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Shinsekai: Into the Depths – Recensione

Shinsekai: Into the Depths solletica con tremenda efficacia l’interesse, il palato, l’immaginario di chi è da sempre attratto dal fascino sprigionato dall’oceano e dai reconditi abissi. Chi annovera tra le sue produzioni preferite titoli come Ecco the Dolphin, Endless Ocean o Bioshock, resterà certamente stregato da questa strepitosa avventura recentemente pubblicata su Nintendo Switch, già approdata mesi addietro in ambito mobile, su device equipaggiati di iOS.

C’è un gioco in particolare, conosciuto da pochissimi, identicamente consigliato a chi non si è perso un documentario di Jacques-Yves Cousteau, che in via totalmente casuale sembra rappresentare il prequel spirituale della creatura di Capcom qui presa in esame, titolo con cui condivide non solo l’ambientazione marina, ma anche il genere di riferimento, quello dei metroidvania, ed il contesto narrativo.

Nello specifico, parliamo dello strepitoso The Aquatic Adventure of the Last Human, toccante epopea dell’ultimo rappresentante della nostra specie, costretto in un pianeta Terra in cui il totale scioglimento dei ghiacci ha finito per consegnare a molluschi e pesci di ogni dimensione il totale predominio del mondo. Ai comandi di un potente sottomarino, all’impotente esploratore era concesso un viaggio di sola andata senza uno scopo ben preciso, avventura che tuttavia presupponeva il recupero di gadget, molto backtracking e qualche battaglia con creature poco amichevoli.

L’identica atmosfera malinconica, da tragedia romantica, la si respira dentro la tuta dello strano palombaro protagonista di Shinsekai: Into the Depths, metroidvania che in via del tutto simile si consuma in un pianeta Terra completamente sommerso, in cui città, edifici e monumenti sono contemporaneamente oggetto di curiosità e momentanei ripari di una razza senziente, la stessa dell’avatar naturalmente, la cui identità resterà celata sino alla conclusione.

Uomini del domani, che hanno imparato a convivere in un habitat ostile, recuperando e riadattando la tecnologia trovata lungo il loro continuo peregrinare? Alieni rimasti intrappolati in un mondo tutt’altro che abitabile?

La narrazione è volutamente criptica, affidata esclusivamente ad una serie di immagini statiche, disegni enigmatici recuperati esplorando i fondali, e alla gestualità del taciturno protagonista di fronte al ritrovamento di particolari oggetti. Devoto di una misteriosa religione, il cui culto prevede, tra le altre cose, la preghiera di una strana statua che si affaccerà, sfocata, sullo sfondo durante le battute iniziali del gioco, si metterà in cammino solo per cercare nuovo riparo, dopo che il suo rifugio di fortuna è stato distrutto dalla disastrosa espansione di una calotta di ghiaccio.

Tutto, insomma, è poco chiaro, oscuro e persino lo stesso procedere di location in location è determinato dall’urgenza di raggiungere gli indicatori che compariranno sulla mappa, invece che dal consapevole e comprensibile susseguirsi di cause ed effetti.

Il mistero che permea ogni aspetto della trama, che certamente non mancherà di infastidire parte dell’utenza, ha un fascino enorme e, soprattutto, non è fine a se stesso.

Incrementando progressivamente la profondità raggiungibile con la tuta e recuperando nuovi gadget, vi renderete conto della vastità degli scenari esplorabili

Se la narrazione ambientale vi aiuterà a ricomporre i pezzi di un’opera volutamente post-moderna ed ermetica, sulle prime faticherete e non poco a scendere a compromessi con un’interfaccia che in più parti si compone dei misteriosi simboli che compongono l’alfabeto alieno del protagonista. Didascalie e testi a schermo vi faciliteranno la comprensione, certo, ma il primo vero scoglio da superare sarà rappresentato dalla traduzione delle icone e degli indicatori che vi consentiranno di potenziare le numerose dotazioni del personaggio, passaggio possibile a patto di recuperare sufficienti risorse sia scavando nella roccia in specifici punti, sia eliminando la fauna locale.

L’avatar può lentamente arrampicarsi sulle pareti, fintantoché la barra della stamina non si svuota; camminare goffamente sul fondale, stando ben attenti a non mettere un piede in fallo; nuotare, per non dire volare, in ogni direzione a patto di consumare la stessa riserva d’aria che gli serve per sopravvivere, rappresentata da bombole d’ossigeno eventualmente espandibili, calcolando attentamente l’inevitabile inerzia.

Dosare ogni movimento, un po’ come ci ha insegnato in tempi recenti Death Stranding, è fondamentale, soprattutto alle difficoltà più elevate, dove basta un piccolo errore di valutazione per condannare il personaggio all’asfissia o, peggio, a tramutarsi nel pasto ideale di qualche pesce ostile.

Proseguendo nell’esplorazione, non a caso, entrerete in possesso di diversi strumenti offensivi con cui difendervi e combattere gli immancabili boss, battaglie particolarmente complesse in cui dovrete utilizzare l’ingegno per scovarne i punti deboli.

Non manca nemmeno un sottomarino, utilissimo per aiutarvi a raggiungere specifiche location e per recuperare l’ossigeno perduto, anche in assenza di stazioni preposte al compito e sparse per il fondale.

Incrementando progressivamente la profondità raggiungibile con la propria tuta, recuperando nuovi gadget, vi renderete conto della vastità degli scenari esplorabili, della raffinatezza del level design, dell’altissimo numero di risorse e collezionabili nascosti da recuperare.

Non bastasse una trama intrigante ed un gameplay stratificato e profondo, Shinsekai: Into the Depths eccelle anche sotto il profilo artistico. Sebbene il comparto tecnico tradisca le origini mobile del prodotto, con troppe texture poco definite e una pulizia dell’immagine non ottimale (motivo per cui è consigliabile fruire il gioco in modalità docked), l’art design dipinge ambientazioni evocative, cariche di suggestioni. Enormi pesci che nuotano sullo sfondo, carapaci di edifici sventrati, foreste di alghe. E più scenderete verso il cuore del pianeta, meno luce ci sarà a guidare i vostri passi, rendendo le ombre sempre più protagoniste della scena.

Non bastasse una trama intrigante ed un gameplay stratificato e profondo, Shinsekai: Into the Depths eccelle anche sotto il profilo artistico

Ad accompagnare il tutto ci pensa infine una colonna sonora ispiratissima, che potete ascoltare anche su Spotify, tanto più emozionante quanto più i cori e voci femminili si aggiungono all’arrangiamento.

Rispetto all’edizione mobile, inoltre, questa versione per Nintendo Switch si equipaggia di una modalità extra inedita. In questo scenario, il cui obiettivo è raggiungere il fondo, la componente survival del titolo è esacerbata all’estremo. Dovrete quindi muovervi di continuo, recuperando risorse e cercando scorte di ossigeno, pur proseguendo nell’esplorazione, così da trovare il passaggio che può consentire l’accesso alla location successiva. Ansiolitica e tremendamente adrenalinica, si tratta di uno stuzzicante implemento.

Conclusioni

Shinsekai: Into the Depths è un viaggio in una Terra post-apocalittica che difficilmente dimenticherete. Il control scheme non è certo dei più intuitivi, né tecnicamente siamo nei pressi dell’eccellenza. Tuttavia, il metroidvania di Capcom è un’autentica perla del genere, un titolo imperdibile per gli amanti dei metroidvania o per chi ha la passione per gli abissi oceanici.

La trama, criptica e misteriosa, vi stimolerà a completare l’epopea nella speranza di capirci qualcosa di più. Il level design, dal canto suo, è tremendamente intricato tra grotte segrete, passaggi celati e cunicoli ricchi di risorse. Art design e colonna sonora, dal canto loro, concorrono a fare di Shinsekai: Into the Depths un titolo tremendamente affascinante ed atipico.

Un piccolo capolavoro, che si aggiunge alla già ricchissima softeca di Nintendo Switch.

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