News 16 Dic 2015

Sword Art Online: Lost Song – Recensione

Approda su PS4 SAO: Lost Song, sulla scia della fortuna che ha raccolto anche in Italia il rispettivo anime, trasmesso su RAI 4 e basato sulle light novel di Reki Kawahara. Il giudizio del pubblico sull’anime è sempre stato contrastante a causa della struttura a due parti in cui è divisa la trama originale. Ambientato in un futuro prossimo, la prima parte vede il protagonista alle prese con l’uscita di un nuovo incredibile gioco di ruolo la cui esperienza risulta travogente per l’utilizzo della realtà virtuale. La nuova frontiera del gioco di ruolo virtuale online (VRMMORPG) è realtà grazie al Nerve Gear, un casco capace di stimolare i 5 sensi del giocatore attraverso la manipolazione delle rispettive aree del cervello. Kazuto Kirigaya, con il suo alter ego virtuale Kirito, è tra i mille fortunati beta tester di Sword Art Online, che presto si scoprirà essere una trappola mortale per tutti i partecipanti: il creatore, un pazzo criminale, non ha infatti previsto il logout e solo la sconfitta del boss finale libererà i giocatori permettendogli il ritorno alla realtà (la sconfitta in game determinerà anche la morte della persona nel mondo reale!).

Dopo due anni Kirito sconfiggerà finalmente il boss finale e libererà tutti i giocatori ancora vivi, quindi partirà la seconda parte dell’anime, decisamente più leggera, all’interno di un altro VRMMORPG: Alpheim Online. Qui Kirito dovrà salvare la sua ragazza, Asuna, intrappolata nel gioco da un malvagio uomo d’affari per condurre esperimenti illegali sulla mente umana e cercare un modo per controllare le persone. Il nostro eroe riuscirà di nuovo nell’impresa, ma questa seconda parte non spicca come la prima a causa di un minor spessore della psicologia dei personaggi e di un’atmosfera decisamente più tranquilla (manca ad esempio la suspence creata dal rischio di perdere la vita, caratteristica di SAO).

A dispetto del titolo, SAO: Lost Song è ambientato in Svart Alpheim (ALO), un mondo ben diverso da Sword Art Online sia per caratterizzazione dei personaggi, sia per estetica dei mondi ricreati. I personaggi appartengono a diverse razze, di cui la principale è quella delle fate (orecchie a punta, figura esile, piccole ali per volare…), alla quale appartengono i protagonisti Kirito e Asuna. Gli sviluppatori hanno ricreato una trama alternativa, ambientando la storia qualche tempo dopo il salvataggio di Asuna visto nell’anime, nel momento in cui i giocatori si apprestano a provare una nuova espansione del gioco. L’escamotage è molto originale ed in linea con la particolare ambientazione, ma crea diverse difficoltà ai neofiti di SAO, perché molti aspetti anche importanti della trama vengono dati per scontati o affrontati in modo superficiale, talvolta con lunghissimi e piuttosto noiosi dialoghi che non sondano sufficientemente a fondo la psicologia dei personaggi. Nel complesso la trama prosegue in modo semplice e lineare, con colpi di scena spesso preannunciati e che perdono tanto in fascino e sorpresa a causa di una regia inesistente. Le digressioni sono all’ordine del giorno, inutili ai fini della trama e molto orientate al fan service, che qui è preponderante e fa capolino anche nei momenti più improbabili!

Il gameplay riprende necessariamente quello di un MMORPG, con mondi ricchi di quest (uccisione di un determinato numero di mostri o raccolta di materiale) affrontabili con un gruppo di 3 personaggi. Il giocatore può utilizzare un solo personaggio, ma a scelta tra tutti quelli che compongono il clan di Kirito. Tornano tutti i protagonisti visti nell’anime, oltre ai già citati Kirito e Asuna, abbiamo Leafa, la prorompente cugina del protagonista, il “Rosso” Klein, il venditore Agil, il fabbro Lisbeth e altri ancora. La main quest procede di location in location attraverso il completamento di dungeon, ognuno sorvegliato da un boss, fino agli scontri finali necessari per sbloccare il mondo successivo. Mentre i boss finali sono tutti ben caratterizzati sia per design che per attacchi, tutti gli altri sono continue riproposizioni dei soliti 7-8 modelli di mostri, solo più grandi e coriacei. In generale la varietà dei mostri è piuttosto scarsa, così come i dungeon, tutti uguali e molto spogli. La componente multigiocatore, che caratterizza i veri MMORPG e che rappresenta il motivo principale per il quale giocarli, rappresenta qui, come è naturale, la mancanza più grande, resa ancora più evidente da una città poco “viva” e con abitanti decisamente poco loquaci e tutti “fabbricati” in serie sugli stessi modelli. Presto il ritmo sempre uguale verrà a noia a molti giocatori.

Il multiplayer è presente soltanto in minima parte: è possibile infatti riaffrontare i boss della storia creando un party con altri giocatori oppure è possibile cimentarsi nel PvP. Queste modalità rappresentano sicuramente delle gradite aggiunte, ma non concorrono ad aumentare di molto l’immersività, uno degli aspetti più carenti in questo SAO.

Fuori dalle città, è possibile sfruttare le ali sia per muoversi velocemente all’interno della mappa di gioco, sia per affrontare i nemici volanti. E’ possibile infatti ingaggiare i nemici sia a terra che in volo, in un sistema completamente action suddiviso in attacchi fisici e magici. Purtroppo questa suddivisione è particolarmente netta, pertanto non è possibile lanciare attacchi magici mentre si impugna un’arma, costringendo il giocatore a continui affondi e ripiegamenti per avere tempo e spazio di rinfoderare l’arma e lanciare le magie. Il sistema di puntamento funziona molto bene contro i boss, ma crea confusione in presenza di  numerosi mostri, inchiodando la visuale sul bersaglio e facendo letteralmente impazzire la telecamera nell’arduo compito di seguire i nostri movimenti.

Il controllo del resto del gruppo è lasciato totalmente al sistema, che riesce a fare bene il suo dovere, curando il nostro alter ego e supportando la battaglia in base alle specialità dei personaggi scelti. Se anche nell’impossibilità di controllare tutto il gruppo si può pensare alla volontà degli sviluppatori di riprodurre l’esperienza di un MMORPG (dove ognuno può controllare soltanto il proprio personaggio), è certamente una grave mancanza non aver pensato per lo meno alla possibilità di impostare preventivamente le azioni in battaglia degli altri componenti del gruppo in modo da adattare il loro modo di combattere al proprio stile.

La personalizzazione degli equipaggiamenti non è nemmeno paragonabile a quella possibile in un MMORPG, masono presenti diverse armi e costumi, anche qui con tanto spazio al fan service! E’ totalmente assente il crafting, sostituito da un sistema di livellamento delle sole armi, possibile grazie al ritrovamento di vari materiali e al lavoro di Lisbeth, le cui capacità non sono però infallibili, con il rischio di dover ripartire dal livello zero nel caso in cui l’arma si “rompa” sotto i colpi del fabbro.

Le armi, numerose e suddivise in diverse tipologie, sono spesso generiche e vanno fatte esaminare dal fabbro prima di poterle utilizzare. I mostri ne lasciano cadere in grandi quantità e dello stesso tipo, perciò rappresentano una grande fonte di guadagno se rivendute al venditore locale, Agil. In generale, grazie a questo sistema, non si avranno mai problemi di denaro nel corso dell’avventura, aspetto che concorre ad abbassare molto il livello di difficoltà del gioco. Il livello di sfida in generale è abbastanza basso, con picchi negli scontri contro i boss finali, ma senza diventare mai davvero difficile. Nonostante la mancanza quasi totale di un tutorialsullo sviluppo dei personaggi o sull’utilizzo di tecniche speciali, il giocatore riuscirà facilmente ad avere la meglio su tutti i nemici anche con il solo utilizzo delle armi da mischia.

Dal punto di vista tecnico, non siamo sicuramente al passo con la nuova generazione e probabilmente nemmeno con la precedente. Gli ambienti sono spogli e composti di pareti spigolose, i modelli poligonali sia dei personaggi che dei mostri sono al minimo storico e presentano diversi problemi di compenetrazione. Nonostante la vastità di alcuni mondi, le sezioni tutte uguali non incentivano sicuramente l’esplorazione. Uniche note di merito sono i caricamenti del tutto inesistenti, sia in fase di avvio del gioco che nel passaggio da un’area all’altra, e i filmati, del tutto simili all’anime e di buona qualità.

Particolarmente apprezzabile è il doppiaggio in giapponese e, soprattutto, i sottotitoli in italiano, una rarità per questo tipo di giochi ed uno sforzo dettato sicuramente dal successo che ha avuto l’anime anche nel nostro Paese.

L’audio è ottimo, sia per quanto riguarda la coinvolgente colonna sonora che gli effetti di attacchi e magie. Anche qui poteva essere fatto qualcosa in più, rendendo ad esempio la città più viva con voci e rumori.

In Conclusione…

SAO: Lost Song, nonostante i presupposti di altissimo potenziale ed una licenza piuttosto importante, non riesce a brillare a causa di una scarsa cura dei particolari. Il gioco si rivolge certamente ai fan dell’anime, ma non osa quel passo in più per allargare la sua appetibilità. Svart Alpheim è un mondo pieno di cose da fare e da vedere, ma che scade presto nello spettro della ripetitività e della linearità. A nulla valgono le numerose scene di fan service, se non a spezzare ulteriormente il già lento ritmo di gioco.

Il difetto maggiore è sicuramente costituito dal comparto tecnico non al passo con i tempi, ma una trama ben orchestrata, dei personaggi carismatici e profondi e un pò di varietà nei dungeon e nei modelli dei mostri avrebbero certamente giovato a questo titolo, rendendolo ugualmente accattivante agli appassionati del genere. I fan di SAO saranno felici di ritrovare in questo titolo tutti gli elementi che hanno amato nell’anime, ma non troveranno nulla di più e, soprattutto, nessuna vera novità che possa stimolare il giocatore a seguirne la trama.

Voto: 5,5/10

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