Un altro anno è quasi passato (e che anno), e sui minuti finali, poco prima di scorrere i fatidici titoli di coda, è arrivata la nuova edizione dei The Game Awards. Gli annunci sono stati tanti, forse troppi. Del resto, quantità non è sempre sinonimo di qualità, ma questo è un adagio a cui il nostro beniamino videoludico preferito, il buon Geoff Keighley, sembra piuttosto indifferente.
Durante lo show, che si è tenuto nella notte dell’11 dicembre qui in Europa, c’è stato il classico alternarsi di “world premiere” e di premiazioni. Sì, perché se il tuo show lo chiami The Game Awards, vuol dire che i giochi li vorrai anche premiare, in qualche modo.
Inutile girarci attorno: i The Game Awards fanno e hanno fatto rumore anche dove non ce lo si sarebbe aspettato. Lo dimostra il flusso di notizie sulle varie testate della stampa generalista, sempre più consce della rilevanza culturale del medium videoludico. Ed è interessante rendersi conto che sì, lo show di Geoff Keighley è col tempo diventato un appuntamento fisso, riconosciuto da più parti e dai grandi valori produttivi.
Lo show di Geoff Keighley non celebra nulla, se non se stesso
Nonostante questo, però, manca ancora identità. Non è una cosa da poco, quando la tua mission è quella di celebrare i videogiochi e chi li crea. Con questa potente cassa mediatica a disposizione, è indubbio che il potenziale c’è ed è anche tanto. Peccato che i The Game Awards continuino a sorprendere, in negativo.
Non fraintendetemi, tra i tanti titoli annunciati ci sono progetti assolutamente interessanti e degni di nota. Sephiroth ingigantirà ulteriormente il già titanico roster di lottatori di Super Smash Bros. Ultimate. Il ritorno di Perfect Dark su Xbox è stata una gran bella sorpresa. Senza grossi preamboli, un po’ a caso a dire il vero, ci siamo beccati l’annuncio degli ex creatori di Dead Space, con un trailer dai toni piuttosto forti, per il loro nuovo progetto, il suggestivo The Callisto Protocol (che tra l’altro è canonicamente ambientato nell’universo di PlayerUnknown’s Battlegrounds!).
Una nuova versione, anche per console, di Disco Elysium in arrivo nel 2021 e tanti progetti indipendenti estremamente affascinanti. come Season in arrivo su PS5; Road 96 con il suo innovativo concept; It Takes Two di EA si è dimostrato sorprendentemente ricco e ispirato, merito soprattutto del suo folle creatore Joseph Fares (Fuck the Oscars!).
Nonostante qualche piacevole sorpresa degna di interesse, nell’arco delle quasi quattro ore trascorse a colpi di caffè e di musica elettronica, mi è saltato più di un neurone dopo essermi sorbito l’ennesima pubblicità su Pokémon GO e sui Wooper da catturare. Ora mi direte: “Ma Andrea, lo show è pensato per il pubblico americano, vederlo in condizioni simili distorce sicuramente la tua percezione dell’evento”. E quindi? Il ritmo e la qualità dei The Game Awards è stato davvero insoddisfacente, e lo sarebbe stato anche di pomeriggio mentre mi stappavo una birra con le patatine.
Lo show di Geoff Keighley non celebra nulla, se non se stesso. Una continua glorificazione del format e della sua rilevanza, quest’ultima in qualche modo racimolata invitando star di Hollywood e registi famosi. Ma davvero c’era bisogno di chiamare Christopher Nolan per annunciare il gioco dell’anno? Perché non glorificare il medium dei videogiochi con le persone che lo rendono così bello?
Ed è per questo che il racconto di Troy Baker (attore che ha dato movenze e voce a Joel, tra le mille altre cose) è stato enormemente più interessante del vedere Brie Larson che legge una busta e poi tanti saluti. Quel momento così bello e significativo tra Joel ed Ellie in The Last of Us Parte 2, lo diventa ancor di più. Lo fa arricchendosi di un aneddoto estremamente umano, in un contesto di sviluppo spesso deumanizzato dai giocatori stessi. Come è stato bellissimo vedere il leggendario Eddie Vedder, frontman dei Pearl Jam, cantare proprio quella “Future Days“, onorato che la sua musica sia diventata qualcosa di significativo per i giocatori, oltre che per i personaggi della storia di Naughty Dog.
Se vuoi glorificare i videogiochi, devi parlare la stessa lingua dei giocatori. O almeno quella che parlano gli sviluppatori, ridotti a semplici e fugaci intermezzi, tra un annuncio e l’altro. O peggio, tra una pubblicità e l’altra. Portare avanti il carrozzone è costoso Geoff, lo sappiamo tutti come va il mondo. Eppure, nonostante quel carrozzone, non sei ancora riuscito a dare davvero giustizia ai giochi, lasciando che il focus dello spettacolo, neanche troppo riuscito a dirla tutta, fosse interamente occupato dall’hype per l’ennesimo annuncio, per un inutilmente atteso trailer di Elden Ring o di God of War per esempio, piuttosto che dalla celebrazione dell’ennesima ottima annata dell’industria videoludica.
Sono stati annunciati più titoli cooperativi multiplayer ai The Game Awards che in tutto il 2020, e non è questione di doversi aspettare la bomba. Perché i nostri Dragon Age e Mass Effect li abbiamo avuti, con sommo gaudio dei fan dei brand in questione, e abbiamo persino goduto di un’inatteso scorcio di next gen in salsa sudcoreano, grazie al sorprendente Crimson Desert. Ma quando all’ennesimo trailer in CGI mi si chiede di assimilare questo show come il nuovo E3 no, non ci sto proprio.
Viva i videogiochi, viva chi li crea. Ma se vogliamo celebrarli servirebbe qualcosa di diverso. Rincorrere Hollywood è solo un abbaglio.
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