The Dark Pictures Anthology: Man of Medan – Recensione

Dopo il successo di Until Dawn, Supermassive Games ha deciso di proseguire lungo la strada dell’horror puntando però su qualcosa di più impegnativo: The Dark Pictures Anthology, una vera e propria antologia di racconti come suggerisce il nome stesso, è stata presentata lo scorso anno alla Gamescom foriera di promesse. I videogiochi che l’avrebbero composta sarebbero stati più brevi di quanto sperimentato in Until Dawn e pubblicati a cadenza semestrale: non sappiamo se questa promessa sarà mantenuta ma nel frattempo abbiamo potuto mettere le mani sul capitolo pilota di questa raccolta, Man of Medan.

Chi conosce la leggenda dalla quale è tratto saprà già di cosa andremo a parlare, a grandi linee, per tutti gli altri il sunto è questo: dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel giugno del 1947 (sebbene altri indichino febbraio 1948), un mercantile olandese naufragò in acque indonesiane dopo che il suo equipaggio scomparve in circostanze misteriose. Secondo le fonti, la nave sarebbe partita dalle coste cinesi seguendo una rotta particolare per non essere tracciata, forse a causa di un carico clandestino che trasportava. Ad ogni modo, si persero le sue tracce e le prime confuse notizie in merito iniziarono a circolare pochi anni dopo: nonostante le testimonianze non c’è nemmeno la certezza che questo mercantile sia di fatto esistito, pertanto la Ourang Medan è diventata una delle tante navi fantasma di cui si racconta.

Abbastanza però da attirare l’attenzione di Supermassive Games, che l’ha scelta come ambientazione di Man of Medan: un gruppo di cacciatori di tesori amatoriale vedrà la loro avventurosa escursione trasformarsi in una nottata d’incubo dove niente è come sembra. L’aspetto interessante di questa antologia è la figura del Curatore, un uomo misterioso che sarà il nostro Cicerone nel corso di questa e altre storie: parla direttamente a noi giocatori, stuzzicandoci con alcune informazioni e cercando di incuterci timore con altre – ben interpretato dall’attore Pip Torrens. Di lui si sa poco, se non che è il custode di tutte le storie da millenni. Nemmeno lui sa di preciso da quanto.

Alex, Brad, Julia, Conrad e Fliss sono i cinque protagonisti di questo incubo in mezzo al mare. Se dalla demo presentata più volte non possiamo negare di esser stati colpiti positivamente, una volta preso in mano il gioco completo abbiamo dovuto affrontare la dura realtà: Man of Medan è un grosso passo indietro per Supermassive Games rispetto ad Until Dawn. La narrazione convince per la prima parte del gioco, sebbene prima di essere intrappolati sulla Ourang Medan la progressione sia lenta, ma una volta a bordo quella che sarebbe potuta essere un’ottima atmosfera viene ostacolata da una serie di prevedibili jumpscare (efficaci ma spesso telefonati), una telecamera non sempre efficace e soprattutto un motore grafico che mostra spesso il fianco.

La stessa recitazione soffre di alti e bassi, con i personaggi a volte inespressivi e incapaci di generare qualsivoglia empatia – problema dovuto ovviamente anche alla costruzione della storia in sé. La sensazione di una minaccia sempre presente cerca di seguire quanto di buono fatto in Until Dawn ma a mancare davvero è proprio il suo elemento portante: l’horror. I giocatori più attenti potranno cogliere fin da subito dove la trama vuole andare a parare e questo “rompe” alcune sezioni di gameplay dove saremo chiamati a compiere scelte di pancia, o in generale scegliere se correre un grosso rischio o meno: intuendo con largo anticipo il nucleo della narrazione, questa urgenza viene a mancare, minando l’efficacia di alcune situazioni che altrimenti avrebbero potuto essere discretamente interessanti.

Man of Medan è un grosso passo indietro per Supermassive Games rispetto ad Until Dawn

Man of Medan prova ad approfondire alcuni aspetti di gameplay, introducendo la bussola morale che ci permette di compiere scelte istintive o ragionate (o eventualmente stare in silenzio) le cui conseguenze, però, non si sentono tanto preponderanti ai fini della narrazione. Complice anche il fatto della già menzionata mancanza di espressività dei personaggi, nonostante la maggior parte di loro abbia un legame più o meno profondo le nostre decisioni non intaccheranno narrativamente il loro reciproco rapporto come invece accadeva in Until Dawn, rendendo piuttosto ciascuna decisione fine a se stessa. Questo rende quindi inutile la presenza di un sistema di relazioni influenzabile dalle decisioni prese, poiché anche scendendo al livello più basso possibile con uno o più personaggi non ci saranno vere e proprie conseguenze.

I problemi tecnici/narrativi vengono ulteriormente evidenziati dai bug che inficiano l’elemento portante dell’intera esperienza: i QTE. Capita che il gioco non prenda i comandi, portando spesso il giocatore a conclusioni indesiderate e alle quali non può sottrarsi a causa del salvataggio automatico a seguito di ogni decisione presa o azione compiuta. Certo, il problema può essere aggirato aggiustando qualche impostazione in termini di accessibilità ma rimane comunque una scelta costrittiva, se almeno la prima run la si vuole godere senza aiuti di sorta.

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La presenza delle premonizioni sotto forma di quadri che troverete nel corso dell’avventura è interessante, tuttavia a volte chiedono un’eccessiva interpretazione oppure non sembrano condurre da nessuna parte: potrebbe essere un’intenzione voluta, mescolare a degli effettivi suggerimenti qualcosa di fuorviante, non ne siamo però del tutto sicuri. Rimane ugualmente un elemento valido e siamo curiosi di vedere se nei successivi giochi rimarrà lo stesso o cambierà forma. Al di là di questo e dei collezionabili, il gioco non offre molto di più: due partite, massimo tre, bastano a sbloccare ogni possibile percorso narrativo a volte portando a risultati significativi e altri a più brevi senza particolare mordente.

Nonostante la quantità di scelte possibili, Man of Medan vincola il giocatore a determinati momenti che i protagonisti devono per forza raggiungere prima di eventualmente morire. Forzando la mano scoprirete che possibili scenari di morte non vengono utilizzati, costringendo la narrazione lungo una strada predeterminata che appesantisce le partite successive alla prima. Dal punto di vista del multigiocatore, invece, la Serata al Cinema si rivela molto coinvolgente: si può giocare da un minimo di due a un massimo di cinque giocatori e i personaggi vengono distribuiti in base al numero di partecipanti. Se siete quel genere di spettatori che si sono trovati spesso a criticare le discutibili scelte nei film horror, questa è la vostra occasione per fare gruppo e direzionare la trama come volete voi – nei limiti del possibile.

Una critica infine al doppiaggio italiano, che nel complesso di un comparto audio molto riuscito in particolare se giocato in cuffia non convince, fatta eccezione per il Curatore, e in più occasioni capace di smorzare pesantemente quel raro pathos costruito con tante difficoltà.

Conclusioni

Man of Medan inciampa nel suo tentativo di seguire le ottime orme di Until Dawn e inevitabilmente soffre il confronto con una produzione che, senza dubbio grazie a un budget maggiore, dalla sua aveva un comparto narrativo di qualità capace di influenzare il gameplay. Qualcosa di cui l’esordio della nuova antologia sviluppata da Supermassive Games è carente, una colpa che può in parte essere imputata alla scelta di una leggenda molto limitante in termini sia narrativi sia di ambientazione ma che in ogni caso non può dipendere solo da questo: ci sono evidenti problemi di continuità, i personaggi non generano empatia nel giocatore fallendo dunque in un coinvolgimento necessario per sentirsi davvero parte del loro incubo e l’intera vicenda è telefonata in pressoché ogni suo aspetto.

Non bastano jumpscare ben piazzati per definire un horror e Man of Medan cade in in questa scelta di comodo, riuscendo soltanto parzialmente a veicolare la sensazione angosciante e claustrofobica di ritrovarsi a bordo di una nave fantasma alla deriva in pieno oceano. Non si può nemmeno chiudere un occhio sui bug che ostacolano proprio quando non dovrebbero, costringendo il giocatore ad assistere impotente a una deriva involontaria senza altra scelta che portare la narrazione fino in fondo o ricominciare da capo. Né si salva un doppiaggio italiano scialbo.

Le stesse modalità multigiocatore, locale e online, risentono di questi difetti e sebbene l’idea Serata al Cinema sia interessante non può evitare di lasciare l’amaro in bocca a più spettatori. Insomma, The Dark Pictures Anthology non vanta un esordio brillante e se dopo Man of Medan l’idea è pubblicare un nuovo capitolo ogni sei mesi è necessario che gli sviluppatori si rimbocchino davvero le maniche e dimostrino di saper, se non migliorarsi, quantomeno ripetere quanto fatto a suo tempo con Until Dawn. Al momento, questa antologia è giusto un abbozzo bisognoso di profonde correzioni.

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