the evil within 2
12 Ott 2017

The Evil Within 2 – Recensione

Sono passati esattamente tre anni dal primo The Evil Within. Un horror di quelli tosti, quello pensato da sua Maestà Shinji Mikami, per nulla intimorito di sbandierare un set di meccaniche a tratti forse persino troppo old school e deciso più che mai a riportare in auge un genere di horror, quello più viscerale, morboso e violento, da troppo tempo lontano dal palcoscenico che conta. Gli orrori del Beacon Mental Hospital, le creature depravate che popolavano un universo sfuggito al controllo dei propri stessi creatori e gli orrori di un macchinario folle, lo STEM, capace di dare forma e “vita” ad una sorta di tenebrosa coscienza collettiva colpirono nel segno, convincendo pubblico e giuria sulla bontà di un titolo capace sì di attingere a piene mani dal glorioso passato del survival horror, ma di fornire allo stesso tempo un gameplay ragionevolmente profondo e sfaccettato, reo forse di una deriva troppo action/frenetica nelle battute finali di una sceneggiatura di indubbio carisma. The Evil Within, insomma, aveva colpito al cuore del bersaglio: il sangue elargito generosamente nella pletora incalcolabile di decapitazioni, mutilazioni o esecuzioni (molte delle quali ai danni del nostro alter ego, il detective Sebastien Castellanos) non aveva deluso le aspettative degli affezionati del genere, incollati allo schermo da una narrazione cupa e profondamente referenziale non certo banale o scontata – ripresa, da un punto di vista diametralmente opposto, nel set di DLC che fecero seguito alla pubblicazione del titolo.

Dal tradimento di Kidman alla fuga quasi miracolosa dai pericoli letali dallo STEM, senza mai sfuggire un solo istante agli occhi instancabili di Mobius, sono passati tre anni. Gli stessi che intercorrono dal fattaccio del Beacon all’incipit di questo attesissimo The Evil Within 2, sequel “a presa diretta” dell’acclamato horror di Tango Gameworks rimasto orfano del buon Mikami al timone della regia – “promosso” invece a Executive Producer – ma, già da quanto visto in occasione dei primi annunci e delle prime prove sul campo, non certo intenzionato a perdere il proprio tocco. Un marchio di fabbrica in una serie horror che, alla seconda declinazione, riesce a rinnovarsi negli aspetti più critici senza tuttavia perdere il proprio DNA distintivo: e dopo esserci nuovamente abbandonati alle letali minacce di uno STEM decisamente migliorato rispetto a quello del nostro primo incontro, alla disperata ricerca di quell’esile e fugace ombra che risponde al nome di Lily Castellanos, siamo pronti a raccontarvi se, per sfuggire al nostro incubo peggiore, valeva davvero la pena immergercisi sino ai capelli.

the evil within 2

Non si esce indenni dallo STEM. Lo sa bene Sebastien, sopravvissuto agli orrori del Beacon ma turbato e profondamene segnato nel proprio intimo: depresso, angosciato, vittima del rimorso e del senso di colpa per la perdita della figlia Lily, morta nell’incendio misterioso che ha avvolto la sua abitazione. Un mistero all’apparenza irrisolvibile, reso ancor più insostenibile dal non aver mai trovato il piccolo corpo della bambina e dall’accettazione passiva di una realtà che nessun padre vorrebbe mai affrontare. Ma è proprio di fronte all’ennesimo incubo annegato in un altro bicchiere di whisky che, dopo tre anni di angosciante silenzio, succede l’inimmaginabile. Kidman, quella Kidman che pensavamo fosse nostra partner e che mai avremmo immaginato invischiata in uno sporco doppio gioco ordito da Mobius appare di fronte ai nostri occhi con una sconcertante verità: Lily è più viva che mai, intrappolata in uno STEM ancor più evoluto del primo e in pericolo di vita. La situazione è nuovamente precipitata all’intero delle pericolose mura di Mobius, e l’innocente fanciulla rapita e fatta credere morta è in realtà il Nucleo stesso di quell’universo condiviso che mira ad essere il nuovo passo dell’evoluzione umana. Un’evoluzione perversa e pericolosa, che Castellanos conosce sin troppo bene: e nemmeno le cicatrici ancora in vista potranno fermare un padre dalla sua missione più importante. Entrare nuovamente nello STEM, fronteggiare pericoli e mostri indicibili e recuperare definitivamente quel bene così prezioso sulla cui perdita, per tre anni interi, ha continuato a darsi colpe.

Narrativamente parlando, The Evil Within 2 parte con la marcia giusta, fornendo al giocatore un set di informazioni minimali prima di catapultarlo nuovamente nel cuore del terrore. L’ambivalenza di Kidman, dicotomica figura sulla quale è più che lecito nutrire dubbi profondi, è ora supportata dal silenzio dell’Amministratore, losca figura che coordina l’intera sperimentazione dello STEM e sui cui scopi vige il più assoluto segreto: sappiamo solo che, se Lily è il famigerato Nucleo, la colpa è sua. Ma alla vendetta penseremo dopo: ora è fondamentale agire, muoversi, respirare profondamente e raggiungere gli orrori della cittadina “fantasma” di Union e farsi strada in un inferno che nulla ha da invidiare a quello che ci ha visti protagonisti nel famigerato Ospedale Psichiatrico. Impossibile non apprezzare la narrazione di The Evil Within 2 già dai primissimi minuti di gioco: misteri incomprensibili, informazioni lasciate volutamente incomplete ad alimentare quella sensazione di diffidenza e di presunto tradimento, quasi ci fosse davvero qualcosa di inimmaginabile ed agghiacciante ad attenderci dietro l’angolo ma nessuno voglia correre il rischio di avvisarci per tempo, lasciandoci il “piacere della scoperta”. Si parte premendo l’acceleratore, insomma, con un veloce climax iniziale dall’interessante retrogusto cinematografico (non è casuale se la stessa Tango, nei giorni precedenti all’uscita di The Evil Within 2, abbia confessato un paio di pellicole ispiratrici): ma non c’è nemmeno il tempo di ambientarci nella nuova location, che la situazione volge pericolosamente al collasso.

La direzione artistica è azzeccatissima ed ispirata

Union, dicevamo. L’evoluzione della ricerca di Mobius ha siglato enormi passi avanti nella sperimentazione dello STEM, riuscendo in soli tre anni a ricreare un’intera città-test volta ad espandersi ulteriormente e al cui interno gli “abitanti” possano vivere in tranquillità godendo di teatri, negozi e di tutte le normali comodità della vita di tutti i giorni. Questi i piani originali del progetto, ridotto ora ad una dimensione alternativa famelica popolata da mostruose creature comandate da un folle fotografo/artista, Stefano Valentini, e impegnate a divorare i pochi superstiti non ancora trasformati in mostri. Superstiti tra cui una Squadra Speciale Mobius, spedita a Union per indagare sulle cause del collasso del sistema ma quasi interamente decimata dai suoi orrori prima ancora di riuscire a fare rapporto alla base generale. E questa rappresenta la prima significativa novità di The Evil Within 2 rispetto al proprio predecessore: Sebastien non sarà solo, ma potrà avvalersi dell’aiuto di un gruppetto di sopravvissuti per sventare il rapimento e l’attentato alla vita della figlia. Si tratta di figure per lo più passive, relegate in appositi rifugi e ben lontane anche dalla minima minaccia, ma il loro apporto in termini di briefing e di supporto alle missioni sarà a dir poco fondamentale più ci si addentra nell’esplorazione dei diciassette capitoli di cui si compone il titolo. Sarà O’Neal, ad esempio, a consegnarci una maschera antigas per sopravvivere nei cunicoli del Midollo (una sorta di galleria di servizio usato dagli agenti Mobius per raggiungere in sicurezza, almeno originariamente, parti più remote di Union), regalandoci di tanto in tanto qualche collectibles – per lo più materiali da craftare per ottenere munizioni o potenziamenti – o, in un paio di occasioni, affidandoci side quest facoltative ma decisamente utili nell’economia di gioco.

Questo perché, a differenza di quanto visto tre anni or sono, The Evil Within 2 è un survival horror ancora più spinto del proprio predecessore contestualizzato in un “mini open world” che, nonostante le insidie, spinge al’esplorazione costante. Già a difficoltà normale, infatti, il titolo Tango Gameworks non si dimostra certo generoso in termini di munizioni, armi o persino medikit: sparare alla cieca si dimostra rapidamente la scelta sbagliata, considerando il numero soverchiante di nemici presenti in giro e la relativa resistenza alle armi. Tocca dunque giocare di fino, muoversi silenziosi nell’ombra e, sfruttando il nuovo sistema di coperture/foliage, cercare di scivolare alle spalle del mostro di turno e giocarsi la carta dell’esecuzione stealth con asce o coltelli: che, sia chiaro, funzionerà soltanto con alcune tipologie di nemico, ma rappresenta indubbiamente l’alternativa più valida ad un disastroso approccio “run and gun”. La fuga non è disonorevole, a scanso di equivoci, ed al contrario diverrà un’alternativa con cui imparerete a convivere – tenendo ben a mente la resistenza di Sebastian, che tanti pregi ha ma non certo un fiato da maratoneta. The Evil Within 2 ci ha ricordato in alcuni passaggi The Last of Us, con la necessità impellente di mantenere un profilo bassissimo lasciando le armi da fuoco al proprio posto, limitando al minimo ogni rumore e scandagliando ogni centimetro dell’area di gioco alla ricerca di polvere da sparo, erbe curative, chiodi o tubi di ferro: tutti elementi che, una volta raggiunto il banco da lavoro, potranno essere “convertiti” in qualcosa di utile alla nostra causa.

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Chiariamo una cosa: The Evil Within 2 presenta una struttura simile a quella del proprio predecessore, con una gerarchia a capitoli che sottende una linearità fisiologica nel genere del survival horror: il level design di Union tuttavia mescola significativamente le carte in tavola, esaltando da un lato l’esplorazione (sia alla ricerca di oggetti “utili”, tra cui le preziose chiavi degli armadietti di Sebastian, sia per reperire dettagli narrativi – come le diapositive o le Risonanze – sfruttando il frequenzimetro del nostro comunicatore elettronico) ma, dall’altro, sottolineando la necessità – a tratti drammatica – di garantirsi una chance di sopravvivenza all’interno di un paesino più pericoloso persino del famigerato Beacon. Come farlo è semplice, almeno sulla carta: basta raggiungere la Stanza di Sebastian, sfruttando ancora una volta quegli specchi misteriosi centellinati nelle poche safe zone dello scenario, e con l’aiuto di Tatiana livellare opportunamente il nostro alter ego. Siamo tuttavia di fronte ad una situazione, almeno nelle fasi iniziali, tutto tranne che scontata: perché scappare può rivelarsi decisamente più “saggio” di affrontare il nemico faccia a faccia, specie quando il nostro arsenale non è dei più brillanti, ma il prezioso Gel Verde non cresce certo sugli alberi. E senza di quello, possiamo dire addio alle skill più interessanti di Sebastian.

La scelta, ovviamente, sta nelle mani del giocatore. I binari di sviluppo del personaggio offerti da The Evil Within 2 ci sono parsi equilibrati, permettendo in tempi ragionevoli di rafforzare salute e “spirito agonistico” di Sebastien per poi farci sbloccare mosse interessanti (due su tutte, la possibilità di “svincolarsi” automaticamente alle prese nemiche fracassando sull’altrui testa una bottiglia di vetro, a patto di averne in inventario, e l’utilizzo automatico di una siringa curativa quando la salute raggiunge livelli critici) utili ad allungare la nostra permanenza in quel di Union. Sarà chiaramente possibile completare tutti e cinque i rami (Salute, Atletismo, Furtività, Combattimento e Recupero) di cui si compone lo skill tree del nostro alter ego, ma la quantità di Gel Verde richiesta sarà particolarmente elevata – e, conseguente, comporterà qualche pericolosa ronda aggiuntiva alla ricerca di mostri “grossi” da abbattere. Mostri che, nel complesso, hanno mostrato un’intelligenza artificiale particolarmente reattiva, reagendo positivamente ai nostri rumori o a eventuali movimenti improvvisi all’interno del loro cono visivo: se allertati, tenetelo bene a mente, essi inizieranno ad analizzare la location attorno all’ultimo avvistamento, analizzando cespugli o persino aprendo porte. Abbatterli furtivamente sfruttando un’ulteriore skill di Sebastien, scappare o optare per un’eliminazione di gruppo (magari attirandoli tutti verso uno specifico punto, come un barile infiammabile, per poi scatenare i fuochi d’artificio) sono solo alcune delle opzioni permesse da The Evil Within 2: ricordatevi solo che, in molti casi, avremo a che fare con creature fulminee poco inclini a ricevere gratuitamente il nostro piombo addosso. Tenetelo a mente qualora, all’inizio della partita, aveste disattivato la mira automatica …

The Evil Within 2 è un survival horror ancora più spinto del proprio predecessore

Crafting e customizzazione rappresentano due tra gli aspetti più evoluti e profondi di questo secondo capitolo. Se da un lato le “munizioni” in scatola saranno comunque reperibili, specie indagando sui cadaveri degli Operatori Mobius passati a miglior vita, la nostra sopravvivenza (e la nostra efficacia offensiva) sarà legata a doppia mandata dalla bontà della nostra esplorazione, che premierà Sebastian con un set disparato di oggetti – erbe, come dicevamo, ma anche metalli e polvere da sparo – da convertire quanto prima nel nostro fido banco da lavoro. Sfruttando il comunicatore in dotazione – e completando opportune side mission alla ricerca dei Punti di Risonanza facoltativi, che ci permetteranno di rivedere sequenze di un tragico passato recente (Memorie Residue) foriero di preziose informazioni – potremo inoltre identificare sulla mappa piccoli depositi di munizioni, kit di upgrade per armi o preziose armi avanzate, danneggiate ma facilmente riparabili. Basta avere i pezzi giusti e una discreta riserva di materiali per riempire il proprio inventario di siringhe, medikit, proiettili disparati e dardi elettrici o esplosivi per la mai troppo lodata balestra. Non bastasse, sarà possibile craftare “al volo” gli oggetti più delicati qualora la situazione lo richieda, sfruttando un menu speciale di “Field Crafting”: il costo in pezzi sarà decisamente maggiore rispetto alla versione tradizionale, ma quando c’è in gioco la propria vita non si bada certo a spese… L’anima survival di The Evil Within 2 traspare dunque da questa precisa scelta di design: maggiore la difficoltà, minore il numero di “pappa pronta” a disposizione del giocatore. Ma di modi per sopravvivere non ne mancano affatto, basta solo avere il coraggio necessario per affrontarli.

Se narrazione e gameplay hanno dunque soddisfatto gran parte delle nostre aspettative, possiamo ritenerci ragionevolmente compiaciuti anche in termini tecnologici. La direzione artistica delle nuove avventure dell’ex detective Castellanos è azzeccatissima ed ispirata, abile nel veicolare ansia anche nel giocatore più navigato destabilizzandone ogni certezza e sobillando, in alcuni passaggi, distillati di autentico terrore dritti nelle vene. La matrice esageratamente gore che aveva caratterizzato il primo capitolo cala in modo abbastanza evidente in questa seconda declinazione, indubbiamente più matura e più affine al concetto di assurdo e weird che, giusto a titolo di esempio, abbiamo amato alla follia nel secondo Silent Hill. Questo non significa certo non avere a che fare con ettolitri di sangue, con esecuzioni agghiaccianti o con un charachter design, tra le linee nemiche, a metà strada tra il meraviglioso e il ripugnante (in termini positivi, ovviamente): Tango si comporta bene anche stavolta, mostrando tuttavia il fianco in un paio di animazioni leggermente datate, in una modellazione dei personaggi “umani” non sempre ineccepibile e in una serie di glitch (compenetrazioni e collisioni spesso opinabili) incapaci tuttavia di minare del tutto l’esperienza del giocatore. Nulla da dire sul frame rate di The Evil Within 2, stabile anche nelle situazioni più concitate – al netto di una realizzazione delle esterne di Union non esageratamente dettagliata o minuziosa. Complessivamente, siamo di fronte ad un lavoro di assoluto interesse, corroborato da una colonna sonora davvero strepitosa e da un doppiaggio in lingua italiana realizzato con cura. Il grosso, in termini sonori, lo fa il comparto FX: e con un buon impianto alle spalle – o un paio di cuffie valide incollate alle orecchie – si ha davvero l’impressione di trovarsi nel mezzo dell’incubo, circondati da creature affamate. Come se fossimo davvero dentro a quel maledettissimo STEM…

Conclusioni

The Evil Within 2 ci ha convinto parecchio. La nuova formula ludica di Tango Gameworks, che abbandona le fasi più “shooting” del predecessore abbracciando invece in toto gli stilemi del survival horror più tradizionale, funziona che è una meraviglia, e catapulta il giocatore nel mezzo di un inferno letale dove ogni errore può essere fatale e, inevitabilmente, ci si ritrova costretti a guardarsi le spalle passo dopo passo se non si vuole incappare in un sanguinolento trapasso. La nuova avventura di Sebastien Castellano all’interno dello STEM alla ricerca della piccola Lily stringe l’occhio all’old school più crudele, come per certi versi aveva fatto il proprio predecessore, ma riesce a mantenere il proprio ritmo peculiare per tutta la durata del playthrough, senza mai cadere nel banale o virare in uno “spara spara” frenetico in grado di inficiare del tutto l’ottima atmosfera creata dallo sviluppatore.

Gli amanti del gore frenetico avranno forse un po’ di cui storcere il naso, nonostante la media (in ettolitri di sangue versato) rimanga comunque alta: ma al netto di un paio di difetti tecnologici – in alcuni casi evidenti – e di qualche animazione che avrebbe forse meritato miglior attenzione, siamo di fronte ad un survival horror nudo e crudo, capace di limare gli spigoli più aspri che ne hanno contraddistinto l’esordio e di far affiorare in superficie un’esperienza tanto destabilizzante quanto difficile, faticosa, estenuante come può essere sopravvivere in questa Union popolata da mostri indicibili. A patto di non cedere alle lusinghe di una bassa difficoltà e del supporto della mira automatica (due concessioni inaccettabili per un qualsiasi amante dell’horror che si rispetti) siamo di fronte ad un titolo rivolto ad una frangia ben definita di giocatori, attratti dalle sfide impegnative e capaci di gestire il peso di sentirsi “prede facili” braccate da una pletora di aguzzini affamati. Ma che lo STEM non fosse un’esperienza per tutti, a ben vedere, questo già lo sapevamo…