La strada della vendetta è lastricata di sangue e lacrime
Tails of Iron è stata, almeno per me, una delle tante piacevoli sorprese del 2021: un metroidvania semplice, ambientato in un mondo animalesco e brutale, che raccontava la lotta di un giovane topo per difendere il proprio regno dalla minaccia delle rane. Una ambientazione fantasy medievale cruda, impietosa, della quale avrei voluto vedere molto di più: una speranza avveratasi quest’anno con la pubblicazione di Tales of Iron II: Whiskers of Winter, sequel che prende luogo nel freddo e ancor più implacabile Nord, dove un giovane ratto dovrà combattere contro una terribile minaccia che si pensava debellata da tempo.
Figlio spurio del re, Arlo viene affidato al comandante di Soglia d’Inverno, una barriera che già in passato si è dimostrata l’unico baluardo contro le Ali Nere – pipistrelli dediti ad arti oscure che andrebbero soltanto dimenticate. Cresciuto come Guardiano in un lungo periodo di relativa pace, il giovane ratto si troverà presto testimone del sanguinario ritorno delle Ali Nere in una sortita che gli porterà via tutto, dalla casa ai suoi stessi affetti. Sopravvissuto assieme al suo vecchio mentore Leif, Arlo dovrà ricostruire Soglia d’Inverno e forgiarsi nella lotta e nel ferro per dare il colpo di grazia ai nemici di una vita, scoprendo nel frattempo il vasto mondo attorno a lui e cercando alleati che siano in grado di affiancarlo nella battaglia.
I rimandi a Game of Thrones sono evidenti
Se al Sud, dunque, il regno dei ratti si sta appena riprendendo dal violento scontro con le rane (come abbiamo visto nell’originale Tails of Iron), il Nord dovrà affrontare una minaccia ancor più temibile. Sono innegabili, nel caso di Tails of Iron II: Whiskers of Winter, i rimandi a Game of Thrones – vuoi per Arlo che sembra un novello John Snow o per il concetto della Barriera e delle Ali Nere che praticano la negromanzia – sono evidenti e pur con questa palese strizzata d’occhio il sequel ha il pregio di mettere in piedi un’avventura cruda, brutale, violenta, teatro di tante perdite e non meno pericoli che più di una volta ci farà temere per i personaggi che ci circondano; questo senza nemmeno farli parlare concretamente, poiché tutti i personaggi si esprimono a versi e il significato viene poi veicolato a noi giocatori sotto forma di immagini, interpretato inoltre dall’onnipresente narratore Doug Cockle – Geralt di Rivia – che riprende dunque i suoi panni.
La sua voce iconica ci accompagna per tutto il corso dell’avventura, facendosi specchio soprattutto dei pensieri e dei timori di Arlo ma caratterizzando anche diverse altre creature che incontreremo nel nostro percorso di vendetta. Siamo di fronte a una storia semplice, esattamente com’era quella del primo capitolo, e perfettamente funzionale allo scopo: non si perde via, andando dritta al punto con un’essenzialità che tanto dice del mondo stesso in cui è ambientata. Là dove il pericolo e la morte attendono a ogni angolo, come scopriremo a nostro discapito, la storia non cede a inutili verbosità e nemmeno risparmia le ingiuste che in una realtà simile sono all’ordine del giorno. D’altronde, la guerra è una brutta faccenda.
Le nuove implementazioni di gameplay sono interessanti almeno quanto limitate nel loro impiego
Se c’è tuttavia un difetto che si può imputare a Whiskers of Winter è la gestione dei sottotitoli: poiché il racconto è in tempo reale, privo di pause o dialoghi da far scorrere, e che spesso le scene di battaglia vengono descritte, ci si sarebbe aspettato che i sottotitoli si mostrassero con un’adeguata gestione degli spazi per non intasare la schermata principale. Così invece non è e troppe volte mi sono trovata a non vedere cosa stessi facendo perché le scritte coprivano i personaggi, senza la possibilità di saltarli perché durano in accordo con i tempi di lettura del narratore. Solo che mentre io, da giocatrice, non sapevo cosa fare non vedendo nulla, l’intelligenza artificiale lo sapeva benissimo e andava alla carica, obbligandomi a rotolare da una parte dall’altra dello schermo per provare a schivare in attesa che i testi scomparissero. Non è propriamente un problema invalidante ma quantomeno una svista sciocca, un passo falso che si sarebbe potuto evitare facilmente.
Dal punto di vista del gameplay, la struttura resta a carattere generale quella vista nel primo Tails of Iron soprattutto per quanto riguarda la gestione dell’equipaggiamento. In aggiunta c’è la ricostruzione di Soglia d’Inverno, con diversi passaggi obbligati per trama, e l’utilizzo del rampino durante l’esplorazione in modo da raggiungere punti elevati. Nel primo caso non parliamo di una meccanica profonda tanto da rendere Whiskers of Winter un gestionale, anzi è molto basilare e comporta la costruzione ed eventuale ampliamento di quattro strutture. Diciamo che è un passaggio inserito a favore di trama, dovendo Arlo ricostruire il posto che ha chiamato casa fin da quando ha memoria, il cui peso nell’economia del gioco è pressoché ininfluente ma riesce lo stesso a incastrarsi bene nel complesso.
Quanto all’uso del rampino, ammetto che mi sarebbe piaciuto vederlo esteso a qualche boss fight e nel complesso la sua applicazione è occasionale, né sempre essenziale a meno che non si voglia evitare di subire qualche danno da caduta o risparmiarsi scontri con qualche nemico. Sono implementazioni di gameplay interessanti almeno quanto limitate nel loro impiego, cosa che da un lato ci può stare per la ricostruzione di Soglia d’Inverno, così da non rendere Whisker of Winter un mischione di generi, mentre dall’altro si percepisce come un’occasione un po’ sprecata l’aver utilizzato il rampino in modo tanto limitato e semplicistico.
Il punto forte di questo secondo capitolo, proprio come il principale, è il combattimento focalizzato, specie nelle fasi iniziali, su una costante vigilanza per schivare o contrattacare al momento giusto nonché sull’alternanza di armi e armature per meglio ferire e resistere agli attacchi nemici. Cambiare arma in uso, soprattutto, è essenziale per sopraffare le minacce in modo più efficiente tenendo conto delle debolezze elementali: ogni creatura tende ad avere due resistenze e due debolezze, queste ultime importantissime da considerare per massimizzare il danno e al contempo cercare di applicare un’alterazione di stato, diversa a seconda dell’elemento che si usa tra i quattro disponibili – fuoco, ghiaccio, veleno, tuono. A tal proposito, Whiskers of Winter propone l’uso di poteri divini concessi, per l’appunto, dalle relative divinità che vanno a ricalcare quelle norrene e aiutano Arlo nel suo percorso. Si tratta di abilità elementali il cui indicatore si ricarica mettendo a segno colpi e che se sfruttate con il corretto tempismo magari non ribaltano la situazione ma la supportano non poco.
Colpisce la varietà di abitanti con cui gli sviluppatori riescono a popolare questo regno fantasy animalesco
La quantità di creature messe in campo, alcune peraltro disponibili solo tramite storie secondarie, è lodevole pur al netto di qualche ripetizione (vermi giganti che cambiano sulla base dell’elemento rappresentato). Il bestiario ci permette di tenerne traccia in termini di descrizione, debolezze, resistenze e oggetti che si possono ottenere sconfiggendole. Come sempre, colpisce la varietà di abitanti con cui gli sviluppatori riescono a popolare questo regno fantasy animalesco, riuscendo a dare a ciascuno il giusto spazio entro cui muoversi. Dai Vespertini (gufi) alle Ali Nere (pipistrelli), passando per topi, ratti, rane, castori, istrici, pesci e chi più ne ha ne metta, il mondo di Whiskers of Winter si espande rispetto al precedente, che pure non mancava di mostrare qualcuno di diverso rispetto a ratti e rane.
La durata bene o male contenuta, attorno alle dieci ore per completarlo al 100%, è in linea con il precedente capitolo e rende la componente metroidvania semplice, nella sua struttura, ma l’ho trovata adeguata al tipo di avventura che gli sviluppatori intendono farci vivere, sia sotto il profilo della trama di per sé sia dell’esplorazione. Ci sono diversi avanti e indietro da fare se volete completare tutte le missioni secondarie, le boss fight opzionali e altri incarichi sparsi sulla mappa, un andirivieni al quale presto o tardi potremo ovviare utilizzando il viaggio rapido (limitato all’interno della regione in cui ci troviamo); arrivati alla conclusione, si capisce come il gioco abbia detto tutto quanto c’era da dire e mostrato altrettanto.
Conclusioni
Tails of Iron II: Whiskers of Winter, prosegue senza soluzione di continuità sul solco tracciato dal precedente capitolo, mantenendo quasi invariata la formula e andando a fare qualche piccola aggiunta in termini di gameplay. Implementazioni che tuttavia non spostano molto l’asticella, risultando in almeno un caso molto di contorno al netto del potenziale che avrebbero potuto avere con un maggior coinvolgimento. Resta in ogni caso un’avventura soddisfacente, nella sua contenuta durata, che va ad ampliare ulteriormente il mondo fantasy medievale messo in piedi dagli sviluppatori e non manca di strizzare l’occhio a un certo Game of Thrones.
Good
+Stile artistico sempre lodevole+Focus sul combattimento rapido e reattivo+Storia nota ma avvincente nella sua crudezzaBad
-Pessima gestione dei sottotitoli-Le nuove aggiunte non portano molto lato gameplay
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