song of the deep
12 Lug 2016

Song of the Deep – Recensione

La piccola Merryn non ha nessuno al mondo, se non il proprio padre marinaio. Lavoro duro solcare i mari, affrontare le onde che si ingrossano tempesta dopo tempesta, trovarsi faccia a faccia con muri d’acqua così alti che sembrano poterti ingoiare e farti precipitare per sempre negli abissi. Merryn non è capitano di una barca, è appena una adolescente, ma sa benissimo che sulle onde ogni giorno può essere l’ultimo: e così accompagna ogni mattina il padre al molo, aspettando che rientri a notte fonda seduta su una scogliera con una candela in mano. Una sorta di piccolo faro, che guidi il ritorno ai sicuri lidi domestici il genitore. Questo ogni notte, settimana dopo settimana, mese dopo mese.

Fin quando, una sera, il vecchio lupo di mare non fa ritorno: la sua barca non buca l’orizzonte, il mare piatto rimane in un silenzio laconico foriero di pessime notizie. Merryn rimane al proprio posto tutta la notte, con i resti della candela morente ancora tra le sue mani, sino a precipitare in un sonno profondo e tormentato di incubi. Incubi in cui vede l’amato padre intrappolato in fondo al mare, vivo ma destinato a morte certa se nessuno andrà ad aiutarlo il prima possibile. Merryn è piccola, ma ha coraggio da vendere: e sa benissimo che non esiste altra persona al di fuori di lei in grado di portare a termine quell’ardua missione.

Raccoglie i rottami delle barche del padre, lavora un po’ di cacciavite e, quasi per magia, costruisce un piccolo sottomarino con cui avventurarsi nei fondali marini. In fretta, senza mai guardarsi alle spalle: perché ogni istante perso potrebbe essere fatale, e obbligarla a dire definitivamente addio a quell’uomo tanto importante per lei.

Questo, in poetica sintesi, è Song of the Deep, nuovissima IP sviluppata dai veterani di Insomniac Games disponibile dal prossimo 19 Luglio per PC, PS4 e Xbox One. Un titolo annunciato a sorpresa lo scorso anno e pubblicato, ancora più a sorpresa, da GameTrust, nuova etichetta di Publishing affiliata a GameStop.

Un titolo tanto insolito quanto delicato, che non senza qualche acciacco racconta una fiaba a 20 mila leghe sotto i mari ripercorrendo il solco, non certo facile, di grandi icone del passato videoludico. E al netto di un paio di sbavature, il viaggio di Merryn merita il proverbiale “happy ending“.

song of the deep

Song of the Deep, la nuovissima avventura dai creatori di Spyro, Ratchet e Resistance, è un’avventura dalle tinte poetiche e dalle sonorità incantevoli, che dietro una direzione artistica dalle tinte acquerello e dai panorami mozzafiato nasconde un animo molto più old school di quanto, almeno inizialmente, saremmo portati a pensare. Song of the Deep rappresenta infatti l’ultimo esponente cronologico del Metroidvania, quel filone tanto amato dai giocatori più attempati (nonostante gli incredibili risultati raggiunti recentemente da Ori and the Blind Forest) che attinge a piene mani dagli stilemi delle prime generazioni di console. Una mappa di gioco vasta come l’oceano, suddivisa in sezioni non sequenziali – non esiste dunque il concetto di livello tradizionale – tutte comunicanti, in un modo o nell’altro, a vicenda. Questo, in linea teorica, sta a significare che, nelle battute finali del gioco, potrete ripercorrere l’intera vasta mappa di gioco a partire da un suo qualsiasi punto, senza trovar strade bloccate o arzigogolati percorsi alternativi. Un lungo tour sottomarino, insomma: ma la strada da fare per arrivarci, come sempre, è lunga e insidiosa.

Il motivo è presto detto: Merryn e il suo sottomarino non avranno da subito tutti gli armamenti necessari a procedere. Alcune aree sono bloccate da colonne di pietra, altre da misteriose strutture di lava o da lastre impenetrabili di ghiaccio. Ostacoli che, per essere superati, richiedono necessariamente di possedere un apposito power up, sbloccabile da qualche parte all’interno della mappa di gioco. Sarà dunque necessario scovare questo upgrade, ripercorrere al contrario la mappa sino al punto incriminato e, finalmente, procedere oltre. Il famigerato backtracking rappresenta dunque l’ordine del giorno in Song of the Deep, che tuttavia premia l’esplorazione – la componente preponderante del proprio gameplay – con la raccolta di collezionabili e monete, utili a potenziare parti dell’equipaggiamento in nostro possesso.

Il nostro sottomarino, una volta immerso, sarà infatti poco più di una bagnarola stagna equipaggiata con un gancio pretenzioso per difendersi dai mostriciattoli marini più basilari. Nulla che ci permetta di raggiungere il nostro obiettivo, nascosto chissà dove nella Città Proibita di una civiltà sottomarina sconosciuta. Eliminando meduse e altre creature del genere raccoglieremo delle preziose monete, valuta di gioco da spendere presso opportuni “crostacei venditori” per potenziare quanto già in nostro possesso: potremo dunque allungare la portata del gancio, potenziare il danno inferto dal suo colpo o modificarne l’efficacia del magnete in modo che rilasci una sorta di scossa elettrica. Questo, però, è l’inizio: il grosso del lavoro è nascosto chissà dove, e consiste in vere e proprie modifiche da recuperare e installare sul nostro sottomarino. Un modulo di propulsione maggiorato per accelerare per più tempo sott’acqua, un set di cannoni che lanciano missili esplosivi, infiammati e congelanti, oppure una sorta di sonar che, comunicando con appositi emettitori, permette di sbloccare accessi a zone inizialmente precluse.
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Trattandosi di oggetti necessari al completamento del gioco, che lo vogliate o no finirete irrimediabilmente per sbatterci il muso contro – guidati dagli indicatori della mappa, che forniscono costantemente un’informazione sulla direzione da seguire. Certo è che uno, sono moltissime le occasioni in cui potrete usare questi power up per sbloccare aree segrete tracimanti bonus e due, una volta raccolti vanno potenziati a dovere con le suddette monete – in quanto, oltre all’utilità esplorativa, essi sono fondamentali anche in sede di combattimento. Combattimento che, pur rappresentando una componente all’apparenza secondaria, è estremamente importante per racimolare un tesoretto da investire nell’upgrade del nostro vascello: la presenza di bonus speciali, monete d’oro e artefatti segreti permetterà comunque di raggiungere somme più alte in tempi ragionevoli.

Se dunque, nel corso della prima metà di gioco, il grosso del gameplay si compone essenzialmente di esplorazione alla Metroid e di combattimenti non eccessivamente impegnativi, con conseguente investimento del guadagno nel level up della strumentazione del nostro alter ego, una volta girata la boa la musica cambia in modo inaspettato. Non solo sarà possibile uscire dal sottomarino e controllare Merryn – che potrà sopravvivere a centinaia di metri di profondità dopo il ritrovamento di una conchiglia respiratore, ma saremo chiamati a risolvere una nuova e nutrita serie di enigmi. Alcuni di questi sfruttano le dimensioni di Merryn, decisamente più contenuta del suo sottomarino e, proprio per questo, in gradi di infilarsi in cunicoli stretti e accedere a zone altrimenti precluse; altri, ugualmente semplici, chiedono di ricomporre statue speciali per aprire portali magici sigillati o di agire su leve o interruttori. Il difficile arriva quando entrano in gioco i raggi colorati, componenti alla base di una serie di puzzle che giocano sulla riflessione su appositi specchi per convogliare la luce verso un apposito interruttore.

Un Metroidvania dalle tinte poetiche e dalle sonorità incantevoli.

Inizialmente si tratta di agire su un singolo raggio luminoso bianco, usando il Coltello di Conchiglie recuperato dalla piccola eroina: nulla di preoccupante, se non l’eccessiva sensibilità dello stick sinistro che richiede un minimo di precisione. I problemi arrivano quando i raggi diventano tre (uno rosso, uno verde e uno blu) e le strutture di riflessione sono dei marchingegni più grandi dello schermo che richiedono di combinare due colori base per ottenerne un terzo. Non siamo di fronte a veri e propri attentati alla corteccia cerebrale come in Braid, per carità, ma la necessità di doversi muovere ripetutamente da una schermata all’altra per verificare che il raggio risultante sia del colore corretto e attivi l’interruttore giusto non solo diventa facilmente frustrante, ma appare rapidamente “fuori luogo” nel contesto favolistico del titolo. Sia chiaro, il livello di sfida è abbordabile e appagante, ma a tratti appare esageratamente punitivo: ve ne accorgerete al primo incontro con le sfere esplosive, sensibili ai sonar e a praticamente qualsiasi cosa le sfiori. E sì, non mancheranno (numerosi) enigmi che richiederanno il loro utilizzo.

Tecnologicamente parlando, al netto dell’evidente delicatezza nel rappresentare la narrativa con tavole ispirate dalla letteratura per i più piccoli – le reminiscenze da libro di favole si vedono lontane un miglio, possiamo soltanto plaudere alle scelte stilistiche effettuate da Insomniac Games, che ricrea luci, ombre e misteri degli oceani con pennellate convincenti e, a tratti, davvero emozionanti. Volendo essere pignoli, potremmo criticare alcuni cali di frame rate (tutto tranne che critici, a ben vedere) e un design delle creature nemiche magari non eccessivamente vario (astutamente, si tende a cambiare la skin mantenendo il modello inalterato), nonostante la presenza di boss ispiratissimi e di un paio di personaggi memorabili. Ottimo, invece, l’accompagnamento musicale di Song of the Deep, che alterna sonate al pianoforte calde e struggenti ad altre, malinconiche e nostalgiche: un autentico piacere per le orecchie, coadiuvato da una resa visiva decisamente interessante. Il marchio di fabbrica di Insomniac si vede anche da queste cose.

Conclusioni

Song of the Deep ci ha stupiti parecchio. Positivamente, non c’è che dire, per un comparto visivo che affascina e uno sonoro che, inutile dirlo, colpisce dritto al cuore. Ci ha colpito ancor più positivamente per il proprio coraggio: riproporre un Metroidvania ai giorni d’oggi è una mossa sicuramente azzardata, che rischia di dispiacere un pubblico nettamente maggiore di quello che, vuoi per gli anni sul groppone, vuoi per la curiosità, ne apprezzerebbe la complessità esplorativa.

Ma soprattutto ci ha colpito per la propria delicatezza, quel modo così materno di raccontare una fiaba della buona notte ricca di ostacoli e di insidie, dove una piccola eroina senza alcun potere salva un padre dall’abbraccio della morte facendo leva solo sul proprio coraggio. Semplice, semplicissima forse, ma capace di far breccia sull’emotività di chi gioca spingendolo tutto d’un fiato verso quell’agognato epilogo. Perché tanto coraggio e tanta determinazione, dopo tutto, meritano di essere premiate.

Song of the Deep ci ha stupito anche da un punto di vista di gameplay, seppur in modo meno positivo di quanto appena detto. C’è del buono nel Metroidvania di Insomniac Games, questo è innegabile: manca tuttavia un’accortezza speciale per gli enigmi, facili sulla carta ma caratterizzati da una complessità d’esecuzione così alta da indurre, specie nelle fasi finali, a noia e frustrazione. Perché è chiaro, quando sai benissimo cosa fare ma non riesci a farlo per un’eccessiva macchinosità delle azioni da compiere, la pazienza si esaurisce rapidamente. Aggiungete un character design meno brillante di quanto fatto in termini di realizzazioni di mappe (che, lo ripetiamo, brillano per varietà, colori e dettagli) e capirete come, nonostante tutto, Song of the Deep rappresenti una buona base di partenza, da evolvere ed approfondire ulteriormente. Del resto, per scandagliare gli abissi più profondi dell’oceano serve sempre molta pazienza.

 

GameSoul è una realtà editoriale indipendente, nata come blog di GameStop Italia e tuttora parte del suo Network. Le opinioni espresse in ogni articolo con protagonista un prodotto legato in qualsiasi modo a GameStop Italia o America, sono dell’autore dello stesso, e non influenzate dal rapporto tra le due realtà.


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