Statik – Recensione

Quando cominciavano le prime indiscrezioni sulla realtà virtuale, si tendeva ad immaginare giochi molto diversi da quelli convenzionali, tali da rappresentare generi del tutto nuovi in grado di giustificare un tale salto nel futuro. Alla fine si è trattata invece di un’amplificazione, a volte tangibile, a volte no, di esperienze già vivibili davanti ad uno schermo. Sta al soggetto capire e decidere se ciò sia un fatto positivo o negativo. Ci sono però già titoli che sanno sfruttare nel migliore dei modi sia le potenzialità della realtà virtuale, sia i dispositivi che il giocatore può avere in mano e sulla testa. Statik, senza dubbio, è uno di questi.

Concepita inizialmente, e additata erroneamente, come un’escape room, l’esperienza di Statik consiste in una serie di puzzle con difficoltà crescente, intervallati da questionari e sezioni in cui occorre scegliere il prossimo livello. Con l’aiuto del Dr. Ingen, che in verità fa di tutto per distrarre il giocatore e deriderlo, bisogna capire come risolvere gli enigmi sulla scatola che tiene rinchiuse le mani. Il protagonista ha infatti le mani in trappola, tenute chiuse in un box che presenta ogni sorta di congegno elettronico o fisico che sia. Statik va sì giocato col visore PlayStation VR in testa, ma anche con un DualShock 4 in mano, che va a simulare la posizione delle mani e presenta tutti i tasti con cui interagire.

Nell’Institute of Retention, il Dr. Ingen è a capo di un misterioso esperimento, probabilmente mirato a capire come funzioni la psiche umana. Il giocatore, nei panni di una cavia, viene continuamente svegliato per risolvere un puzzle e addormentato con un sedativo, alternando anche sequenze per costruire un cubo dopo il superamento dei vari livelli. Di fatto è un trattamento perverso e molto inquietante, che sembra non avere mai fine: non traspare del resto la motivazione che porta questo dottore a seguirci per l’intera esperienza di gioco, parlando da solo, commentando le nostre azioni, assaporando rumorosamente il suo caffè e soprattutto nascondendosi sempre dietro un filtro pixelato per mantenere ignoto il suo volto.

La quantità di espedienti che il Dr. Ingen può utilizzare per rendere complicata la vita della cavia è davvero enorme

All’inizio del gioco ci si sveglia già nella stanza del laboratorio, con le mani chiuse nella prima scatola. Un punto in comune tra tutti i livelli è la necessità di esplorare ogni volta la conformazione del box, premendo i tasti a caso nel tentativo di comprendere la loro funzione. Di fatto, questo rende ogni livello un’esperienza nuova, con un gameplay completamente scollegato dallo stage precedente. L’obiettivo è sempre e comunque quello di risolvere i puzzle e far leggere ad un piccolo robot la “ricevuta” stampata dalla scatola, eppure le diverse costruzioni rendono imprevedibile e variegato il modo in cui si gioca.

La quantità di espedienti che il Dr. Ingen (anche se ovviamente il vero merito è di Tarsier Studios) può utilizzare per rendere complicata la vita della cavia è davvero enorme: solitamente il puzzle della scatola è composto da tre step, ognuno completabile utilizzando un mix degli strumenti disponibili. Si tratta dunque di bottoni, levette, switch, sliders, luci colorate e molto altro. Come se non bastasse la singola presenza di questi elementi con cui interagire, per completare i puzzle vanno utilizzati spesso in combinazione, a volte addirittura con un timer a creare maggiore tensione. Senza dare troppe anticipazioni, sappiate che dovrete addirittura avere a che fare con un Robot Roomba lievemente modificato.

Non si tratta dunque di semplici enigmi con trame a ripetizione, bensì di puzzle diversi per ogni livello, in modo che la crescita della difficoltà sia accompagnata anche da gameplay sempre fresco e inesplorato. Nella successione dei livelli, intervallati dalla creazione di un misterioso cubo bianco, ci sono anche momenti passati di fronte ad uno schermo, con tanto di telecamera. È in questi momenti che il Dr. Ingen mette il giocatore davanti a questionari strampalati e oscuri allo stesso tempo, mentre una specie di macchina della verità tiene monitorati i valori vitali. Comprendere i questionari e quali siano le risposte giuste è difficile, tanto che proprio il dottore avverte subito che potrebbero non esserci risposte corrette. Il Dr. Ingen si diverte molto a giocare con la mente della cavia, infondendo dubbi spesso superflui.

La motion sickness è pressoché assente

Tarsier Studios ha però svolto un lavoro eccellente anche in un altro ambito, quello della gestione del DualShock 4, trasformando il controller nel perfetto dispositivo per liberare le mani dalla scatola. Tutti i tasti del pad sono sfruttati in modo egregio per creare varie combinazioni e costringere il giocatore a imparare ogni volta i comandi necessari. Non c’è infatti bottone che si senta escluso dal gioco, a parte quelli che servono generalmente per il sistema di PS4. Inoltre, è proprio muovendo il controller che si può guardare ogni lato della scatola, esplorando eventuali indizi e segnali su come procedere. Potrebbero infatti esserci codici da trovare, cavi da seguire o altri aiuti a volte necessari per procedere col completamento del livello.

Trattandosi di un gioco in cui la cavia è perennemente seduta su una sedia, Statik non sottopone il giocatore ad alcun affaticamento visivo. La motion sickness è pressoché assente, e ciò permette a chi gioca di guardarsi attorno con disinvoltura senza il minimo timore di provare giramenti di testa e malori. Ad aiutare c’è probabilmente anche la grafica, curata, nel suo minimalismo, con uno stile molto vicino ai vari simulator sia classici che in VR. Non è necessario infatti che Statik abbia un comparto grafico entusiasmante, poiché concentra l’intera esperienza di gioco sul tentativo di liberare le mani e sui puzzle delle scatole. Questo non va ad inficiare gli elementi visivi che compongono gli enigmi, come le luci da tenere sotto controllo, le telecamere, i filtri e i raggi ultravioletti. Anche da qui si capisce che di carne al fuoco ce n’è davvero tanta per la varietà di problemi da risolvere.

Per quanto Statik sia infine un puzzle game, esso gode di una buona longevità in relazione alla quantità di puzzle da completare e al prezzo del gioco, fissato per 19,99€ sul PlayStation Store. La natura di PlayStation VR, che è da sfruttare in sessioni relativamente corte, e la necessità di studiare a fondo la scatola ogni volta, sono caratteristiche che espandono la vita di Statik. È ovviamente possibile completare il gioco in qualche ora di binge-gaming, ma la migliore esperienza è ottenibile completando un puzzle alla volta e prendendosi qualche pausa. Oltretutto, Statik ha anche una specie di modalità cooperativa grazie alla funzione Schermo Secondario di PS4, dove un amico può aiutare oppure mettere in difficoltà la cavia, in base a quanto approfondita sia l’amicizia tra i due giocatori.

Statik riesce a sfruttare come pochi altri giochi le caratteristiche di PlayStation VR e DualShock 4

In tutto ciò, Statik ha tuttavia un limite per i consumatori italiani. Non c’è infatti localizzazione per il nostro territorio, dunque occorre avere una minima preparazione in inglese per usufruire completamente del gioco. I sottotitoli sono disponibili, ancora una volta in inglese, e aiutano parecchio a comprendere alcune sezioni audio dei puzzle: oltretutto, la loro posizione è molto congeniale per il gameplay, essendo sempre indicati da una freccia e con caratteri ben leggibili. Questo però non trova applicazione nel momento in cui occorre utilizzare l’inglese scritto, collegato in un certo modo ad un puzzle in particolare. Finché non sarà presente la localizzazione in italiano, progetto che ovviamente partirebbe dopo un certo traguardo di vendite, i giocatori che non conoscono l’inglese potrebbero dunque non godere al massimo di Statik e rimanere bloccati in alcuni punti del gioco.

Conclusioni

Oltre la barriera culturale, che in Italia continua ad essere un tabù ancora a metà del 2017, Statik è senza dubbio un titolo da avere se si possiede già PlayStation VR. È anche una conferma della bontà riscontrata in fase di anteprima. Statik riesce infatti a sfruttare come pochi altri giochi le caratteristiche sia del visore che del controller per PS4, dando agli input un significato sempre nuovo per ogni enigma da risolvere.

Per gli amanti dei puzzle-game, Statik rappresenta dunque uno step successivo, l’immersione nella realtà virtuale per dare la sensazione di essere letteralmente circondati dal gioco. Il controller DualShock 4 smette infatti di essere il dispositivo con cui esplorare l’ambientazione, diventando esso stesso oggetto di esplorazione e scoperta. Quanti altri giochi sono in grado di fare una cosa simile?

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