25 Giu 2018

SoulCalibur VI – Anteprima E3 2018

Los Angeles – Per i giocatori degli anni ’90, la serie SoulCalibur gode di un rispetto meritato nel corso del tempo, fatta eccezione per un quinto capitolo piuttosto scialbo in termini di storia, nonostante cercasse di approfondire di più il personaggio di Sophitia e della sua famiglia orientando l’esperienza tutta verso Patroklos e Phyrra. Da molto si vociferava un nuovo capitolo ma nessuno ci sperava poi tanto, soprattutto perché Tekken 7 ha alzato sensibilmente l’asticella sul combattimento 3D e non si era sicuri che la saga “di cappa e spada” sarebbe riuscita a dire la sua. Sono stata piacevolmente sorpresa di scoprire che il combattimento in SoulCalibur VI segue le orme dei suoi anni d’oro e si dimostra affilato come sempre – perfetto se si considera le basi su cui poggia l’intera trama – grazie a meccaniche moderne ma soprattutto rinfrescate da alcuni piccoli tocchi che vedremo fra poco. Sebbene Tekken possa essere il titolo picchiaduro più ricordato dai bambini/ragazzini di quel periodo (il terzo capitolo, uscito appena due anni dopo rispetto all’esordio di SoulCalibur, è ancora il mio preferito), il gioco creato da Hiroaki Yotoriyama è da sempre il suo cugino più “figo”: grazie al suo design particolare, personaggi che in più di un’occasione ci hanno fatto sollevare un sopracciglio ma proprio per questo memorabili e un sistema di combattimento intuitivo, non deve stupire che questa storica serie abbia lasciato il segno nel proprio genere.

Con le lotte in 2D di Street Fighter che obbligavano i giocatori a padroneggiare combo complesse, il passo di Tekken verso un picchiaduro 3D e più newbie-friendly risultò un po’ banale. Di contro però obbligò SoulCalibur a cercare una soluzione unica che lo facesse risaltare, perché sia gli appassionati di un combattimento più casual sia quelli hardcore erano già stati accontentati. La soluzione? Un picchiaduro in 3D che faceva dell’uso delle armi la sua carta vincente. Non si preoccupino i puristi, so che Soul Calibur non è nato sotto questo nome. Pubblicato nel 1995 come Soul Blade, in Occidente, il taglio medievale di questo button masher e personaggi volutamente esagerati ne fecero subito un titolo di successo. Che fosse per la bizzarra fusione fra le movenze di un contorsionista e l’estetica di Wolverine nei panni di Voldo, o l’appassionato ruggito di un non meglio specificato commentatore quando dava i risultati di ogni match, gli alti valori di produzione e i suoi affascinanti protagonisti distinsero subito la serie dai suoi pari portando alla produzione di altri cinque titoli di successo – pur con i loro alti e bassi. Di nuovo, il tre sembra essere il numero fortunato perché anche per quanto riguarda SoulCalibur trovo il terzo capitolo il migliore finora. Adesso, dopo sei anni di assenza, SoulCalibur è tornato per rispondere all’unica domanda che ci interessa sapere, dopo il lecito dubbio su come l’outfit di Ivy possa reggere senza metterne in mostra le generose grazie: basteranno queste innovazioni per far sentire questo nuovo capitolo fresco nel 2018?

Proprio come Tekken, SoulCalibur è una di quelle rare serie dove la lore è celebrata tanto quanto il combattimento. Per incuriosire gli appassionati storici ma anche per dare un punto di partenza a chi si volesse avvicinare per la prima volta, Bandai Namco ha deciso di riportarci dove tutto ha avuto inizio: ponendosi come prequel del già citato Soul Blade, SoulCalibur VI riporta a noi alcuni pilastri storici della saga mostrandoli più giovani che mai. Ci sono Xianghua e Kilik, Sigfried e Nightmare, Mitsurugi, Zasalamel – uno dei grandi assenti del quinto capitolo ma io sto ancora aspettando Setsuka, per ora assente dalla build provata a Los Angeles – e un ospite d’eccezione, come già è stato per Darth Vader e Yoda in SoulCalibur IV. Parliamo nientemeno del Gwynbleidd Geralt di Rivia, che grazie a una collaborazione con CD Projekt Red non solo è stato riprodotto fedelmente nel suo aspetto ma dotato di un moveset che possa adattarsi allo stile di SoulCalibur, implementando persino l’uso delle rune senza che questo si percepisca come uno squilibrio. Provato con mano, Geralt si inserisce nel cast con una fluidità incredibile dando l’idea di averne sempre fatto parte. Con diversi stage a disposizione e un roster piuttosto ampio da provare che, oltre al famigerato Lupo Bianco, metteva a disposizione anche l’inedito Grøh, questo sesto capitolo si allinea ai predecessori e al contempo emerge per alcune implementazioni interessanti.

Mentre la telecamera si muove attorno all’antico maniero di Kaer Morhen e la voce di Geralt ammonisce un giovane Mitsurugi in cerca di sfida (“Challenged a Witcher… Must have a death wish”), mentre la brezza fa ondeggiare placida le vesti, diventa subito evidente come la tecnologia current gen abbia dato nuova vita alla serie. Laddove Street Fighter V ha optato per un’impressionante grafica cel-shading e Tekken 7 si è spinto al limite nel mostrare metropoli moderne e illuminate dalle luci al neon, il livello di dettaglio che l’Unreal Engine 4 offre a SoulCalibur e alle sue ispirate arene è semplicemente stupefacente. L’ingaggio delle lame genera scintille, i muscoli si tendono e, questa volta, gli attacchi speciali premiano il giocatore circondandolo di una luce eterea, in una convincente mescolanza di realismo e fantasia – dove l’animazione di ogni mossa speciale è stata valutata attentamente, presentandosi con un’estetica molto ispirata a quella di un fumetto. Non è però soltanto la grafica ad essere stata revisionata perché, come ho accennato prima, quando si tratta del gameplay scoprirete presto che quel particolare personaggio non è lo stesso che pensate di ricordare. Proprio come l’altro cavallo di battaglia Bandai Namco, Tekken 7, SoulCalibur ha fatto propri gli ultra attacchi che Street Fighter IV ha reso popolari nel 2008: assieme dunque all’estetica da fumetto, queste offensive a tutto schermo servono ad assicurare come SoulCalibur VI sia divertente non solo da giocare ma anche da vedere. Riprendendo alcune meccaniche dal terzo, quarto e quinto capitolo, il gameplay si perfeziona e arricchisce.

Torna la rottura delle armature, che come suggerisce il nome ci permette di distruggere diverse parti dell’outfit avversario e questa volta sembra avere un effetto anche sulla pettinatura; presente anche la parata a impatto, che si potrà utilizzare senza alcun costo, il Critical Edge che si basa sul modello di Soul Calibur V e la Just Guard le cui potenziali modifiche in termini di meccaniche sono ancora sconosciute. Ma il vero grande ritorno arriva da SoulCalibur III con la Soul Charge, una mossa utilizzata per aumentare temporaneamente la propria forza e del tutto rivista per questo sesto capitolo: può infatti far sì che alcuni personaggi si trasformino in differenti versioni di loro stessi, garantendo in questo modo abilità speciali. Non tutto però viene concesso senza un prezzo e nel caso ad esempio di Kilik, il cui cuore viene corrotto dal potere di Soul Edge, la sua trasformazione comporta una perdita graduale della salute in cambio di una potenza notevole. Si può annullare Soul Charge quando si vuole premendo la stessa combinazione di tasti, quindi se usata con parsimonia a seconda del personaggio può anche rappresentare la carta vincente. A queste meccaniche, infine, se ne aggiungono un paio inedite: il Lethal Hit, un sistema avanzato per il quale mettendo a segno una determinata mossa nelle giuste condizioni stordirà l’avversario più a lungo di un attacco normale e romperà un pezzo della sua armatura. La funzionalità più interessante è comunque la Reversal Edge, eseguibile con un solo pulsante, che innesca una sfida al rallentatore fra entrambi i giocatori nei quali – in buona sostanza – viene messa in scena una versione più complessa di sasso, carte e forbice. Un’azione cinematica estremamente coinvolgente che solo in parte si basa sulla fortuna e sembra più indicata per i principianti, perché un giocatore piuttosto esperto può leggerne l’andamento e vanificare il vostro tentativo. È ancora presto tuttavia per esprimere un giudizio definitivo e la stessa Bandai Namco sta ancora considerando la possibilità di rendere Reversal Edge una semplice opzione di gioco e non una meccanica obbligatoria.

Senza scendere oltre nelle meccaniche di gioco, che analizzeremo meglio in fase di recensione verso le fine dell’anno, tutto sembra molto più fluido di prima. Mettere a segno un Critical Edge è stato semplificato ma di contro la Soul Gauge si riempie lentamente rispetto a SoulCalibur V, rendendo meno probabile l’esecuzione di queste mosse in rapida successione. La stessa gestione delle parate, come ho scritto, non è più influenzata dal consumo della Soul Gauge e questo aggiunge al combattimento la continuità di cui si sentiva il bisogno, preservando al contempo la nostra energia per sfruttarla in una delle tante altre meccaniche. La notizia però che molti stavano aspettando riguardava la storia principale: abbandonando il poco fortunato percorso di una narrazione guidata e focalizzata su un solo personaggio, Bandai Namco offrirà la cosiddetta “Soul Chronicle”: trattasi di una modalità che racconterà i fatti antecedenti al primo capitolo della saga, ambientandosi dunque fra il 1583 e il 1590, ma lo farà dal punto di vista di ogni singolo personaggio – garantendo così un discreto ammontare di ore di gioco. Ogni storia verrà narrata attraverso una mescolanza di scene illustrate e tridimensionali, tra le quali si ingaggeranno le battaglie che hanno segnato il destino dei personaggi di SoulCalibur. Personalmente non vedevo l’ora di poter giocare una modalità così sfaccettata ma la vera sorpresa è stato sapere che questa non sarà l’unica modalità giocatore singolo presente in SoulCalibur VI: si parla di un altro grosso contenuto di cui per ora non sono stati rivelati altri dettagli. Che siano le bellissime Cronistorie della Spada di SoulCalibur III? O magari la Torre delle Anime di SoulCalibur IV? O ancora, qualcosa del tutto inedito? Possiamo solo ipotizzare.

SoulCalibur si mostra sotto una veste nuova e al contempo conosciuta, con implementazioni che ne arricchiscono lo stile di combattimento da un lato ma dall’altro – come la Reverse Edge – rischiano di diventare la mossa preferita dei giocatori in erba, andando potenzialmente a rendere uno scontro multigiocatore frustrante. Il button mashing non è nuovo nei picchiaduro, a chi non è capitato di trovare avversari che si trincerano dietro le stesse mosse ancora e ancora, tuttavia si tratta di combinazioni che possono essere lette e prevenute in tempi brevi. La base di fortuna sulla quale si appoggia la Reversal Edge (la cui esecuzione può comunque essere bloccata) potrebbe sbilanciare troppo i combattimenti soprattutto in vista di un possibile approdo agli eSports, nei quali ci si aspettano comunque paletti contro questo genere di comportamenti. A margine del gameplay, anche se per quanto mi riguarda non ci ho mai dato troppo peso e anzi l’ho spesso trovato fonte di battute, l’ammontare di fanservice in merito a determinati personaggi potrebbe risultare stucchevole dopo ventitré anni.

SoulCalibur VI si prospetta il giusto palcoscenico per un possibile nuovo futuro del franchise. Fra il riadattamento di vecchie meccaniche, l’implementazione di sistemi inediti, il salto di qualità grafico e una modalità storia che per fortuna è tornata quella di un tempo se non migliore, questo sesto capitolo avrà molto da raccontare in fase di recensione. Bandai Namco ha ancora qualche asso nella manica da svelare, soprattutto riguardo la misteriosa e corposa modalità giocatore singolo che andrà ad affiancare quella principale, ma da quanto ho potuto vedere le basi sono state gettate. Resta da vedere come verranno gestite e quanto SoulCalibur VI verrà supportato post lancio. Intanto affilate le lame e preparatevi a diventare protagonisti di una storia che non smetterà mai di essere raccontata.


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