Difficile stare qui a parlare di Shin Megami Tensei, e di quel modo di concepire un genere come quello J-RPG che negli anni’90 era davvero difficile da sperimentare in Europa. La serie di Atlus è infatti da tempo fautrice di gameplay e meccaniche particolari e uniche, che hanno portato ad un incredibile espansione del franchise in sottoserie altrettanto uniche ed immediatamente riconoscibili. Nel 1997 la compagnia ha pubblicato su Sega Saturn (in Giappone) Devil Summoner: Soul Hackers, una delle maggiori espressioni della serie, che dopo ben 16 anni arriva nel vecchio continente, su 3DS. Sarà stata un’esperienza memorabile e gratificante, nonostante le vetuste premesse?
Lo ameranno: gli appassionati di j-rpg old school e di dungeon crawler, gli affamati di cyberpunk
Lo odieranno: chi cerca un’esperienza moderna, chi ha poca dimistichezza con il genere.
E’ simile a: Shin Megami Tensei (serie madre), Etrian Odyssey.
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Titolo: Shin Megami Tensei: Devil Summoner – Soul Hackers
Piattaforma: 3DS
Sviluppatore: Atlus
Publisher: NIS America
Giocatori: 1
Online: Streetpass
Lingua : Inglese
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Figli del nuovo Millennio
Siamo negli anni d’oro della tecnologia, e Amami City si staglia sul mondo come una delle città più all’avanguardia in quest’ambito. Mentre gli altri restano a guardare, Algon Soft sviluppa un innovativo software chiamato Paradigm X, che permette ai cittadini di accedere ad un mondo virtuale per costruire la propria “seconda vita”. Con uno sfondo simile, è chiaro che i personaggi chiave debbano svolgere un mestiere tanto arduo quanto eccitante: gli hacker. Uniti sotto il nome di “Spookies”, il nostri affiatato gruppo si ritroverà coinvolto in qualcosa di sconosciuto e al di fuori della loro comprensione. Per chi approccia la serie per la prima volta, è bene aprire una piccola parentesi: nei mondi messo in piedi da Atlus, personaggi e ambientazioni si fondono perfettamente con l’universo demoniaco, in una costante che tutt’oggi accompagna il brand.
L’acceleratore è spinto verso un mondo dal sapore cyberpunk, sia nei toni che nello stile. Non stupisce infatti il tono scanzonato e “slang” dei dialoghi, che riescono perfettamente a far immergere il giocatore nell’universo di gioco. La città è strutturata in più sezioni, ognuna delle quali si dipana in diverse zone nelle quali svolgere attività secondarie o primarie. Negozi, centri benessere per demoni: tutto si sviluppa nel modo più realistico possibile, rendendo viva una mappa che si presenta in realtà estremamente stilizzata per gli standard attuali. La presenza di personaggi non giocanti, pronti a dirci la loro sul controverso mondo in cui vivono o, piuttosto, offrendoci informazioni di vario genere, non fa che accentuare le sensazioni descritte. Il percorso è comunque graduale, e il titolo si lascia scoprire passo dopo passo, senza annoiare con interminabili e tediosi libretti di istruzioni su tutto ciò che vi circonda. “Il piacere della scoperta”, come direbbe qualcuno. La narrazione è fluida e interessante, ed è costellata da personaggi ben sfaccettati, che seppur corrispondano ai soliti stereotipi del genere, riescono ad essere originali e affascinanti. Impossibile non citare Nemissa, personaggio chiave dell’intera vicenda, che con la sua personalità è in grado di tenere sempre alto l’interesse del giocatore.
Alcune situazioni risultano facilmente prevedibili, ma solo ad avventura abbondantemente inoltrata, quando l’intreccio inizia a sciogliersi mostrando il suo reale contenuto. Insomma, gli anni non hanno minimamente scalfito l’avvincente vicenda imbastita da Atlus.
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Dance with the Devil
La componente ludica del titolo è strutturata su più livelli, uno dei quali prevale senza dubbio sull’altro. Se in un primo momento l’esplorazione può apparire come un elemento centrale dell’esperienza (è in realtà un elemento molto marginale), ben presto si faranno i conti con i Demoni e l’annessa gestione del party, che potrà crearvi più di un grattacapo. L’arruolamento degli stessi avviene tramite … dialoghi. Scordatevi catture in stile Pokémon o arruolamenti frutto della benevolenza divina: ogni demone che aggiungerete alle vostre fila sarà frutto di un’oculata scelta delle risposte che darete alle malvagie creature. La cosa estremamente affascinante è che si tratta, anche in questo caso, di personaggi secondari, in quanto ogni demone avrà decine di linee di dialogo, frutto di una personalità e di un modo di comunicare ben preciso: saranno proprio come gli umani, solo più subdoli.
Superato lo scoglio iniziale, fatto di statistiche e demoni da catturare, il titolo inizierà a sparare le sue cartucce migliori. Grazie alla fusione dei demoni si potranno creare una miriade di combinazioni, che apriranno di conseguenza un ventaglio di opzioni tattiche sempre nuove. Le battaglie sono a turni, e si sviluppano in modo decisamente classico. L’interfaccia risulta in parte confusionaria, ma è comunque mutuata da scelte di design del tempo.
Nonostante l’entusiasmo con cui affronterete le prime sezioni, si rivelerà presto punitivo e “old school”, con tutto ciò che ne consegue. Siamo ben lontani dal dipingere un titolo frustrante e mal concepito, ma giocarlo nel 2013 potrebbe essere un’esperienza straniante per molti.
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Il vecchio e il nuovo
L’aspetto tecnico del titolo è purtroppo figlio di un hardware ormai obsoleto, ma il lavoro di restauro riesce (in parte) a nascondere queste lacune. Il box dei dialoghi (ora completamente doppiati), con annessi artwork dei personaggi, sono stati completamente ridisegnati, e sebbene stonino con il resto dell’impianto grafico, non possono che rendere il tutto più moderno e piacevole alla vista. L’inefficacia del 3D è ampiamente giustificata, in quanto si tratta a tutti gli effetti di un porting, semplicemente adattato e migliorato per i tempi e per la console su cui gira.
E il comparto audio? Non è un mistero che il chip sonoro del Sega Saturn fosse uno dei migliori al tempo, ma sarà davvero riuscito a mantenere la sua qualità negli anni? La risposta è un “sonoro” sì: l’audio non soffre di eccessivi problemi di compressione ed accompagna egregiamente tutto ciò che avviene su schermo. La qualità del doppiaggio inglese, fortunatamente, non è da meno.
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In Conclusione…
Soul Hackers è una produzione di indubbio livello, sfaccettato in ogni sua caratteristica e con un impianto narrativo solido e convincente. Per apprezzarlo al meglio bisogna essere consapevoli di ciò che si ha di fronte, ovvero di un titolo che al di là delle migliorie tecniche è stato trasportato di peso dal 1997 ad oggi. Eppure, una volta superati questi (per nulla irrilevanti) scogli, ci si rende conto di avere tra le mani un prodotto curato e ricco di contenuti. Abbiamo dovuto attendere molti (troppi) anni, ma ne è senz’altro valsa la pena.
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