Riuscire a contare tutti i videogiochi che sono stati prodotti in Giappone e mai arrivati in occidente è un impresa titanica se non impossibile, ma ultimamente qualcosa sembra esser cambiato: vengono infatti annunciate sempre più spesso localizzazioni che mai nessuno si sarebbe aspettato.
Il gioco protagonista di questa recensione ne è un chiaro esempio, si tratta del seguito di “Tears to Tiara”, una serie di JRPG strategici conosciuti in Giappone già dal lontano 2005 a cui è stata dedicata anche un anime ed alcuni manga totalmente inediti in Europa.
Non si può non definire coraggiosa la scelta di NIS America di lanciare in Occidente una serie misconosciuta partendo addirittura dal secondo capitolo e non dal primo, ma fortunatamente “Tears to Tiara II: Heir of the Overlord”, nonostante questo svantaggio iniziale, può contare su diverse potenzialità per uscire dall’ombra e trovare un posto al sole anche in Europa.
Quando si parla di guerra, che sia reale o solo un racconto, non possono che succedere innumerevoli orrori e crudeltà ed Hamil, il protagonista di questa storia, lo sa bene, vivendo ogni giorno in un paese dove la pace è solo un’utopia. Erede della casata reale dei Barca di Hispania, Hamil lavora come schiavo per il Divine Empire, quest’ultimo colpevole di aver ridotto il regno in uno stato di degrado segnato dalle continue violenze verso i suoi abitanti.
Il desiderio di vendetta e la voglia di salvare il suo popolo covati per sette lunghi anni dal protagonista, trovano risposta nella comparsa di una misteriosa ragazza, che si presenta a tutti come la potente Dea Tarte protettrice di Hispania nonostante l’incredulità generale. Lo stesso Hamil decide di non crederle, ma aldilà di ciò i due instaurano una bella amicizia trascorrendo spensierate giornate a caccia di conigli e ad osservare le stelle. La pacifica atmosfera è solo la calma prima delle tempesta perché il Divine Empire, per attirare in trappola il gruppo di ribelli hispanici, non esita a rapire Hamil con lo scopo di giustiziare ed umiliare l’ultimo erede della casata reale nonché simbolo della ribellione.
Il piano del Divine Empire si rivela in parte un successo ed i ribelli vengono scovati, ma Hamil non è così sprovveduto come sembra. Rivelando a sorpresa la sua vera natura di Melquart, Dio della guerra, dà finalmente inizio alla riconquista di Hispania con il supporto di Tarte, la quale ritrova i suoi poteri divini ed il rispetto degli umani che non credevano nella sua esistenza.
Questo non è che un brevissimo riassunto del prologo: parlare della trama di Tears to Tiara II non è un’impresa da poco, visti i numerosi dialoghi che si fermano a spiegare fin troppo dettagliatamente gli avvenimenti e i pensieri dei personaggi, così tanto nel dettaglio che il primo combattimento vero e proprio lo vedrete dopo circa 8 ore di gioco. Pazzesco ma vero.
Se preferite l’azione alla lettura siete già avvertiti verso cosa state andando incontro, stesso dicasi per chi conosce poco l’inglese, non solo per la quantità di testi ma anche per la complessità di determinate frasi.
Chi si avvicinasse per la prima volta ad un JRPG strategico, si troverà invece un po’ più in difficoltà ma nulla che un po’ di pazienza e pratica non possano risolvere, anche grazie alla possibilità di poter decidere in qualsiasi momento il tasso di sfida.
La prima volta in cui il giocatore sarà chiamato ad interagire è quella in cui avremo Hamil in versione “berserk” totalmente invincibile e circondato da inquietanti nemici demoniaci da eliminare, ma ciò che potrebbe spaventare di più i neofiti non sono i demoni quanto l’assenza di un tutorial rimandato misteriosamente alla sequenza successiva.
Superato lo smarrimento iniziale, come ogni strategico che si rispetti, il campo di battaglia appare suddiviso in una griglia su cui amici e nemici si muovono. Hamil è abbastanza agile e può muoversi in un raggio medio di circa 6 caselle, mentre i suoi attacchi con la spada colpiscono solo se effettuati corpo a corpo, quindi con una distanza di 0 caselle. Basterà selezionare il comando “attacca” per eseguire un azione ed una volta effettuata, la fine del turno andrà impostata manualmente dal menù. Se vi state già chiedendo il perché di questa scomoda scelta di non far progredire i turni in automatico, la risposta risiede nella possibilità di poter annullare in ogni momento i comandi impartiti alle proprie truppe ed addirittura tornare indietro a un qualsiasi turno precedente.
Con il proseguire della storia, il numero di personaggi utilizzabili aumenterà così come i vari stili di combattimento. Avremo il classico arciere utile sulla lunga distanza ma inadatto agli scontri ravvicinati, il guerriero sempre in prima linea per proteggere i maghi, ma anche classi più particolari come “Dea” (riservata a Tarte), un particolare mix “tuttofare” fra magie ed attacchi diretti con la spada.
Caratteristica unica del protagonista, è invece la possibilità di potersi trasformare nel “Dio Melquart” dopo aver accumulato abbastanza uccisioni, uno stato nel quale potrà beneficiare di un incremento notevole per quanto riguarda attacco e magia, a scapito di una riduzione delle statistiche nei turni successivi. Una scelta sicuramente azzardata, ma indispensabile contro i nemici più ostici e non per questo abusabile vista la possibilità di ritrovarsi facile preda una volta esaurita. La morte del protagonista equivale ad un game over, è quindi bene assicurarsi di non compiere azioni troppo avventate.
Tuttavia Hamil e Tarte non sono gli unici a poter contare su un asso nella manica. Gli alleati, ad esempio, possono richiedere l’aiuto di imponenti elefanti, lenti ma distruttivi, ottimi per proteggere i guaritori o altre unità più deboli grazie alla barra della vita condivisa fra cavaliere e cavalcatura. Altri personaggi di costituzione più fragile, invece, possono potenziarsi semplicemente rimanendo in campo ad aprire scrigni o distruggere casse ed altri oggetti per guadagnare punti esperienza nel modo più semplice possibile.
Ultimo ma non ultimo, ogni personaggio appartiene ad un determinato elemento, fattore che viene influenzato durante gli scontri dall’Element Cycle, un indicatore in grado di scandire, turno per turno, l’allineamento più appropriato da utilizzare.
Fuori dalle battaglie, non potevano mancare i classici negozi dove comprare armi, armature e medicine. Uno “shopping” senza arte né parte insomma, lontano anni luce da trovate ingegnose come l”item world” di Disgaea che permetteva di personalizzare le armi a piacimento.
A tal proposito, non è neppure possibile esplorare o interagire in nessun modo con l’ambientazione che non sia quella dove schierare le truppe. Una scelta infelice che costringe a visitare i negozi solo tramite un’apposita pagina, di qualità deprecabile per giunta.
A mitigare la spartanità dei menù legati agli shops, uno degli aspetti più riusciti invece è proprio quello riguardante i bellissimi disegni in CG che accompagnano la narrazione.
Possiamo giudicare allo stesso modo il comparto sonoro senza infamia e senza lode, gradevole ma non memorabile, al contrario del doppiaggio giapponese impeccabile ed azzeccato.
In conclusione…
Tears to Tiara II: Heir of the Overlord non potrà non conquistare gli amanti dei JRPG strategici grazie ai suoi ben caratterizzati personaggi ed a un battle system che, per quanto vecchia scuola, compie il suo dovere di far divertire il giocatore. Chiuso un occhio sulla grafica antiquata e sull’impossibilità di salvare durante le lunghe fasi di visual novel, fra alti e bassi Tears to Tiara II arriva solo alla sufficienza (superandola di poco) ed un po’ dispiace perché avrebbe potuto elevarsi a qualcosa di più di una semplice “visual novel a turni” di discreta fattura.
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