SUPERHOT Nintendo Switch

SUPERHOT – Recensione (Switch)

Se siete arrivati ad oggi senza aver mai sentito parlare di Superhot complimenti, avete delle ottime doti di sopravvivenza per non aver ancora tirato le cuoia nella vostra bella grotta. Non è che stiamo parlando di un tripla A che ha rivoluzionato le regole del videogioco, questo è chiaro, ma il titolo d’esordio dell’omonimo team, a ben vedere, proprio una minchiatella non è.

Apparso in tutte le console domestiche e PC, con tanto di strepitosa (e sottolineo, strepitosa) versione in VR – che se non avete provato manco questa, ragazzi miei, ormai sta scontatissima pure dal panettiere sotto casa vostra – l’iconico “sparatutto” in prima persona che sovverte le regole del tempo arriva finalmente anche sull’ibrida di casa Nintendo, con un porting che, senza aggiungere una mazza di significativo a quanto già visto (se non il motion control), riesce abbondantemente a divertire. E a portare a casa la pagnotta come si deve, visto che in modalità portatile è pure una discreta figata.

superhot vr

La storia di Superhot, seppur narrata in modo allucinante tramite dialoghi da chat in perfetto stile ICQ, potrebbe sembrare poco più di un pretesto utile a dare una cornicetta narrativa al gameplay vero e proprio. Tuttavia, dandole il giusto spazio tra un’uccisione e l’altra, racconterà un’avventura cyberpunk dal vago retrogusto Wachowski, narrando i segreti di un apparente videogioco – Superhot, per l’appunto – che proprio così innocente non è. Meta-referenziale quanto basta, non trascendentale ma comunque divertente e ben congegnato, con uno “psycho drama” del 21esimo secolo infarcito di reti neurali, connessioni digitali e amenità varie che dai, magari non sono così innovative ma rendono comunque bene l’idea.

La parte da leone spetta ovviamente al gameplay, che in questa transizione su Switch adotta la possibilità di ruotare la telecamera sfruttando il motion control della console (ovviamente in modalità portatile, già vi vedevo a girare come beoti in casa con il dock stretto tra le mani), tanto semplice quanto geniale: detto in modo facile facile, il tempo si muove quando voi vi muoverete. Ve ne resterete immobili a fissare il bianco asettico della oltre ventina di livelli di cui la storia principale si compone? Benissimo, anche i vostri rossissimi nemici rimarranno delle belle sagome, ferme come dei chiodi, ad aspettarvi. Questo discorso vale solo in parte per i proiettili che vi spareranno addosso, che si muoveranno di uno o due frame al secondo (quindi se state fermi mezz’ora, cari miei, siete bellamente fottuti) verso la nostra allegra capoccia.

In Superhot la parte da leone spetta ovviamente al gameplay

Non serve dunque scendere in troppi dettagli per capire come, stringi stringi, Superhot è una danza virtuosistica tra proiettili che piovono da ogni lato, sagome rosse che corrono verso di noi armate di katana (o anche solo di cazzotti) e altre chincagliere affini, dove muoversi come cretini non serve a nulla (se non a farsi ammazzare) e soprattutto la pianificazione, anche nei primi livelli, è fondamentale. Poi ovvio, più avanti andrete più saranno amari i cavoli, e sarà necessario disarmare un nemico con un cazzotto, magari, o tirandogli addosso un qualsivoglia oggetto disponibile nello scenario, per poter stringere tra le mani una bocca da fuoco. Ma attenzione, per fare questo vi muoverete, e se vi muoverete voi si muoveranno anche i vostri nemici. E pure i proiettili, e sto giro a velocità normale. E pure i nemici che sparano proiettili con un mitra o un fucile a pompa da dietro le vostre spalle, che voi pensavate d’aver tutto sotto controllo e invece vi fanno il mazzo tanto pure sto giro.

Fuor di metafora, Superhot è una discreta gatta da pelare e allo stesso tempo una lodevole figata. La possibilità di governare il tempo, di disarmare i nemici (provateci voi, in un ascensore, in mezzo a quattro farabutti armati che vi fissano) e, più in là, di teletrasportarsi all’interno di un altro corpo, potrebbero sembrare facilitazioni enormi: in realtà vi sbagliate di grosso, e mettetevi il cuore in pace sin da subito che il numero di retry richiesto per superare lo scenario si innalzerà molto ma molto rapidamente. La frustrazione tutto sommato no, e questo è un plus, anche perché la possibilità di migliorare i propri tempi (per ciascun livello) una volta conclusa l’avventura principale è un’aggiunta interessante per l’intera economia di gioco.

Tosto ma non frustrante

Chiudiamo bottega parlando dello stile di Superhot, che su Switch rende divinamente sia in modalità docked che in quella portatile (inutile che vi racconti che, provata per 10 minuti la prima, finirete per giocarlo quasi esclusivamente stringendo Switch tra le mani). Stilisticamente è encomiabile, con questi scenari asettici bianchi e grigi che fanno tanto rap futuristico e che fanno risaltare ancor di più le traiettorie dei proiettili, le sagome nemiche e le goduriose esplosioni sanguigne (rigorosamente geometriche) quando la conta dei morti sale. Da vedere, insomma, è una bella cosa: poi possiamo parlare pure di qualche calo di frame rate, magari nelle sezioni conclusive dove ci sono più nemici che proiettili, o in un paio di compenetrazioni evidenti che nel 2019 fanno un po’ sorridere ma che, fortunatamente, non alterano l’esperienza di gioco. Che dai, poche storie, spacca.

Conclusioni

Anche su Switch, Superhot si riconferma quel piccolo gioiellino che è stato su PC e console fino ad oggi. La diagonale minore di Switch in modalità portatile rende piena giustizia al titolo, che pur non raggiungendo i livelli di glorificazione assoluta della controparte VR riesce comunque a divertire ed intrattenere per delle 6 ore buone: un paio di meno, se siete dei pro assoluti, anche una decina se siete delle pippe pantagrueliche e avete bisogno di più tempo per capire come gestire, per l’appunto, il tempo. Motion Control utilissimo, fidatevi, e pure le musichette in sottofondo così male non sono.

Unico appunto, ovviamente, il prezzo – visto che in casa Nintendo, da che mondo è mondo, anche la minestra riscaldata costa quasi come quella nuova: diciamo che qualche euro in meno non avrebbe fatto male, ma alla fine della fiera c’è un sacco di schifezza in giro allo stesso prezzo di Superhot. Che, non l’aveste ancora capito, resta sempre una bella esperienza anche se passa il tempo. O, per meglio dire, se sarete voi a farlo passare.

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