Originariamente era un gioco per pastori, ed è addirittura l’unico sport che sia stato giocato sulla Luna. Il genio di Mark Twain lo definì “una buona camminata rovinata”, e molti ne parlano come una delle cose più belle da fare vestiti. Il golf è così: speranza e paura per alcuni, felicità e spensieratezza per altri. Difficile non tracciare il paragone con il mondo dei videogiochi. Dal 1998 ad oggi è stata Electronic Arts a portare il golf sulle nostre console, grazie alla collaborazione con Tiger Woods che le permise di far uscire il suo “PGA Tour” con cadenza annuale, ma mentre EA si prende quest’anno il tempo per rinnovare il franchise senza Tiger, il palco è libero, ed è tutto per The Golf Club. Vediamo insieme se i canadesi di HB Studios mettono la palla in buca o se è solo un hit and miss.
Il suono del vento che accarezza le foglie, il cinguettio degli uccelli, lo scorrere di un piccolo ruscello. Suoni di un presente che a volte si dimentica, attimi che passano in sordina di fronte al frastuono di un mondo sempre più tecnologico e “macchina”. I videogiochi ora sono diventati vere e proprie finestre su milioni di universi alternativi, specchi del desiderio prettamente umano di vivere mille vite diverse, in una. Insomma, pretendiamo fenomenali poteri cosmici in un minuscolo spazio vitale. Ironico che sia proprio un videogioco, un frutto di quello stesso mondo, a riportare a galla il bisogno primitivo di “semplicità”. È proprio il concetto di semplicità funzionale quello che riesce a descrivere in toto un gioco che, senza sfarzo né pretese, colpisce proprio per la sua naturale genuinità. The Golf Club non può certo vantare di avere nel proprio roster golfisti del calibro di Woods o Singh, o campi ai livelli di Pine Valley e Newcastle, ma quello che “perde” in vezzi estetici guadagna in anima. Già dai primi istanti si può notare un menù principale semplice ed efficace, che ci permette di scegliere fra Round, Tour o Torneo. Ognuna di queste sezioni ci permette poi di dettare le regole di gioco, scegliendo fra Stroke Play (modalità classica), Match Play (a 2 giocatori, il vincitore di ogni buca guadagna un punto, vince chi ha più punti) e Four Ball (a 4 giocatori, divisi in due team, stesse modalità di Match Play).
Chi prende in mano il controller e inizia una qualsiasi di queste modalità si trova sul campo, con un Ferro 3 in mano e una palla da mettere in buca: niente caddy virtuali, niente indicazioni di potenza, solo un uomo e la sua capacità di “leggere il campo”. Sia chiaro, chi vi scrive ne sa di golf tanto quanto il nintendiano Mario ne sa di idraulica, ma non ci vuole molto per capire che l’approccio utilizzato da The Golf Club è perfetto nella sua spartana astensione da ogni tipo di fronzolo artistico. Questa ricerca della semplicità non si rispecchia (o si rispecchia pienamente, a seconda dei punti di vista) nella rudezza del gameplay, contro cui nulla può il giocatore alle prime armi: affrontare un rough con la stessa mazza o la stessa forza con cui si è usciti dal beach poco prima non porterà a nulla, se non ai commenti sarcastici del commentatore di gioco. Più e più volte, mentre giocavo, mi è venuto da paragonare The Golf Club a un Dark Souls sportivo, con un picco di apprendimento estremamente ripido, e nessun applauso alla fine della scalata. In un panorama tecnologico e videoludico sempre più improntato allo user-friendly per quanto riguarda la difficoltà di gioco, un “ritorno alle origini” è sempre ben gradito (basti vedere il successo di giochi come Rogue Legacy o proprio la serie dei vari Souls, di sicuro non molto “permissivi” a riguardo).
Passiamo però al gioco vero e proprio: un caricamento davvero brevissimo, e si parte. La presentazione del campo è essenziale, con una panoramica dall’alto a volo d’aquila fino in buca. Ad accompagnarci, un commentatore che se di primo acchito sembra poco professionale, con il passare del tempo diventa quasi familiare nel modo in cui parla, come se avessimo un amico per caddy: un compagno davvero perfetto per l’atmosfera rilassata e non agonistica del titolo. Piccola chicca è la scout camera: da utilizzare prima del tiro, ci offre una preview di dove la palla potrebbe finire, ma è un vero peccato dover uscire per cambiare mazza e vedere come si modifica il risultato finale. Come già detto, il gioco richiede pazienza e abilità, vista anche l’assenza di indicatori di forza o traiettorie; ad aiutarci ci sarà solo un ampio puntatore e le indicazioni su potenza e direzione del vento. Confesso che più di una volta mi sono trovato con la mazza migliore già in mano, e mi restavano solo da valutare potenza di tiro e parametri ambientali. Ammiro davvero appieno il fatto che The Golf Club metta il giocatore nella condizione di partire da zero, spingendolo a cancellare ogni nozione pregressa e ad affinare l’esperienza sul campo, tiro dopo tiro, buca dopo buca. Il gioco in questo caso imita l’arte, e lo fa costringendo il giocatore a mettersi nei panni di chi lo sport lo pratica davvero. Dopo qualche bel tiro ci si rende poi conto che c’è puro silenzio ad accompagnarci, niente applausi di fan sfegatati pronti a farci i complimenti per il nostro hole-in-one: c’è un bel bastone, insomma, ma nessuna carota, e questo non fa che rafforzare l’identità di questo titolo.
Una mancanza che potrebbe sembrare fatale in un titolo di simulazione sportiva è il tutorial, completamente assente da questa iterazione golfista, deficit però compensato dall’estrema facilità di tiro: sarà il nostro analogico destro a simulare il movimento della mazza, portandolo prima indietro e poi sferrandolo in avanti cercando di ottenere potenza ed effetto desiderati. L’assenza di circuiti ufficiali o giocatori famosi potrebbe far pensare a un gioco mediocre e dalla breve longevità, ma The Golf Club sorprende anche in questo, dando enorme spazio all’estro di ogni singolo giocatore. Qualunque utente può infatti utilizzare il Greg Norman Course Designer e creare un percorso da zero. Si parte dal tema, a scelta fra Rurale, Alpino, Autunnale, Desertico o “Links” (i campi di gioco originali scozzesi, solitamente location costiere e piuttosto spoglie). Si passa poi al settaggio di un paio di elementi e il gioco è fatto. Il campo appena creato si può nominare e pubblicare, oppure possiamo modificarne il numero di buche e il livello di difficoltà: tutto è in mano alla fantasia (e pazienza) del giocatore. Poche volte come in questo caso ho potuto osservare come il contributo degli utenti possa davvero plasmare e modificare l’identità di un titolo che offra loro la massima libertà: è dai tempi di LittleBigPlanet che non vedevo una fiducia così cieca verso gli user-created content, e sembra già da ora che giorno dopo giorno, quella fiducia sarà ripagata dai molti che vorranno e sapranno utilizzare la tavolozza di strumenti fornita da The Game Club per creare veri e propri capolavori.
La qualità grafica d’insieme del titolo è buona, senza particolari picchi di eccellenza: le texture del cielo sono un po’ stilizzate, i suoni e gli effetti d’animazione di giocatore e palla ridotti al minimo; campo e percorso sembrano invece di buona fattura, con qualche istanza di pop-in di alberi e ombre, anche durante la panoramica in volo. Si segnalano inoltre saltuari cali di frame rate ad inizio buca. Solo in un paio di spiacevoli situazioni mi sono trovato davanti un crash totale dell’applicazione, nulla che una patch non possa sistemare. Andando ad analizzare i campi creati dagli altri utenti ho potuto notare alcuni percorsi davvero originali, sia per verve artistica che per difficoltà. Non si sente per niente la mancanza di campi o giocatori ufficiali, grazie al fatto che il gioco, anche in questa istanza, si concentra in modo puntuale su quello che è davvero importante, lo sport, e non su tutta la fanfara che lo circonda. Sfogliando tra i percorsi user-created ho visto rievocazioni di campi storici come Augusta e Pebble Beach, tanto da farmi vedere in The Golf Club una sorta di bozzolo di Minecraft, applicato al golf.
Se l’editing di buche e percorsi permette l’impossibile, la melodia cambia a livello multiplayer, frangente in cui vengono offerte le classiche modalità competitiva “locale” e “online”. Il minimalismo caratteristico del titolo si riflette anche in quest’ultima sezione: i progressi dei nostri amici sono osservabili in modo semplice e immediato senza distogliere l’attenzione del giocatore dal campo, anche grazie a dei piacevoli quadratini colorati che fanno le veci delle palline “nemiche” e che hanno l’infausto compito di sollevarci o distruggerci l’umore, a seconda delle performance dei nostri avversari. Il limite di giocatori è 4 per la competizione locale, ma praticamente infinito per la modalità online, libertà permessa dall’assenza “fisica” dei giocatori nella nostra partita. La localizzazione del titolo è completamente in inglese, ma nemmeno questo è da vedere come un punto a sfavore: il golf è uno sport meditativo, e il poco parlato in-game non ci sarà di sicuro necessario per giocare meglio.
In conclusione…
In un panorama di titoli di simulazione sportiva sempre più ingolfati da mille modalità e comandi, la semplicità per una volta la fa da padrone. The Golf Club è semplicità funzionale e non pretende di essere niente di più. Con un gameplay facile da imparare ma difficile da perfezionare, e una longevità praticamente infinita grazie a un potente editor, il titolo di HB Studios si distacca dal mainstream e soddisfa appieno nel suo intento. The Golf Club non nasconde la sua ruvidezza, evitando ogni gratificazione in gameplay esclusa quella personale. Uniche pecche sono alcuni difetti grafici quali pop-in delle textures e cali di framerate, la praticamente assente personalizzazione del personaggio e il ripido picco di apprendimento iniziale, che potrebbe allontanare molti da dedicare più tempo a un titolo che in realtà merita per davvero. The Golf Club si attesta come un simulatore di golf valido, con un’identità originale e mai veramente tradita dal gameplay e dalla presentazione generale. Se cercate realismo, fidatevi e tenete gli occhi puntati su questo piccolo diamante allo stato grezzo.
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