Secret of Mana – Recensione

Per i gamer più attempati, il nome Secret of Mana riporta alla mente l’epoca d’oro degli RPG made in Japan, anni in cui i vari episodi di Zelda, Final Fantasy e Dragon Quest la facevano da padrone settando modelli che sarebbero poi rimasti, per gli anni a venire, come punto di riferimento ed evoluzione di questo genere. L’arrivo, nel 1993, di Secret of Mana andò ad interrompere il predominio di Zelda e di Final Fantasy proponendo, pur provenendo dalla medesima software house responsabile dei natali della fantasia finale, un combat system più votato all’azione che fece immediatamente breccia nel cuore degli appassionati.

A distanza, dunque, di venticinque anni dalla sua prima incarnazione, e dopo svariate apparizioni su dispositivi mobile iOS e Android, assistiamo dunque al ritorno in auge di questa serie grazie ad un remake 3D che ha portato su PC, PS4 e PsVita questo intramontabile classico, permettendo tanto ai nostalgici, quanto ai gamer dell’ultima ora, di mettere le mani su un prodotto imprescindibile per gli amanti del genere.

Si tratta dunque del gioco definitivo o di un tentativo approssimato ed approssimativo di mungere ulteriore latte grazie al famoso “effetto nostalgia”? Scopriamolo insieme.

Secret of Mana racconta la storia di un mondo permeato dal mana, sostanza dal potere inenarrabile, un mondo ora in pace ma in cui, generazioni prima, si era assistito (in seguito alla costruzione della “fortezza del mana”, un vascello volante capace di equiparare con la sua potenza gli uomini alle divinità) ad una ritorsione da parte delle divinità stesse per punire la tracotanza del genere umano. Inviando ferocissime bestie ad imperversare nel mondo, la guerra portò ad una decimazione della popolazione e, quasi, ad un esaurimento del mana: il tutto si concluse con la distruzione, da parte di un misterioso cavaliere che riuscì a brandire la Mana Sword, della Fortezza del Mana, ripristinando dunque la precedente condizione di pace. Secoli dopo, a causa di una inevitabile ciclicità degli eventi e della continua fame di potere dell’umanità tutta, la storia sembra ripetersi: l’impero vuole infatti rinvenire gli otto semi di mana superstiti e riattivare, con essi, la famosa Fortezza del Mana. Quando tutto sembra oramai fatto e gli eventi destinati a ripetersi, in un perpetuo moto di autodistruzione cui l’umanità è demandata, ecco apparire Rendi, orfanello che, inconsapevole di tutto, riesce con naturalezza ad estrarre la Mana Sword dalla roccia in cui è incastonata: accompagnato, nel corso delle sue peregrinazioni da Popoi e Primm, due ragazzini tutt’altro che eroici e disinteressati, Rendi si troverà dunque coinvolto in una battaglia dal cui esito verranno decise le sorti del mondo.

Pesa, come un macigno, la mancanza dei sottotitoli in italiano

Questa, in soldoni, la premessa narrativa di Secret of Mana, premessa che non si distacca minimamente dal canovaccio originario, uno dei tanti punti di forza di questo capostipite del genere JRPG. Ad impreziosire ulteriormente la levatura di questa storia, Square Enix ha inserito la possibilità di selezionare i dialoghi inglesi presenti nella edizione SNES del 93 o le voci giapponesi della versione originaria, fermo restando i sottotitoli in inglese: duole constatare quanto il colosso giapponese si sia limitato a preservare i sottotitoli originariamente presenti nella versione SNES escludendo, di fatto, il nostro idioma da quelli selezionabili. Pesa, come un macigno, la mancanza dei sottotitoli in italiano, vista anche la intensità della trama e le molteplici sfaccettature emotive di cui si tingerà la narrazione: se una scelta del genere era accettabile nel 1993 non lo è affatto, anche per via di una espansione del mercato che vede nell’Italia terreno fertile per i prodotti Square Enix, nel 2018, dimostrando la voglia di non effettuare spese ulteriori per localizzazioni differenti dalle originarie, limitandosi a fare un porting della vecchia versione.

Decidere di realizzare un remake è un’operazione sempre difficile, soprattutto se il gioco oggetto di revisione è, come in questo caso, un prodotto di eccellenza di un’altra epoca videoludica. Se, dunque, è apprezzabile il fatto di voler rendere fruibile un prodotto di ben venticinque anni fa ai nuovi gamer, molti sono stati i problemi (e si vedono tutti) nella attualizzazione di un sistema di gioco che, avveniristico e rivoluzionario per l’epoca, inizia a mostrare (complici anche alcune contestabili scelte realizzative) il peso degli anni.

Tara distintiva, tanto nel 1993 quanto oggi, di Secret of Mana, è un combat system puramente action, in netta contrapposizione al più ragionato combattimento a turni in stile Final Fantasy, e comunque condiviso dalla maggior parte degli esponenti del genere presenti sul mercato: la conversione in 3D degli sprite bidimensionali presenti nel gioco originario ha portato all’aggiunta di ulteriori quattro direzioni di movimento rendendo quella che avrebbe dovuto essere una feature in più, uno dei maggiori limiti di questo remake, non tanto per la difficoltà di movimento ma, purtroppo, per una mancata attualizzazione dell’intelligenza artificiale tanto dei nemici quanto dei nostri compagni di gioco a questa innovazione. Durante il combattimento potremo scegliere di prendere il comando, infatti, di uno dei tre personaggi, lasciando gli altri due in modalità automatica impartendo semplici ordini ma assisteremo, con una asfissiante continuità, al blocco dei co-protagonisti in frammenti di mappa, rimanendo così alla mercé dei nemici e incorrendo in repentine quanto evitabilissime, mediante patch AI dedicate che si spera non tarderanno ad arrivare, morti.

Secret of Mana ha un combat system puramente action

Ogni personaggio è vincolato ad una barra di azione: più la stessa sarà piena, maggiore il danno inferto ai nemici. Finiremo dunque con il colpire a più non posso gli stessi, dovendo poi fuggire in attesa della ricarica, inseguiti dagli stessi, inscenando volta dopo volta un grottesco teatrino, viziato anche dai sopraccitati problemi di intelligenza artificiale. Alternativamente potremo scegliere di colpire senza soluzione di continuità i nostri avversari, infischiandocene della potenza ridotta dei nostri fendenti ma rischiando, così, perentori quanto sistematici game over, anche per via, purtroppo, delle sopraccitate limitazioni della IA dei nostri commilitoni, quanto mai evidenti anche in fase di combattimento. Il combat system, lasciato inalterato per preservare la fruibilità dell’esperienza originale, passa dunque da punto focale di una esperienza di gioco sempre appagante (nel 1993) a limite invalicabile di questo remake, il cui giudizio verrà viziato giocoforza da errori di progettazione e di attualizzazione del gameplay che, combat system a parte, si ridurrà all’esplorazione di dungeon mai lunghi e complicati, alla ricerca del boss da abbattere. Ciononostante, il gioco riuscirà a fornire, anche per via di un impianto narrativo di tutto rispetto che ci spingerà a vedere nuovamente il titoli di coda, ben venti ore di longevità.

L’attualizzazione artistica di Secret of Mana pur alternando, come tutta la produzione, luci ed ombre, è sicuramente la parte più riuscita di tutta l’operazione di remake. La resa degli sprite bi-dimensionali dei protagonisti in 3D, pur non facendo gridare al miracolo, ci mette di fronte a dei modelli poligonali di tutto rispetto, ben realizzati e texturizzati, viziati però dall’assenza della sincronia labiale: ogni personaggio infatti, alla guisa di un caratterista teatrale, manterrà la medesima espressione assegnata originariamente in fase di design, che ci si trovi in una situazione comico-surreale, drammatica o di rabbia acuta, particolare frutto di una produzione evidentemente a basso budget, non per questo disprezzabile ma nemmeno esaltabile.

La controparte audio, fatta eccezione per la già citata mancanza di sottotitoli nell’italico idioma, è quella che spicca maggiormente per cura realizzativa. Square Enix ha infatti incluso la possibilità di selezionare la OST originale, in puro “nostalgic mood” o una versione ri-elaborata e nuova di zecca che non sfigura affatto nei confronti della controparte del 1993, adattandosi brillantemente alle azioni di gioco. Chiude la contesa la presenza del doppiaggio originario giapponese, ulteriore chicca tesa ad impreziosire un’offerta audio mai così completa ed appagante: rimane il cruccio questa cura realizzativa sia stata dedicata solo a questo segmento del gioco lasciando il passo, per altri aspetti, ad una fastidiosa approssimazione nell’attualizzazione di un prodotto che avrebbe meritato sicuramente più attenzioni.

Conclusioni

Secret of Mana cade preda del suo stesso blasone.

Se è vero che realizzare un remake di un gioco simbolo di una intera epoca (e di un genere che da esso ha tratto linfa e giovamento) è un compito difficile, lo è soprattutto perché le aspettative della fanbase, deluse nel caso di questo remake, saranno quanto meno elevate.

Una conversione in 3D tutto sommato soddisfacente, seppure viziata da scelte di design portate dal basso budget riservato al progetto, si scontra con un combat system lasciato inspiegabilmente immutato e, soprattutto, con una IA farraginosa ed assolutamente inadeguata al compito ad essa preposto, che ci vedrà cadere vittima di evitabilissimi e snervanti game over.

Una storia intrigante, viziata però dalla assenza dei sottotitoli in italiano, ulteriore limite alla diffusione di un prodotto già di nicchia, si accompagna ad un comparto audio allo stato dell’arte, unico punto di eccellenza realizzativa di questo remake.

Secret of Mana, pur con tutti i limiti sopraccitati, si guadagna una sufficienza stiracchiata per via di un fascino che, dal 1993, è tara distintiva di questo franchise, sperando gli sviluppatori intervengano perentoriamente con una serie di patch atte a sanare i disastri della IA, al fine di rendere giustizia ad un remake che, altrimenti, sarebbe ben più che godibile.

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