Retro e moderno al tempo stesso?
Con il passare degli anni e delle generazioni videoludiche, è sempre più facile trovarsi a confrontare il passato con il presente, raffrontando le attuali tipologie di gioco con i titoli che hanno gettato le basi per la loro formazione. Discutere chi sia il precursore delle avventure 3D tra un Super Mario 64 o, giusto per amore del confronto, un Jumping Flash se non titoli del mesozoico come The Mercenary è sempre molto intrigante e utile a mettere insieme i pezzi di come il medium sia cresciuto negli ormai circa 40 anni di videogioco moderno.
Negli ultimi tempi però è entrata nella conversazione in modo prepotente la questione remake, alla luce di tutte le “nuove” produzioni che puntano a riportare in auge grandi classici, riadattare titoli che iniziano a mostrare il peso degli anni o a offrire, finalmente, un modo per giocare a esperienze inaccessibili a causa delle piattaforme di origine. In ogni caso è inevitabile fare un paragone diretto tra prima e dopo, scatenando le immediate reazioni del pubblico.
C’è però qualcuno che sembra aver trovato la perfetta sintesi di “remake” inteso come lavoro di restauro e riproposizione del passato in una forma. No, non stiamo parlando dell’ultima versione di Resident Evil 4 (invero un grandissimo gioco), ma di un titolo a sua volta uscito nel 2023 e che quest’anno torna in scena grazie alla conversione da PC a console: System Shock (disponibile ora da GameStop, a questo link).
Se nel caso del titolo di Capcom abbiamo assistito alla ri-creazione di un capolavoro costruita sulla messa in discussione dell’estetica, della regia, del mood e anche – inevitabilmente, visto il passare del tempo – del linguaggio generale, la nuova opera di Nightdive Studios ha puntato invece a dare vita a un “classico moderno”, riuscendo ad attualizzare un titolo di 30 anni fa senza sganciarlo dalla visione originale.
Ci troviamo quindi ad esplorare una claustrofobica Cittadella, assemblata pezzo pezzo con la medesima (quasi sovrapponibile) planimetria dell’originale del 1994, ma arricchita nel dettaglio grazie al grande lavoro svolto con Unreal Engine 4. Per carità, ci mancherebbe altro che dopo tutto questo tempo e con le risorse a disposizione si potesse dar vita a un prodotto inferiore a quanto realizzato al tempo da Looking Glass Studios, ma qui siamo evidentemente di fronte a un lavoro frutto di passione e rispetto rivolto all’originale.
La palette cromatica è stata ripresa a sua volta in modo convincente, scremandola giusto degli azzardi artistici incompatibili con un certo grado di “credibilità”. Per quanto la struttura della stazione orbitante possa risultare incomprensibile e quasi ingiustificabile per navigabilità e vivibilità dello staff, il lavoro svolto – ad esempio – per ricreare la pavimentazione ove prima trovavamo solo lastre di metallo rende più concreta l’idea che, effettivamente, la Cittadella fosse un luogo destinato all’uomo.
Al tempo stesso si è cercato di rimodulare l’uso di alcuni colori, attenuando i rossi (forse più d’effetto all’epoca e sicuramente meno “apprezzabili” oggi) e sostituendo alcune luci con tinte più morbide. Lavoro diametralmente opposto invece quello svolto sugli elementi interattivi, come il minigioco di hackeraggio in stile Bioshock, o le sezioni di realtà virtuale, che invece spingono in maniera quasi scriteriata sull’inserimento del dettaglio e dei colori abbaglianti.
In tutto questo, però, c’è un sottile elemento di raccordo tra presente e passato, ovvero il pixel. System Shock si presenta come gioco in grado di sfruttare in maniera sapiente molte delle tecniche moderne, utilizzando materiali realistici per le superfici, che risultano illuminate in modo corretto (e tremendamente d’atmosfera) in tutte le condizioni di luce, senza sfociare in virtuosismi in stile ray tracing, ma appoggiandosi a una sempre efficace screen space reflection.
Tutto funziona estremamente bene, ma curiosamente… non risulta “freddo” come potrebbe essere una trasposizione moderna in UE. Perché? Perché Nightdive Studios ha messo al centro di ogni dettaglio il pixel grezzo: ogni elemento di gioco, visto di primo impatto, sembra moderno e “asettico” in ogni suo aspetto, quasi a sfiorare l’effetto di un asset stock, ma appena ci si sofferma abbastanza ci si rende conto che sotto quelle superfici realistiche ci sono texture pixellose che pur offrendo un aspetto “retro” reagiscono correttamente agli stimoli esterni.
Questo contrasto tra passato e presente diventa il tratto distintivo della produzione e il definitivo punto di contatto con il giocatore, il quale si rende conto di come si percepiscano efficacemente, nell’insieme, i risultati di questa scelta. Non c’è distacco, non c’è incongruenza (anzi), tutto appare come sarebbe dovuto essere e soffermarsi su ogni dettaglio diventa un gioco nel gioco.
Senza dimenticare come l’effetto un po’ sporco generato da questa scelta ben si sposi con le atmosfere opprimenti del titolo, che a metà strada tra Alien e 2001 Odissea nello spazio ci porta ad attraversare corridoi, quando illuminati e quando bui, in costante allerta a causa di un’intelligenza artificiale fuori controllo. Vecchio ma nuovo. Nuovo ma vecchio. System Shock riesce dove altri remake falliscono, ovvero nell’ottenere un potentissimo effetto nostalgico e al tempo stesso generando attorno a sé un’aura da moderno “cult” stile retro. Il tutto offrendo uno spettacolo credibile, un po’ accade con i recenti trend che ci illudono di riviere gli anni ‘80 con estetiche che in realtà sono ben distanti dai “veri” anni 80.
Ogni reinterpretazione può essere terra terra, scolastica, oppure trasformativa e rivoluzionaria. Quello che sta diventando sempre più importante oggi, in un epoca in cui ci stiamo tutti assuefacendo alle meraviglie grafiche al punto di rifuggirle in favore di una direzione artistica di livello, è la personalità con cui si affronta un lavoro di remake. Portare al limite la tecnica funziona giusto il tempo di vedere un nuovo motore grafico in azione, mentre ripensare gli elementi di gioco in modo che siano memorabili e realmente compatibili con le nuove tecnologie è ciò che rende un gioco “future proof”.
Dopo aver visionato anche la versione console di System Shock Remake, la conclusione è sempre la medesima: sì, è possibile riportare in auge vecchie produzioni del passato senza trasformarle in pallide imitazioni degli originali, mantenendo comunque la fedeltà nella visione autoriale. Certo, per molti il cambio di estetica non necessariamente basterà a far superare le asperità di un design comunque abbastanza ancorato nel passato, ma quantomeno non abbiamo davanti un prodotto che con il capolavoro degli anni 90 condivide solo il nome, come avvenuto nel recente passato in casi eclatanti come il Syndicate di Electronic Arts.
Per quel che concerne il valore del gioco in sé, vi rimandiamo alla recensione della versione PC, pubblicata lo scorso anno. Meriti e riserve restano, in particolare considerando che l’interfaccia console risulta inevitabilmente meno gestibile di quella dotati di tastiera e mouse (anche se su Xbox sono supportati) e dedicarsi a questo titolo con il gamepad potrebbe inevitabilmente restituire un’esperienza sensibilmente inferiore alle sue piene potenzialità. Il remake di System Shock rimane comunque un titolo estremamente valido e un perfetto esempio di come si possa ripensare e ricondividere una perla del passato.
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