I The Game Awards di Geoff Keighley arrivano puntuali come un orologio svizzero, così come i commenti della critica e della community sulle nomination. La giornata di Lunedì 14 Novembre è stata piuttosto ricca di riflessioni e chiacchiere, perché come di consueto le nomination dello show non hanno convinto gran parte del pubblico. Si tratta di selezioni limitate, ovviamente, e non è detto che le motivazioni dietro il malcontento siano tutte valide o sensate.
Nonostante ciò, è chiaro che il sistema di giuria internazionale, sviluppato da Geoff e il suo team, ha dato dei risultati decisamente interessanti e grossomodo prevedibili. La giuria dei The Game Awards, per chiarire, è composta da più di 100 testate e influencer internazionali, che esprimono le loro preferenze in ogni categoria determinando le nomination. I risultati sono forse un po’ un segno dei tempi, o di un sistema che andrebbe rivisto per premiare la diversità dell’industria dei videogiochi e non, come vedremo, la popolarità di un numero di titoli ristretto.
Potete consultare tutte le nomination comodamente nella news dedicata, perché in questo caso commenteremo esclusivamente i candidati al Game of the Year. Una categoria che vorrebbe dare un riconoscimento al gioco che “offre la migliore esperienza in assoluto in tutti i campi creativi e tecnici”. Una dichiarazione d’intenti piuttosto ampia, come giusto che sia per un titolo che ambisce a questo risultato.
Il primo a finire in questa lista è A Plague Tale: Requiem (che potete acquistare sullo shop online di GameStop), titolo di Asobo Studio, che prosegue il terrificante viaggio di Amicia e Hugo. Il primo A Plague Tale è stato decisamente un’esperienza inaspettata, arrivata come un fulmine a ciel sereno e che ha dimostrato di poter raccontare una storia interessante, con un gameplay privo di ambizioni open world di sorta. Il sequel, forte del successo ottenuto, si è posto l’obbiettivo di migliorare quella formula e portarla ad un livello superiore.
Una serata che seguiremo, come ogni anno, consapevoli che questi premi, alla fine, lasciano un po’ il tempo che trovano
Requiem è davvero ottimo tecnicamente, e mostra i muscoli in ogni occasione possibile. Un vero gioiello, che si prende del tempo per sfruttare questa rinnovata ambizione e offrire un gameplay a tratti meno lineare, con più scelte e approcci dati al giocatore. Ora, la sua qualità in questo senso è indiscutibile, e potrebbe essere accostato senza dubbio nei titoli che, come ogni sequel degno, percorrono il solco tracciato dal precedente per migliorarlo. Lo fa God of War Ragnarok, così come Horizon Forbidden West.
Allo stesso tempo, A Plague Tale: Requiem resta ancorato a strutture di design così superate e plastiche, come il suo approccio alla progressione o allo stealth, che viene da chiedersi se al posto suo non ci fossero diversi altri titoli a meritare la nomination. Mario + Rabbids Sparks of Hope (ecco il link per acquistare lo strategico a turni realizzato dai ragazzi di Ubisoft Milan), ad esempio, un sequel che con coraggio tenta nuove strade e rinuncia al passato cambiando completamente approccio. Vince la sua scommessa e porta a casa un’accoglienza di critica e pubblico ottima, ma non basta a scalfire l’avventura tra peste e ratti di Asobo.
Discorso analogo per esperienze estremamente dirompenti come Immortality, che hanno trovato spazio soltanto in categorie secondarie. La sensazione quindi è che il Game of the Year sia un po’ costruito su presupposti sbagliati, facendo contendere titoli di natura opposta o, generalizzando (ma nemmeno tanto), molto simili tra loro per il tipo d’esperienza offerta. Il tutto sulla base dei voti della giuria internazionale, che anche quest’anno ha premiato un po’ la popolarità, con nomi ampiamente chiacchierati sui social e nelle community, che sembrano rispondere a una visione limitata di ciò che offre il mercato, più che agli effettivi meriti degli stessi.
Un discorso sicuramente estendibile al secondo candidato, Stray di Annapurna Interactive (se ve lo siete persi, ecco il link che fa per voi). Un ottimo titolo, che merita sicuramente il successo e gli encomi ricevuti. Il “gioco col gattino” riesce a dipingere con una componente tecnica e artistica un bellissimo mondo in rovina, lasciandoci il tempo di esplorarlo, per osservarne le nuove dinamiche e regole. Un’esperienza coinvolgente, che rientra in binari però piuttosto ordinari. Si potrebbe discutere di questa candidatura per lungo tempo, ma è indubbio che ad aver premiato Stray è stato il buzz mediatico che ha generato, più che le sue qualità in senso assoluto.
Elden Ring, God of War Ragnarok e Horizon Forbidden West occupano un posto piuttosto scontato, rappresentando l’apice (o quasi) dei valori produttivi messi in campo per un videogioco. Le due produzioni dei Playstation Studios, entrambi due sequel, sono un po’ le due facce della stessa medaglia. Da un lato abbiamo Horizon Forbidden West (acquistabile qui), che cerca di migliorare in tutto e per tutto le criticità del predecessore (e in larga parte ci riesce); dall’altro God of War Ragnarok (questo il link per acquistarlo al volo) che, da critica e pubblico, è stato percepito come un sequel meno sorprendente, più ancorato alla sua precedente incarnazione e focalizzato sull’offrire una quantità importante di nuovi contenuti, ma dalla struttura familiare. Due blockbuster, che fanno la voce un po’ grossa e si prendono il carico di rappresentare i videogiochi sia agli occhi del pubblico di appassionati, sia a quel mondo che li ha sempre bistrattati (e continua a farlo).
Elden Ring (anche questo facilmente recuperabile) trova invece qui la sua consacrazione, dopo un’attesa che sembrava interminabile e un successo senza precedenti per From Software. Una posizione meritata, al netto dei difetti e gli spigoli che affliggono l’ultima opera di Hidetaka Miyazaki. La scommessa dell’open world poteva andare in direzioni catastrofiche, e invece il team giapponese è riuscito ad offrire un’esperienza avvolgente, nuova ma familiare, declinandola in uno delle migliori esperienze open world della generazione.
Xenoblade Chronicles 3 è un po’ la pecora nera di questa cinquina, quasi a dover rappresentare Nintendo in uno scontro tra titani (titolo acquistabile a questo link). Un’opera sicuramente importante per il gioco di ruolo giapponese, per una serie che è arrivata a chiudere un percorso lungo e complesso. Sarebbe bello poter candidare lo Xenoblade Chronicles del 2010, al suo posto, ma tirando le somme resta comunque un’ottima espressione di un certo tipo di prodotto. Non lo vincerà mai, nemmeno a dirlo.
Per scoprirlo dovremo aspettare l’8 Dicembre, quando si terranno i The Game Awards da quel di Los Angeles. Una serata che seguiremo, come ogni anno, consapevoli che questi premi, alla fine, lasciano un po’ il tempo che trovano. E che non riusciranno mai, per come sono concepiti, a celebrare davvero l’unicità e la diversità di questo meraviglioso medium e dei suoi esponenti più coraggiosi, folli e ambiziosi.
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