Sifu è un gioco molto particolare: un attimo prima ti cattura con il minimalismo del suo design e la cura nelle animazioni dei personaggi, dandoti un piccolo “Calbot” sulla nuca per esortarti ad andare avanti. Quello successivo ti sta prendendo brutalmente a schiaffi mentre tu ancora cerchi di capire dove sono la destra e la sinistra.
Non fa sconti, il nuovo gioco di Sloclap, domandando e demandando tanto al giocatore, restituendo forse meno soddisfazione di quella che può dare Sekiro: Shadows Die Twice ma lasciando comunque qualcosa alla fine – la sensazione di essere cresciuti un po’ di più, affinando non l’arte della spada ma quelle delle arti marziali, imparando a sviluppare una visione d’insieme che l’ottimo gioco di From Software non chiedeva; non allo stesso modo, almeno.
Gli accostamenti continui tra Sekiro e Sifu non sono dettati solamente da un “fattore difficoltà” ma anche dal fatto che si basano sulla stessa filosofia, l’abbattimento della Postura/Struttura avversaria, per liberarsi più in fretta dei nemici. Così come su quel concetto di danza che si viene a creare nei combattimenti, in particolare le boss fight, che pur sviluppandosi in maniera differente trova un comun denominatore fra i due giochi.
Sarebbe però sbagliato e ingiusto definire Sifu il “Sekiro delle arti marziali”, perché l’ultima fatica di Sloclap merita di essere riconosciuta per quella che è, senza etichette che minerebbero il mirabile passo avanti compiuto dagli sviluppatori dopo Absolver. I confronti servono a chi ci legge per inquadrare l’esperienza sulla base di un gioco pregresso ma, i due, rimangono esperienze ben distinte che vanno approcciate in modo simile e al contempo diverso: non si può giocare Sifu come si farebbe con Sekiro, tuttavia è opportuno riconoscere e soprattutto accettare che la morte è un passaggio dovuto, qui più che mai.
Fatte le doverose premesse, scopriamo se è davvero sufficiente una sola vita per imparare il kung fu.
Narrativamente, Sifu non è nulla di elaborato né lo vuole essere: è piuttosto un omaggio a film di spessore come Old Boy, da cui riprende la famosa scena di lotta lungo il corridoio, Kill Bill, Ip Man (figura realmente esistita) e altri che gli amanti del genere potranno riconoscere. La o il protagonista decide di intraprendere un percorso di vendetta dopo che il suo maestro viene ucciso: conosce i propri obiettivi ma raggiungerli non sarà semplice.
In suo aiuto, un misterioso talismano che le permette di tornare in vita a ogni morte; il prezzo da pagare è invecchiare, per un numero di anni pari alle morti cui si è andati incontro. La storia è tutta qui, né più né meno, e nonostante sia priva di guizzi particolari ho trovato comunque ben costruiti i personaggi cui ho dato la caccia: informazioni su di loro se ne raccolgono poche, eppure sono sufficienti a tracciare un profilo, capire chi sono e perché hanno fatto ciò che hanno fatto.
Raccontare di più sarebbe stato superfluo perché Sifu si concentra su altro ed è giusto. Dovendo fare una critica, avrei preferito che la colonna sonora fosse più incisiva, in particolare durante le boss fight dove si perde e diventa blandamente ripetitiva in poco tempo: con un diverso accompagnamento musicale, anche l’immersione nel combattimento stesso sarebbe stata migliore. Considerata la concentrazione che serve per superarli è anche vero che, forse, non ci si sarebbe accorti comunque di un’eventuale traccia musicale un po’ più rifinita.
Sifu raffina le arti marziali di Absolver, portandole a livelli eccellenti
Dove invece il gioco di Sloclap brilla, pur con delle criticità che andrò a sottolineare, è nel gameplay. Se nel precedente Absolver se ne potevano intravedere le fondamenta, qui le arti marziali sono state raffinate a livelli eccellenti: fluidità e dinamismo sono le parole chiave sia per la protagonista (nel mio caso ho scelto una donna) sia per gli avversari, indipendentemente dal “tipo”.
Potremmo suddividerli in comuni, élite e boss. Definizione un po’ grossolana ma utile a rendere l’idea della loro classificazione in base a forza, salute e impegno richiesto. Questo nonostante alcuni nemici élite siano nettamente più pericolosi dei boss, ma ci tornerò dopo. Ogni scontro è un concentrato di azione dove anche un singolo errore da parte nostra può costarci buona parte dei punti vita, se non tutti.
Se masticate un po’ i film di kung fu, sapete che la disparità è di casa: il protagonista si ritrova ad affrontare una quantità di avversari nettamente superiore, spesso armati, e può fare affidamento solo su se stesso o su ciò che eventualmente l’ambiente ha da offrire.
Nel caso di Sifu è la stessa cosa. Soli contro un numero di nemici variabile, dove le tipologie si mescolano e in quel caso bisogna prestare ancora più attenzione, dovremo far leva su qualunque cosa l’ambiente ci offra e imparare a leggere la situazione con più rapidità possibile. Adeguarsi è una condizione essenziale per sopravvivere, salvo poi fare di questo adattamento l’arma principale per ribaltare le sorti.
Con il tempo, la morte e la memoria, si impara a distinguere ogni nemico dall’aspetto, capire al volo su chi ci si possa concentrare per primo per sfoltire rapidamente gruppi numerosi; si memorizzano gli oggetti con cui è possibile interagire, a patto di aver appreso l’abilità relativa, si impara a posizionarsi a dovere, a esercitare un po’ di “crowd control”. Non è immediato, non è nemmeno semplice. Ci vuole pazienza, dedizione, la consapevolezza che morirete ancora e ancora prima di migliorare, e anche quando penserete di avere imparato non sarà sufficiente.
Sifu è pazienza e consapevolezza che la morte è un passo necessario
La sensazione è che gli avversari abbiano mosse migliori delle vostre e in parte è così: i nemici élite soprattutto sono più resistenti, parano molto spesso, infliggono parecchi danni (persino dei boss, a dirla tutta) e in generale riescono a essere un problema non indifferente soprattutto per come gli sviluppatori hanno deciso di posizionarli.
Non è raro trovarne un paio impegnativi esattamente prima della boss fight e pur avendo un senso, in relazione alle scorciatoie che il gioco permette di prendere, in alcuni casi sono risultati piuttosto ingiusti – a maggior ragione se l’obiettivo è preservare quanta più giovinezza possibile.
A carattere generale non aiuta il soft lock automatico, non perché manchi di precisione, salvo in rarissimi casi, bensì perché la mancanza di un lock vero e proprio rende difficoltosa la gestione della telecamera: capita spesso, soprattutto contro certi boss, di restare chiusi in una posizione dove non si vede il personaggio principale e a malapena il nemico, subendo danni gratuiti.
Sebbene il concetto di riposizionamento e gestione dei dintorni sia una delle basi di Sifu, in certi casi si viene pressati al punto tale che non si ha il tempo di farlo; dover girare manualmente la telecamera per comprendere cosa succede rischia di tradursi in danni subiti, in particolare se gli spazi sono stretti e l’inquadratura smarmella.
Il tempo è un grande maestro, e piano piano arriverete a prevedere queste situazioni critiche ed evitarle, tuttavia all’inizio potrebbe rivelarsi una battuta d’arresto non indifferente. Per quanto molto cinematografica la cosa, nei casi ad esempio in cui da un’inquadratura frontale si passa a una laterale sulla falsariga dei picchiaduro più noti come Tekken e Dead or Alive, il costante cambio di prospettiva può risultare un impedimento difficile da superare.
La meccanica dell’invecchiamento è il pilastro portante di Sifu
Passando alla progressione del personaggio, la gestione generale è ben strutturata. Anzitutto abbiamo la meccanica dell’invecchiamento, pilastro portante dell’esperienza, innovativa e decisamente interessante: come accennato poco sopra, morire non è un problema per la protagonista ma ogni resurrezione comporta invecchiare di un numero di anni pari al contatore delle morti – che può essere ridotto ai santuari o sconfiggendo particolari nemici élite.
Non si torna indietro, una volta invecchiati, e ogni dieci anni ci sarà un incremento della forza ma una riduzione dei punti salute: giustamente, con la vecchiaia arriva l’esperienza e il fisico, di contro, si indebolisce. Un aspetto che ho apprezzato in modo particolare nella sua seppur spietata logica. Eliminando gli avversari si ottengono punti esperienza ma esiste anche un punteggio strettamente legato alla nostra performance di combattimento, con tanto di moltiplicatore, che tornerà utile per sbloccare determinate abilità ai santuari.
Questi ultimi sono piccole statue sparse lungo i livelli che permettono di acquisire potenziamenti sulla base di tre fattori: età, punteggio basato sulle abilità di combattimento e punti esperienza. Per ogni santuario se ne può scegliere uno. La particolarità di questo sistema è che i potenziamenti sono permanenti solo se viene completato il livello in questione e si possono portare nel successivo: qualora tuttavia voleste ripetere un livello precedente, tutti i potenziamenti ottenuti si resetteranno per tornare allo status quo in cui eravate quando avete iniziato il livello la prima volta.
Sebbene a prima vista possa sembrare bizzarra, è una scelta molto sensata perché dà ogni volta la possibilità di reimpostare la crescita del personaggio sulla base di eventuali necessità, soprattutto quando si conosce il gioco nel complesso e si ha un’idea della strategia da adottare: per esempio, potreste voler aumentare al massimo la vostra barra focus sacrificando altri potenziamenti, perché fate molto affidamento su questi attacchi speciali; oppure siete fanatici delle armi e preferite puntare ogni potenziamento su questo aspetto.
Insomma, le possibilità sono numerose e vanno ad affiancarsi a una progressione più regolare che prevede l’apprendimento di nuove combo e tecniche spendendo i punti esperienza guadagnati – a patto di avere l’età adatta per apprenderle. Il sistema di progressione è legato a doppio filo all’età, per cui alcune mosse non possono essere apprese se si è troppo vecchi. L’invecchiamento, come potete vedere, permea bene o male ogni aspetto di Sifu ed è ciò che lo rende così particolare, nonché impegnativo.
Non tutte le tecniche e combo si sentono particolarmente indispensabili. Alcune più d’impatto sarebbero forse state preferibili poiché l’azione frenetica non consente spesso l’utilizzo di tecniche al di fuori di quelle consolidate, anche per una questione di rapidità: quando sono numerosi, i nemici non perdonano e non è possibile perdere tempo a decidere, o ricordarsi, se una particolare tecnica può risultare efficace.
Sifu è un omaggio al kung fu e ai suoi insegnamenti
All’inizio è anche faticoso accettare il fatto che non c’è modo di recuperare salute, al di fuori degli atterramenti o dell’eliminazione diretta dei nemici. Scordatevi fiaschette, medikit, qualunque forma di ripristino dei punti vita. Sifu non ha pietà in questo senso, il massimo che concede è la possibilità di ottenere più vita con gli atterramenti ma, anche decidendo di sacrificare i santuari per questa necessità, l’incremento è comunque molto basso.
Sloclap vuole mettervi alla prova e non lesina gli schiaffi, in quella che è senza dubbio la sua produzione migliore a dispetto di qualche passo falso. Un po’ più di bilanciamento però, almeno per quanto riguarda la distribuzione dei nemici o la forza esagerata di quelli élite se pensiamo che risultano più letali dei boss, avrebbe reso soprattutto il primissimo impatto meno devastante.
Questo non toglie che Sifu sia un gioco ottimo, che vi aiuterà a crescere come giocatori in modo diverso da Sekiro e forse meno soddisfacente per certi versi, ma non per questo meno significativo: è un diverso modo di gestire la lotta. Il danzare in punta di spada diventa, qui, un’esperienza fortemente basata sullo schivare i colpi e sfruttare la forza dell’avversario contro lui stesso – che è poi la filosofia del kung fu, arte marziale più difensiva che offensiva. Ne deriva un’esperienza implacabile ma non insormontabile, un omaggio al kung fu e ai suoi insegnamenti. Bisogna solo approcciarla con la giusta consapevolezza.
Chiudo con una rapida osservazione sul comparto artistico. Nel suo minimalismo funziona alla perfezione, riuscendo a restituire delle ambientazioni semplici ma capaci di distinguersi nei toni e nei colori. A livello personale, il terzo livello raggiunge l’apice espressivo, riuscendo a trasmettere l’essenza del boss anche attraverso il livello stesso. In generale, però, ogni boss risulta finemente caratterizzato sia nel design sia nelle tecniche di lotta: è un po’ un peccato che, fatta eccezione per un paio, gli altri siano facilmente prevedibili ma compensano un piccolo inciampo ludico con una controparte stilistica di tutto rispetto. Sloclap ha veramente fatto notevoli passi avanti.
Sifu è un gioco assolutamente consigliato, una prova provata di quanto Sloclap sia cresciuto come studio. Va preso con la giusta consapevolezza, e non lasciatevi ingannare dal fatto che possa sembrare semplice perché non è così: sa essere punitivo, a tratti un po’ ingiusto, ma se lo giocherete soprattutto accettando che la morte è una costante e una condizione necessaria per imparare, allora vi troverete di fronte a un’esperienza che pur con le sue sbavature saprà regalarvi le giuste soddisfazioni. Sifu valorizza il kung fu e, al contempo, omaggia alcuni tra mostri sacri in merito, cinematograficamente parlando: se questa è l’abilità di Sloclap, siamo curiosi di vedere cos’altro sono in grado di realizzare in futuro. |
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