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The Last of Us Part I – Recensione

Non è affatto sbagliato interrogarsi sul senso di The Last of Us Part I, ennesima ripubblicazione del capolavoro di Naughty Dog che originariamente ammaliò l’utenza di PlayStation 3 e che, dopo una capatina anche su PlayStation 4, si presenta nuovamente in una forma riveduta corretta, definitiva. Almeno per il momento.

La questione, è innegabile, può, e forse deve, essere indagata attraverso un approccio multidisciplinare ricco di spunti, riflessioni, conclusioni più o meno ottimistiche sullo stato del videogioco all’interno del panorama artistico entro cui, non senza motivazioni condivisibili e finalmente palesi quasi a chiunque, sempre più divulgatori ed appassionati pretendono a gran voce che il medium venga inserito. Paradossale, per non dire tragicomico, che tocchi proprio all’avventura di Joel ed Ellie, i cui meriti sono riconosciuti persino da chi non è poi così solito destreggiarsi con il pad, sottostare e rendersi complice di quella che, da più parti, viene definita come una sgraziata e sgarbata trovata commerciale, uno stratagemma efficacissimo nel massimizzare i profitti, con pochissima fatica.

Posto che nessuno vi costringerà mai ad acquistarne una copia, ma nel caso in cui vogliate farci un pensierino ecco un utile link allo shop di GameStop, è pur vero che, volendo filosofeggiare, non c’è nulla di peggio, per ricordare alla platea che si parla pur sempre di merce da vendere, che tirare fuori dal cilindro l’ennesimo remake, a sua volta figlio di una remastered.

Non bastava un upgrade dello stesso gioco per PlayStation 4? Non si poteva imitare il business model di Microsoft che in certi casi distribuisce gratuitamente gli aggiornamenti grafici dei suoi giochi? Per quanto internet si sia recentemente riempito di videoblog di Naughty Dog volti a dimostrare le molteplici migliorie, estetiche ma non solo, possibili solo sfruttando la potenza di PlayStation 5, giustificando in qualche modo la scelta compiuta da Sony, innegabilmente la questione relativa alla conservazione e riproduzione dei videogiochi su hardware diversi da quelli per cui sono stati concepiti resta apertissima.

Sebbene non sia questo il terreno adatto al dibattito, è innegabile che nel dare un giudizio a The Last of Us Part I, la dinamica relativa al senso di questo remake non può essere del tutto ignorato. Tanto più che, a conti fatti, scavando sotto la superficie di una lunga serie di innegabili migliorie grafiche, il gioco è sostanzialmente identico. Non ci sono scene d’intermezzo diverse, né nuove sezioni, né meccaniche realmente inedite che consentano o incentivino un approccio diverso all’avventura.

I movimenti di Joel sono ancora più fluidi, complice un set di animazioni ricreato praticamente da zero ed enormemente più ampio rispetto all’originale. Il DualSense è utilizzato al meglio, con una vibrazione sempre coerente e i trigger che restituiscono un feedback diverso per ogni arma impugnata. La nuova modalità Speedrun, che tiene conto del tempo effettivo di gioco e vi spinge a battere i record personali, e non solo, in ogni sezione dell’avventura, è un’aggiunta che affascinerà chi custodisce uno spirito particolarmente competitivo. Le skin per Joel ed Ellie, per lo più legate al vestiario e alle armi principali, rappresentano un gradito extra. Le opzioni dedicate all’accessibilità sono ormai un gradito e necessario standard.

Novità e migliorie non mancano in The Last of Us Part I, è innegabile

Naturalmente a livello grafico il discorso non può che essere più approfondito. Sfruttando la tecnologia Motion Matching, già vista all’opera in The Last of Us Part II, complici i modelli poligonali rifatti da zero, coppia di protagonisti, comprimari e nemici sfoderano espressioni facciali tremendamente realistiche e curate. Gli ambienti di gioco, inoltre, sono dettagliati come mai prima d’ora, offrendo scorci ancor più vibranti di quanto già non lo fossero nell’originale.

Inoltre, standard ormai per molte produzioni current-gen, potrete scegliere tra due modalità grafiche diverse. Fedeltà vi garantirà lo splendore del 4K ed un livello di dettaglio superiore. Prestazioni, al contrario, al costo di una risoluzione dinamica, si concentra nel garantirvi 60fps costanti. Dopo averle provate a lungo entrambe, possiamo tranquillamente concludere che una volta che vi sarete abituati alla fluidità massima dell’immagine non tornerete più indietro, anche a patto di perdere qualche riflesso, un po’ di definizione in qualche texture, di accettare effetti particellari lievemente meno convincenti.

Novità e migliorie non mancano in The Last of Us Part I, è innegabile. Soprattutto considerando la maggior reattività dell’I.A., apprezzabile soprattutto settando i livelli di difficoltà maggiori, e anche paragonandolo al già ottimo remake per PlayStation 4, il nuovo nato di casa Naughty Dog mostra sensibili passi avanti.

Eppure, indiscutibilmente, siamo pur sempre di fronte allo stesso gioco. Un survival horror che amalgama alla perfezione fasi stealth, con furiose sparatorie; che fa dell’esplorazione un’attività indispensabile per reperire quelle risorse che permettono la creazione di armi, oggetti e che quindi rendono possibile la sopravvivenza; che fa del rapporto che si instaura tra Joel e Ellie, del loro viaggio verso la lontanissima Salt Lake City, il vero motivo di esistere di una tra le produzioni più toccanti e mature mai partorite dall’industria videoludica.

Se il gioco non è cambiato, voi lo sarete di sicuro. Da vecchio fan della saga, alle prese con un viaggio che invero non compivo da diversi anni, mi sono scoperto diverso, non tanto nelle reazioni a ciò che accadeva sullo schermo, quanto nelle considerazioni a posteriori, nella maggior (o minor) comprensione di un personaggio rispetto ad un altro. Differenti età, del resto, forniscono diverse chiavi di lettura di una stessa opera.

Lo stesso (ri)giocare The Last of Us Part I, dopo il diretto sequel, mostra come quell’Ellie adulta che abbiamo conosciuto, e spesso detestato, fosse in realtà già presente in quella sua forma solo apparentemente, e inizialmente, più spensierata e ottimista. Con il senno di poi, con qualche anno di più sulle spalle, si capisce meglio il dramma di Joel, la sua atavica paura, ma si è anche più inclini a comprendere ed accettare, non senza un pizzico di nostalgia, l’energia, la voglia sentirsi all’altezza, l’esuberanza della giovane.

The Last of Us Part I, insomma, è anche un modo per riscoprirsi e valutare la propria maturazione, i propri cambiamenti, una piacevole scusa per tornare in posti già visti ed ammirarli con occhi nuovi.

Conclusioni

The Last of Us Part I è un buon remake di un capolavoro che ancora oggi è totalmente insensibile al passare del tempo.

Non c’è un motivo al mondo per cui i neofiti, o chi ha giocato solo The Last of Us Part II, si lascino scappare uno dei survival horror che hanno segnato indelebilmente l’evoluzione del medium, riproposto nella miglior forma grafica possibile e arricchita di poche, ma intriganti aggiunte, DLC Left Behind compreso.

Al contrario, se si è già soddisfatti del viaggio compiuto all’epoca su PlayStation 3 o 4, non ci sono particolari motivi che vi spingeranno ad effettuare questo acquisto. Il panorama e bello come mai prima d’ora e rimettersi nei panni di Joel nello splendore dei 4K (o ancor meglio dei 60fps granitici) ha innegabilmente il suo fascino, ma preparatevi a vivere qualcosa di già visto dall’inizio, sino ai titoli di coda.

Imperdibile per i neofiti. Chi ha già avuto il piacere qualche anno fa, tuttavia, potrebbe concedersi una seconda run, sorprendendosi del lavoro di fino effettuato da Naughty Dog e di come, il tempo e le esperienze, possano cambiare il nostro modo di percepire ed esperire un videogioco già noto.

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