenza base della lingua, ma si tratta indubbiamente di un ostacolo di cui tenere conto, soprattutto vista l’importanza dei testi nell’economia dell’esperienza.

In ogni caso, SEASON: A Letter to the Future è già un credibile candidato al titolo di miglior indie del 2023 e non solo.

 

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  • Good
    Art design ispiratissimo Trama splendida Sound design strepitoso
  • Bad
    Solo in inglese Qualche bug
  • 9
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  • Good
    Art design ispiratissimo Trama splendida Sound design strepitoso
  • Bad
    Solo in inglese Qualche bug
  • 9

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