Sekiro: Shadows Die Twice
04 Apr 2019

Sekiro: Shadows Die Twice – Recensione

Parlare di From Software è un po’ come parlare di un buon vino che più invecchia, più diventa buono. Probabilmente questo tentativo di rendere poetico e circoscritto un percorso lungo, complesso e ricco di sfumature di una software house come quella giapponese non le rende minimamente giustizia. Eppure, è innegabile come negli ultimi anni il nome “From Software” riesca ad evocare nei giocatori determinate sensazioni, ma soprattutto aspettative.

Sekiro: Shadows Die Twice è arrivato come un fulmine a ciel sereno, ma è bastata la direzione di From Software e del tanto amato Hidetaka Miyazaki ad accendere la fiamma degli appassionati. C’è chi ci ha visto un po’ di Tenchu, chi un po’ di Dark Souls. Esattamente quindi, cos’è Sekiro: Shadows Die Twice? È un po’ di entrambi, ma soprattutto è qualcosa di profondamente unico e con una sua identità ben precisa.

Ambientato durante l’era Sengoku in un Giappone immaginario del 16° secolo, Sekiro: Shadows Die Twice cambia il paradigma a cui le ultime opere di From Software ci hanno abituato. Non più una narrazione silenziosa e spesso priva di un reale contesto, ma un percorso ben preciso nei panni di un personaggio già costruito, con una sua identità ed un suo ruolo già deciso all’interno dell’universo di gioco. Ci sono cutscene, dialoghi che arricchiscono e approfondiscono alcuni dettagli del mondo di gioco e scelte che possono influenzarlo.

Sekiro, il lupo senza braccio, orfano e cresciuto come uno shinobi il cui unico scopo è salvaguardare la vita di Kuro, erede divino e unica speranza per il morente Clan degli Ashina. Perché è senza braccio? Perché ha la possibilità di “morire due volte”? Può la vita di un uomo ruotare davvero intorno ad un giuramento di ferro? Sekiro: Shadows Die Twice è un viaggio ricco di mistero e dalle tematiche piuttosto particolari. Pur facendo finta di legarsi ad un contesto storico feudale, non perde tempo per prendere l’uscita di emergenza e affacciarsi ad un racconto più filosofico, dai risvolti spirituali e dal simbolismo più spinto.

Sekiro: Shadows Die Twice si pone come un nuovo importante tassello nella produzione From Software

Dopotutto, la filosofia Shinobi e la cultura buddista si pongono come due grembi piuttosto ampi per accogliere le potenti e bizzarre idee di Hidetaka Miyazaki, che come per Dark Souls e Bloodborne ricopre qui il ruolo di Direttore. Come spesso accade per i prodotti di From Software, comprendere la trama o semplicemente seguirla non è un aspetto cruciale ai fini dell’esperienza: è il gameplay a farla da padrone, ma ho trovato questa “deviazione” verso un Giappone feudale e il buddismo piuttosto affascinante. Certe tematiche tanto care al team e a Miyazaki trovano qui nuovi significati: la ciclicità del tempo, il sangue e la morte sono tutti elementi che in un modo o nell’altro uniscono tutte le ultime produzioni From Software.

Affascinanti e mai scontate, riescono a donare a Sekiro: Shadows Die Twice quel je ne sais quoi, quel non so che, spesso assente in tanti titoli che negli ultimi tempi hanno fatto prevalere l’idea di “servizio” a quella di “opera”. Sekiro: Shadows Die Twice non è un guscio vuoto, anzi, e nonostante il reiterarsi di certe idee (a volte, può risultare ridondante) resta ricco di un fascino indescrivibile a parole. Se poi lo giocate con il doppiaggio originale in giapponese (tranquilli, l’italiano c’è sia nei testi che nell’audio) allora quel fascino si moltiplica e diventa un vento d’oriente dal rumore sinistro, che sbatte le finestre e vi lascia un po’ interdetti.

Ma si sa, fare paragoni è assolutamente inevitabile. Siamo umani dopotutto, e mettere a confronto una realtà nuova con un qualcosa di familiare ci aiuta a metterla in prospettiva, comprenderla. Ma per giocare Sekiro: Shadows Die Twice di umano serve solo la pazienza e la concentrazione. Ecco perché per il momento ho deciso di buttare via eventuali paragoni con il passato di From Software come si butta una monetina nella Fontana di Trevi: all’indietro e senza guardare. Il motivo è semplice, non ce n’è bisogno.

Sekiro è una bestia a sé, e per comprenderla bisogna disimparare tutto ciò che abbiamo imparato e assimilato in questi anni di Dark Souls e Bloodborne. Via gli scudi, via le schivate salvavita, via la stamina, via le statistiche ma anche addio all’equipaggiamento e alle armature. Sekiro: Shadows Die Twice abbandona tante cose, per abbracciare la via dell’arma bianca più pura e cruda possibile: deviazioni, contrattacchi e un sapiente gioco di schivate e contromosse che rendono ogni scontro una danza mortale scandita dal ritmo delle animazioni e degli attacchi dei nostri avversari.

Una danza composta da un’unica arma, Kusabimaru, fedele katana che ci accompagnerà durante tutto l’arco del gioco. Perché non esiste upgrade o salita di livello che tenga in Sekiro, imparare ad usare l’arma e a deviare gli attacchi, parando con il giusto tempismo le mosse nemiche, è cruciale. Il gameplay sta tutto qui, nella deviazione degli attacchi nemici, ma anche nel’imparare a contrastare affondi e spazzate “imparabili” attraverso il salto o la premuta col giusto tempismo di un tasto. Si tratta di un delicato gioco di forze, al pari del tanto amato sasso, carta, forbice. A volte tireremo sasso e il nostro avversario carta, infliggendoci un bel po’ di danni. Altre volte tireremo entrambi forbice, annullando l’offensiva da entrambe le parti.

In Sekiro ogni scontro una danza mortale scandita dal ritmo delle animazioni e degli attacchi dei nostri avversari

Sekiro: Shadows Die Twice è costellato di Boss e mini-boss, sono ovunque e tutti (o circa) fanno abbastanza male se approcciati alla leggera. A volte sono ingiusti e squilibrati e si maledicono le scelte fatte da From Software, altre volte la sfida è così ben calibrata che vi sembrerà di vivere uno scontro ad armi pari con un’intensità che è rara trovare in altre produzioni, persino nelle precedenti di From Software. Oh no, ho fatto un paragone: mea culpa. Attacchi e deviazioni sono cruciali, ma in assenza di stamina l’altro parametro importantissimo è la postura.

Infrangere la postura nemica, con deviazioni perfette o contrattacchi potenti lo porterà a vacillare permettendovi di infliggere un “deathblow”, un colpo mortale. Capire come gestire la propria postura e scalfire quella nemica diventa quindi fondamentale nell’economia del gameplay, perché togliere vita al nemico è solo uno dei modi per sconfiggerli ed è bene tenerlo a mente. Così come capire l’utilizzo delle armi prostetiche, attaccare al vostro braccio meccanico.

Ognuna di esse ha abilità ed utilizzi peculiari: c’è il lanciafiamme, un lancia kunai e tanti altri. Il loro utilizzo è limitato da dei particolari emblemi, ma vanno integrati nelle strategie di combattimento e possono rivelarsi utilissimi contro particolari nemici. Il sistema è perfetto? Assolutamente no, ma cavoli se non esagero quando dico che non avete mai giocato qualcosa del genere, ed è una sensazione bellissima (quando la frustrazione non si insinua in voi).

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Se il gioco di spade è il perno su cui ruota tutto Sekiro: Shadows Die Twice, l’esperienza nel suo insieme vive di tante piccole cose. Traversare le terre di Ashina è un gran piacere, con una verticalità delle ambientazioni resa possibile dal rampino in dotazione nel nostro braccio prostetico. Ecco quindi che attraversare le aree diventa esplorazione ma anche stealth e strategia, perché scegliere il proprio posizionamento rispetto ai nemici è una scelta importante e vi permetterà di affrontare gli scontri secondo le vostre regole. Attaccare in stealth equivale ad un colpo mortale certo, con un’uccisione assicurata.

Volete rivedere la vostra strategia o scappare da una situazione pericolosa? Il rampino è un ottimo modo per farlo, se il design delle mappe ve lo permetterà. Sekiro: Shadows Die Twice in termini pratici, è un action-adventure con elementi stealth, non un gioco di ruolo. La progressione è relegata meramente all’abilità del giocatore, e all’uso di particolari abilità o ninjutsu da sbloccare ottenendo punti abilità.

Non avete mai giocato qualcosa del genere

La forza e vitalità del nostro Lupo dipenderà poi dai boss che avremo sconfitto, e non da un aumento forsennato del livello. In termini di varietà (e fascino) il mondo di Ashina non ha nulla da invidiare ai precedenti “regni” di From Software, pur essendo sicuramente meno ispirato in termini puramente immaginativi, tenendo i piedi ben saldi su un Giappone fantasy, ma pur sempre con delle ispirazioni ben precise. Popolato da creature e personaggi di varia natura, le cui storie si intrecciano alle nostre come strane marionette senza fili visibili, ma ognuno di essi con un ruolo e una storia già scritta. A volte potremo scegliere noi come finirà, ed è uno dei tanti aspetti affascinanti di questo misterioso viaggio.

Ashina è silenziosa, le sue musiche rintoccano piano e poi si fanno violentissime. È un un orchestra che accompagna una tempesta e poi la calma, quando lo scontro è vinto o quando la morte ha prevalso. Ma potreste anche scegliere di ritornare in vita, sfruttando una seconda possibilità per portare a casa la vittoria. Se fallite, rischiate di maledire gli abitanti di Ashina, perdendo parte della vostra benedizione divina. Ve l’ho detto, Sekiro è un gioco difficile, spesso anche troppo. È uno dei suoi punti di forza ma anche delle sue debolezze, perché non è per tutti.

Conclusioni

Sekiro: Shadows Die Twice si pone come un nuovo importante tassello nella produzione From Software. Non ci sono anime oscure, non ci sono bestie cosmiche in cerca di una progenie. Ma spade, fuoco, samurai, shinobi, giuramenti, vendetta e mistero. È difficile, frustrante e a volte ingiusto e ottuso, ma regala emozioni uniche e ci mette nei panni di un personaggio fuori dal comune.

Sekiro: Shadows Die Twice ci fa morire due volte, ma arriverete presto a perdere il conto. È una danza mortale da vivere in solitudine, senza aiuti esterni né multigiocatore, senza strade facili. Approcciarlo richiede la giusta forma mentis, e se arriverete ad odiarlo o a non riuscire a carpirne la bellezza dei suoi scontri, non sarà colpa vostra. In ogni caso: è un’opera unica nel suo genere, nel bene o nel male.