Smoke and Sacrifice – Recensione

Ogni periodo ha le sue mode. Ci sono stati anni in cui il genere survival spopolava, destreggiandosi fra titoli meritevoli e altri meno, e pur essendo stato scalzato dall’attuale battle royale (che fra PUBG e in particolare Fortnite stanno facendo i grandi numeri) c’è ancora chi non rinuncia a queste esperienze, come ci sono sviluppatori che non vedono l’ora di mettersi alla prova. È questo il caso dell’intrigante Smoke and Sacrifice, un’avventura di stampo RPG che ovviamente pone la sopravvivenza come nodo principale dell’esperienza: sviluppato da Solar Sail Games che già nel 2017 ha trattato alcuni aspetti dei survival in The Flame in the Flood: Complete Edition, disegnato interamente a mano e supportato da una tematica di fondo cupa, il gioco si occupa di dare importanza a un aspetto che pochi del suo genere sviluppano. La narrazione.

Ci sono molti titoli che fanno delle scelte morali il loro punto di forza per nobilitare il viaggio del protagonista, Smoke and Sacrifice non fa eccezioni: durante la sequenza introduttiva assisteremo al sacrificio del figlio di Sachi per mano della madre stessa, come parte di un antico rituale locale per tenere in vita il Sun Tree – un dispositivo steampunk che genera elettricità permettendo al villaggio di sopravvivere. Nessuno si fa domande a riguardo, è una legge e come tale va rispettata, non importa quanto dolorosa possa essere. Anni dopo questo sacrificio gli abitanti subiscono l’attacco di alcuni mostri noti come “pugbear” (effettivamente un bizzarro incrocio fra un carlino e un orso) e nella concitazione, Sachi incontra una figura misteriosa che le suggerisce di intrufolarsi nel tempio dove ha abbandonato suo figlio tempo addietro, dal momento che lo scontro ha distratto una sorveglianza altrimenti ferrea – e come tale, specie se riguarda un culto, meritevole di ogni sospetto.

Attivando lo stesso marchingegno che si è portato via il suo bambino, Sachi si troverà in una realtà parallela ben più pericolosa e oscura di quella in cui viveva: decisa a ritrovare suo figlio e scoprire cosa si nasconda dietro i numerosi sacrifici che si sono susseguiti negli anni, la donna decide di esplorare questa nuova terra dai colori spenti, abitata da creature di fumo che si aggirano con una lanterna e in molti casi rivolgono parole criptiche alla nostra protagonista. La lanterna, come si nota anche dalla copertina del gioco, estremamente importante poiché ci permette di fendere la nebbia che avvolge le terre misteriose e far proseguire Sachi senza che ne rimanga vittima. Pubblicato su Nintendo Switch e PC, laddove il precedente lavoro di Solar Sail Games si concentrava più sull’aspetto di un gameplay emergente di stampo rougelite ma caratterizzato dalla meccanica del permadeath, Smoke and Sacrifice si concentra di più sull’assegnazione di missioni da parte delle misteriose figure spettrali e lo spasmodico accumulo di oggetti nell’inventario per poter essere all’altezza di queste richieste e realizzare gli oggetti necessari.

È una struttura più adatta a titoli di azione/avventura, qualcosa di simile a The Legend of Zelda, ma Smoke and Sacrifice decide di incanalare il suo sviluppo seguendo piuttosto la direzione tracciata da Klei Entertainment con Don’t Starve. Sachi incontrerà queste misteriose figure mascherate, che si offriranno di aiutarla in cambio della costruzione di qualche oggetto; se inizialmente Smoke and Sacrifice suggeriva di diventare più interessante con un registro di missioni a cascata, diventa chiaro molto presto che la progressione è stata progetta in modo opprimente per rivelare solo piccolissime parti della mappa e che di rado potremo gestire più di una richiesta alla volta. La prima manciata di ore ci offre un bioma invernale e uno palustre… ripetuto più volte. Anziché mettere a disposizione una mappa suddivisa in aree più variegate, il gioco continua a gettarci in queste zone clone l’una dell’altra senza nemmeno sfruttare il suo meritevole comparto artistico. Palude infettiva? Palude mortale? Considerato che per molti giocatori l’ambiente palustre è probabilmente uno dei più frustranti in un videogioco, secondo forse soltanto ai livello sottomarini, è difficile capire perché gli sviluppatori abbiano deciso per una simile partenza – che non va a favorire un titolo piuttosto macchinoso.

Se a livello di meccaniche Smoke and Sacrifice si sente vicino a Don’t Starve per via dei suoi personaggi bidimensionali, il ciclo giorno-notte, l’ambiente ostile e la raccolta di risorse, dall’altro lato si discosta poiché non presenta aspetti come tower defense o permadeath – quando Sachi viene uccisa riprende dal suo ultimo punto di salvataggio e ce ne sono uno o due sparsi per ciascuna area. Nonostante l’inventario sia di buone dimensioni, non basta mai davvero a contenere l’incredibile quantità di oggetti che troveremo e sì, possiamo immagazzinare quelli meno urgenti nelle casse sparse lungo il gioco come i giocatori di vecchia data si ricorderanno aver fatto nei primi Resident Evil: a differenza del survival horror Capcom tuttavia, che sacrificava il realismo permettendoci di ritrovare i nostri beni in qualunque altro baule diverso da quello dove li avevamo lasciati, il gioco di Solar Sail Games rimane rigido sotto questo punto di vista e ci obbliga a tenere a mente il punto preciso in cui avevamo riposto le nostre scorte. Erano forse il baule nella palude, accanto al pentolone? O era la cassa nell’altra palude vicino all’altra pentola?

Smoke and Sacrifice è una sfida all’ingegno

Se questo vi stesse dando il mal di testa, ecco un pratico esempio di come le cose potrebbero complicarsi ulteriormente, sottolineando come le missioni secondarie e la presunta progressione siano assurde fin dal principio: dopo esservi fatti un buon pezzo di strada attraverso la prima dozzina di aree del gioco, verrete a sapere che un importante NPC si trova in una zona della mappa protetta da un pavimento elettrificato e pertanto invalicabile. Bene, nessun problema, in fondo avete ottenuto poco prima la ricetta per un’armatura costituita principalmente di gomma, l’equipaggiamento perfetto per la situazione; peccato che finora non siate riusciti a costruirne nemmeno un pezzetto. Questo perché vi manca la materia prima, e qui interviene un secondo NPC a spiegarvi che quel tipo di gomma si può ottenere solo tagliando una pianta delle paludi apparentemente invincibile e pericolosa. Potreste provare a chiedere se cortesemente vi aiutano a coltivarla, pare l’idea migliore e soprattutto dalla percentuale di rischio azzerata: assolutamente no, nessun supporto finché non porterete a questi NPC del latte. Che ci vuole, penserete? In effetti sarebbe facile se la sostanza in questione non fosse ottenibile soltanto da un particolare boss che si presenta durante le ore notturne e deve essere munto… il che a sua volta porta alla necessità di costruire un dispositivo utile allo scopo. Non sperate però che la bestia si lasci avvicinare docilmente, dovrete istigarla affinché parta alla carica e sbatta contro un albero per restarne stordita e darvi la possibilità di sfruttare in fretta il “mungitore” su di essa. Poiché il gioco vi consente di gestire l’inventario per avere gli oggetti più utilizzati a portata, potete se non altro posizionare questo strumento proprio vicino alle armi per non perdere tempo prezioso.

Il ciclo cerca-raccogli-costruisci di per sé funziona, quando non è soggetto a una concatenazione continua di richieste da parte degli altri personaggi. Tolto questo, le variabili dovute alla volontà degli sviluppatori di rendere autonomo il mondo di gioco – la fauna in particolare – danno a quest’ultimo un gradito livello di sfida, appesantito tuttavia dalla ripetitività delle azioni in generale: per soddisfare le richieste tutte uguali degli NPC di costruire loro determinati oggetti, è richiesto un backtracking notevole e considerata l’esigua presenza di punti di salvataggio, spesso partire all’avventura comporta più rischi di quanti previsti. Questo da un lato fa di Smoke and Sacrifice un gioco tutt’altro che semplice, in cui l’impegno richiesto potrebbe collimare con il desiderio di sfida di alcuni giocatori, ma dall’altro lo lega a una ripetitività che potrebbe frustrare i meno pazienti. In questo la narrazione gioca un ruolo fondamentale nel tenerci interessati e nel complesso è ben gestito.

Conclusioni

Esiste senza dubbio il giocatore perfetto per il tipo di esperienza che Smoke and Sacrifice vuole offrire ma quel punto di contatto nel nostro diagramma di Venn, che vorrebbe fondere una storia cupa in cui sono coinvolti sacrifici di bambini a una progressione godibile ma ostacolata da non poche situazioni di mungitura, è quantomeno sottile. Un po’ deludente che un mondo tanto unico e dal forte potenziale sia legato a doppio filo a una meccanica di gioco fin troppo ripetitiva e laboriosa. Pur essendoci il combattimento, è un aspetto molto semplificato con armi che offrono una sola combo e boss, persino più avanti nel gioco quando si può godere di un crafting più espanso, la cui corposa barra della salute costringe a perdere molto tempo allenandosi con mostri di livello nettamente inferiore e perciò estremamente semplici da sconfiggere.

Smoke and Sacrifice si ispira a Don’t Starve e vorrebbe implementare nella narrazione un’oscurità di fondo e una serietà che potremmo paragonare a Bloodborne, tuttavia non riesce mai del tutto nell’impegno rimanendo in un non definito limbo: non è creativo come il primo e non ha la stessa serietà del secondo. La sua confusa identità è comunque supportata da un interessante comparto artistico che sembra essere completamente disegnato a mano e rappresentare un omaggio ad alcuni classici di George Kamitani prodotti da Vanillaware, come Odin’s Sphere e Muramasa. La colonna sonora al contrario non fa nulla per imporsi e si fa caso alla sua presenza solo quando si passa da un’area all’altra, unico momento in cui c’è un cambio di traccia.

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