Non vorremmo sembrare riduttivi, ma mai come nel caso di Shadow of the Colossus l’espressione “un titolo che non necessita di presentazioni” ha perfettamente senso. Un titolo, forse IL titolo, più iconico dell’era PlayStation 2, un capolavoro seminale in grado di appassionare milioni di giocatori per quella sua visione, così unica e peculiare, che tanta gloria negli anni ha riservato al suo leggendario creatore, Fumito Ueda. Shadow of the Colossus, almeno per chi vi scrive, rappresenta il punto più alto della seconda generazione (e non solo, sia chiaro) di casa PlayStation, un’autentica perla di design, narrazione e visuali capace di marchiare i cuori dei giocatori, di imprimere nei loro ricordi scontri epocali e cavalcate intime nelle lande desolate delle Terre Proibite. Un’avventura con la A maiuscola, insomma, una storia senza età dove amore, determinazione e sacrificio rappresentano il fulcro di un’appassionate epopea dal cui epilogo andrà a snodarsi l’intera mitologia di Ueda, iniziata prima con Ico e conclusasi (almeno per ora) col più recente The Last Guardian.
Avrete sicuramente capito quanto – e permetteteci la piccola nota personale, stavolta – Shadow of the Colossus significhi per noi. Così tanto da averlo vissuto col groppo in gola per la terza volta, dopo averlo spolpato dapprima su PS2 (ah, l’età) e poi su PS3 con l’ottima “doppia remastered” in coppia con Ico. Quella disponibile dal prossimo 7 febbraio su PlayStation 4, tuttavia, non si configura come una “semplice” remastered: un remake vero e proprio, piuttosto, fedele quanto più possibile all’originale ma dipinto, disegnato e creato da zero in altissima risoluzione. Un trattamento dovuto e doveroso, quello riservato dai ragazzi di Bluepoint Games ad una perla intramontabile come Shadow of the Colossus, in grado di svecchiare un titolo tecnologicamente non proprio al passo coi tempi trasformandolo in qualcosa di commovente e struggente allo sguardo. E ve ne accorgerete da subito, quando in groppa ad Agro vi avvicinerete a quell’enorme Mausoleo dove termina quel ponte lunghissimo e da cui si fatica a vedere il limite dell’orizzonte: quando, osservando dall’alto le Terre Proibite, sentirete un brivido lungo la schiena e capirete nuovamente perché alcuni titoli entrano di diritto nella storia del videogioco. E remake o no, Shadow of the Colossus è uno di questi.
Seppur di cose da raccontare su Shadow of the Colossus ce ne sarebbero così tante da tenervi occupati almeno per il prossimo pomeriggio, per questa volta eviteremo di lasciarci prendere dal sentimentalismo cercando piuttosto di concentrarci sugli aspetti tecnici di questo remake, in carico al sempre efficace team di Bluepoint Games. Di approfondimenti sulla storia di Wander e Mono, sul legame del nostro coraggioso alter ego alla mitologia di Ico/The Last Guardian e sul significato dei Colossi, fortunatamente, internet è generoso: e consigliamo caldamente a chiunque voglia approfondire il background di quest’opera di fare un giro sulla Wikia ufficiale del titolo, ricordandovi soltanto, fosse questo il vostro primo playthrough nelle Terre Proibite, di fare attenzione al pericolo spoiler. Premesso questo, la cornice narrativa di Shadow of the Colossus è tanto semplice quanto fiabesca: la giovane Mono, l’amata fanciulla di Wander, giace esanime per motivi sconosciuti. L’unico modo per portarla nuovamente in vita è raggiungere un santuario rinchiuso all’interno di una regione maledetta, inaccessibile ai comuni mortali da millenni, e richiedere i favori di Dormin – una misteriosa entità dai poteri inimmaginabili. Inutile dire che questo favore avrà un caro prezzo per Wander, costretto ad affrontare sedici enormi creature a guardia delle Terre Proibite prima di sentire nuovamente il respiro della propria compagna: il tutto con la consapevolezza di aver violato un divieto millenario, cavalcando con Agro lungo quelle pianure.
Shadow of the Colossus è un quadro, un’opera d’arte che si muove dinnanzi ai nostri occhi
La novità tecnologica più interessante di questo nuovo Shadow of the Colossus è riservata ai possessori di PS4 Pro, che potranno scegliere tra due differenti modalità di visualizzazione (una scelta effettuata ad inizio gioco, ma che potrà essere modificata liberamente in ogni istante da apposito menu): la prima è la modalità Cinema, pensata espressamente per i possessori di televisori 4K con supporto ad HDR che offre una risoluzione super HD dinamica con frame rate fisso a 30 frame al secondo. Tale opzione potrà essere utilizzata anche dai possessori di un sistema Full HD tradizionale, con un’immagine a 1080p generata da un render target di 1440p e frame rate, ancora una volta, cappato a 30 fps – una soluzione che garantisce una maggior nitidezza dell’immagine, epurata da fastidiosi artefatti o problematiche di aliasing. La seconda modalità, Performance, opta per una risoluzione a 1080p tradizionale raddoppiando però il frame rate, che viaggia stabilmente a 60 frame al secondo dall’inizio alla fine del playthrough, garantendo così una fluidità mai vista all’esperienza di Shadow of the Colossus.
Al netto delle preferenze soggettive di ciascuno, è innegabile quanto i benefici di entrambe le modalità siano evidenti: giocato in 4K, Shadow of the Colossus è pura poesia in movimento, con scenari dettagliati ed incredibilmente evocativi in grado di trasmettere una sensazione ai limiti del fiabesco per tutta la durata del gioco. Eccellenti i dettagli dei Colossi, ulteriormente valorizzati dall’incremento sensibile di risoluzione, strepitosa la resa visiva delle Terre Proibite – letteralmente in grado di levare il fiato, da qualsiasi parte le si osservi. Impossibile non perdere interi minuti in sella da Agro ad osservare le onde del mare che si infrangono sugli scogli sotto di noi, mentre attraversiamo un sottile ponte di pietra che unisce due lembi di terra separati da un’enorme frattura. Le architetture voluttuose di Ueda esercitano un fascino magnetico, una curiosità quasi fisiologica che, in svariate occasioni, finirà per distrarci dal percorso principale (quello indicato dal raggio di luce che fuoriesce dalla nostra spada, ogniqualvolta essa viene illuminata dai raggi solari) e ci porterà a spasso in quelle terre dimenticate dagli uomini, mossi dal solo desiderio di vedere qualcosa che non avevamo notato durante la cavalcata precedente. Una bellezza devastante, che rende inutile ogni discorso su “grafica ultra-realistica” e affini: Shadow of the Colossus è un quadro, un’opera d’arte che si muove dinnanzi ai nostri occhi nonostante, da un punto di vista tecnologico, l’attuale generazione ci abbia abituato a standard ben più elevati. Ma chiunque conosca l’opera di Fumito Ueda saprà benissimo che la sua magia risiede ben al di là del comparto tecnologico: e, in questo, Shadow of the Colossus è davvero un prodigio.
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Seppur le lusinghe del 4K in un gioco come Shadow of the Colossus siano tutto tranne che trascurabili, la nostra preferenza (quasi) assoluta è andata alla modalità Performance, che ad un dazio tutto sommato ragionevole permette di indossare i panni di Wander con una fluidità e una reattività davvero strepitose. Non ce ne vogliano gli amanti del top di grafica, ma il contributo dei 60 fps nell’intera economia di gioco non si limita soltanto ad un fattore estetico: la maggior fluidità delle animazioni e dei movimenti di Wander giova non poco agli assalti ai colossi, che dalla seconda metà dell’avventura richiedono una pianificazione e una strategia offensiva tutto tranne che risibile. Il dazio si paga, certo, e si traduce anche in un tearing decisamente più evidente rispetto alla versione Cinema, a cui fanno eco delle animazioni (in ambo le modalità, stavolta) a tratti legnose e non precisissime. Non è certo un segreto che Shadow of the Colossus, sin dalle origini, soffrisse di problemi legati ad animazioni, alla rotazione della telecamera e al sistema di controllo: in questo remake, Bluepoint Game riesce a correggere alcuni degli evidenti nei del materiale originale, senza tuttavia eliminarli alla radice. La situazione è decisamente migliore, su questo non ci piove, ma telecamera un po’ ballerina e qualche animazione incomprensibile (specie durante le arrampicate più complicate), ogni tanto, qualche grattacapo non da poco lo regalano. Più convincente, sotto questa luce, il control schema, che permette di affrontare l’intera avventura con una configurazione Moderna (disponibile anche nella variante rimappata) decisamente più precisa e gestibile se paragonata a quella Classica – che, al netto di qualche fastidio, riesce in toto a riproporre il feeling e le sensazioni della versione originale.
La magia di Shadow of the Colossus risiede ben al di là del comparto tecnologico
Altra novità particolarmente gradita, anche alla luce del successo ottenuto nel corso di questa generazione, è l’introduzione di una inedita Modalità Fotografica che, agendo su una miriade di opzioni e filtri (gli stessi che potremo utilizzare sin dall’inizio del gioco, per personalizzare al massimo l’esperienza di gioco assecondando i nostri gusti estetici) permette di creare immagini da far impallidire gran parte dei wallpaper disponibili oggigiorno in rete. Fotografie autentiche, in grado di immortalare in un singolo fotogramma l’intera magia, la tradizione e la mitologia di uno dei designer dal talento più indiscutibile degli ultimi due decenni. Così come abbiamo visto in opere sensazionali come The Last of Us o il più recente Horizon: Zero Dawn, la potenza dell’editor fotografico di Shadow of the Colossus è a dir poco impressionante – a patto di prendere la giusta pratica con il comunque significativo set di opzioni associate.
Ad affiancare la modalità di gioco principale, la cui longevità si assesta ad un primo playthrough attorno alle 6/8 ore, troviamo ancora una volta la famigerata Time Attack, che richiederà ai giocatori di affrontare e sconfiggere nuovamente i Colossi entro un tempo limite prestabilito, che varia – leggasi scende vertiginosamente – all’aumentare della difficoltà prescelta. La progressione in questa modalità premia il giocatore con una serie di collezionabili particolarmente interessanti, che potranno essere utilizzati all’interno del playthrough principale come perk permanenti e, proprio in virtù di questo, renderanno leggermente più abbordabile un’eventuale nuova run a difficoltà maggiore. Questi collezionabili spaziano da maschere che ampliano la salute o la stamina di Wander ad una spada in grado di indicare la via anche all’oscurità, passando per altri gingilli simpatici – come la pietra che identifica la posizione delle lucertole dalla coda scintillante. Lucertole che, almeno nei più attempati, dovrebbero quantomeno regalare un brivido lungo la schiena, al pensiero di quella lunghissima e feroce arrampicata che conduce fino alla vetta del Giardino Segreto. Una sfida che, foste anche voi sciaguratamente folli come chi vi scrive ora, almeno una volta nella vita andrebbe affrontata: vi leverà il sonno, vi farà infuriare e vi farà inveire come dei folli contro voi stessi per aver anche solo pensato di poterci malauguratamente riuscire. Ma la visuale dall’alto delle Terre Proibite e dei suoi silenziosi millenari abitanti, credeteci, è qualcosa che porterete nei vostri cuori per molto, molto tempo.
Se siete arrivati sino a questo punto, oramai l’avrete capito da soli: lo Shadow of the Colossus di Bluepoint Games è probabilmente il miglior remake mai visto in questa generazione di console. Ancor più dell’esemplare lavoro svolto dallo sviluppatore texano per la collection neo-generazionale delle avventure di Nathan Drake e soci – che, come sicuramente ricorderete, proprio così male non era. Con il capolavoro di Fumito Ueda Bluepoint conferma a pieno titolo una leadership indiscussa e indiscutibile, confezionando un prodotto che, da qualsiasi parte lo si osservi, testimonia non solo passione e know how, ma amore e rispetto totale per una pietra miliare della storia di questo medium. Il “nuovo” Shadow of the Colossus, limitandoci per un solo istante alla sua sola componente tecnologica, è semplicemente prodigioso: un dipinto estasiante, fotografia in movimento che fotogramma dopo fotogramma incanta l’osservatore, ne solletica le corde emozionali più nascoste catapultandolo in un universo al di fuori dal tempo. Una gioia per gli occhi resa ancora più maestosa dallo spettacolo dei 4K, ma ancor più capace di stupire ed incantare a “soli” 1080p con un frame-rate granitico che non scende un secondo sotto i 60 fps. Al netto di qualsiasi discussione tecnologica, al netto dei citati difetti occasionali legati ad animazioni un po’ legnosette, ad una telecamera non sempre affidabile e ad un control schema non propriamente perfetto, oggi come oltre dieci anni fa siamo di fronte ad un autentico capolavoro, un titolo che non dovrebbe mancare nella vostra collezione per nessuna ragione al mondo. Onore a Bluepoint Games per aver reso giustizia nel migliore dei modi all’operato di Fumito Ueda, nell’attesa (chissà) di un nuovo tassello che trasformi quel delicato mosaico in una inaspettata tetralogia. Non l’aveste ancora capito, che conosciate Shadow of the Colossus a memoria o non ne abbiate mai sentito parlare (e questo, credeteci, è un male), dal prossimo 7 febbraio fareste bene a non lasciarvi sfuggire questo attesissimo remake. Perché se siete convinti che il tempo passi ugualmente per tutti, forse non avete mai incontrato da vicino un colosso. |