Aprire gli occhi. Così inizia la nostra avventura in The Legend of Zelda: Breath of the Wild, un invito che non è rivolto solo al giovane cavaliere: quasi fosse consapevole della nostra presenza al di là dello schermo, il gioco rompe invece le quarta parete e si rivolge (o almeno sembra) a noi con quelle tre semplici parole. Aprire gli occhi. Dimenticarsi di essere un giocatore senior o un novellino nei confronti della saga, spogliarsi di qualsiasi titolo per guardare cosa c’è realmente dietro questo nuovo capitolo: se fosse solo un buon gioco, o un ottimo gioco visti gli standard della serie, sarebbe semplice, quasi noioso. Ma Breath of the Wild non è niente di tutto questo. È anche questo, sì, soprattutto però è un punto fermo nel panorama videoludico, un modello cui guardare e al quale ispirarsi in futuro: è un gioco che riscrive, rielabora e finalmente arriva al concetto di open world per come dovrebbe essere, diventandone così le sua espressione più pura, la sua quintessenza.
Nintendo ha compiuto una scelta coraggiosa, smantellando le fondamenta di un brand che anche solo per il nome sarebbe potuto andare avanti con la stessa impostazione di sempre; l’ha fatto e anziché privare la saga della propria identità a favore dell’innovazione, è stata capace di raffozarla. Per chiunque ancora nutrisse dei dubbi, è il momento di parlare chiaro: Breath of the Wild è uno Zelda fin nel più remoto pixel, un titolo che si evolve senza mai perdersi di vista, un capolavoro che porta le firme di Eiji Aonuma e Hidemaro Fujibayashi e sposta la saga su un altro livello, a un punto dove nessun altro gioco attualmente può sperare di riuscire a competere – tranne forse, sotto qualche piccolo aspetto, il recente Horizon Zero Dawn.
Hyrule non è mai stata così bella, così vibrante e non soltanto in termini grafici. Parliamo di una terra abbandonata a se stessa, devastata dal male tempo prima e ridotta a una realtà selvaggia, che agisce fuori dalla nostra volontà ed è sempre pronta a ostacolarci; una terra che non fa sconti, neppure all’eroe che ha combattuto per proteggerla, una terra in continuo cambiamento, una terra viva. Come abbiamo detto in fase di anteprima, The Legend of Zelda: Breath of the Wild stringe fin da subito in una morsa, radicandosi dentro di noi prima che ci si possa rendere conto: dopo una breve introduzione, il sistema si fida del nostro istinto di giocatori e ci lascia le chiavi della nostra avventura. Sta a noi decidere come viverla.
Risvegliatosi da un sonno durato cento anni, il Link di The Legend of Zelda: Breath of the Wild si trova a dover fare i conti con una memoria che l’ha tradito, impedendogli di ricordare chi sia e cosa sia accaduto, mentre noi giocatori ci troviamo a fronteggiare un mondo che non si allinea con le nostre esperienze passate. Hyrule è in rovina, testimonianza di una sconfitta che ancora non conosciamo ma brucia, e le macerie di cui è costellato il paesaggio sono un continuo rimando al nostro fallimento: ancora non sappiamo quale sia, né l’effettiva misura in cui ci coinvolge, ma per ben trent’anni – di gioco in gioco – siamo stati noi i campioni e i protettori di questi territori. Se ora il passato ci guarda con occhi morti, è perché non abbiamo fatto abbastanza. Con il solo ausilio di una Tavoletta Sheikah a guidare i nostri passi, senza però mai forzarli ed è questo gioco di condizionali la vera bellezza di Breath of the Wild, è arrivato il tempo di (ri)conoscere e portare ancora una volta la pace.
La prima impressione che si ricava dopo aver preso familiarità con i comandi è che The Legend of Zelda: Breath of the Wild rispetta l’intelligenza del giocatore come nessun altro nella saga aveva fatto prima; se da un lato tuttavia il gioco ci rispetta, dall’altro pretende il nostro rispetto e non mancherà di ricordarci quanto sia sbagliato prenderlo sottogamba. Non esageriamo, o forse un pochino sì ma concedetecelo, nel dire che siamo morti quasi più spesso in questa avventura che giocando a un soulslike: si muore, in Breath of the Wild, e i veterani della serie potrebbero rimanere sorpresi dalla quantità di Game Over che occorreranno – secondo una legge del contrappasso per cui, se decidei di osare, sii pronto a subirne le conseguenze. È uno dei titoli più difficili del franchise degli ultimi vent’anni e non lasciatevi ingannare dai primi minuti dove avrete facilmente (nemmeno troppo, poi) ragione dei nemici: una volta nell’entroterra, morirete più volte. Fortunatamente la funzione di autosalvataggio e la sua frequenza assicurano che perdiate poco delle vostre fatiche, senza contare il salvataggio manuale che potrete effettuare in qualsiasi momento. Ciascun utente sul sistema dispone di uno slot soltanto ma il gioco permetterà di ricaricare fino a sei dati indietro.
È innegabile il ruolo dell’open world in tutto questo. La particolare cura a livello geografico dell’ambientazione, con una varietà di climi e situazioni insormontabili senza il corretto equipaggiamento, unita a una pressoché totale interazione con qualunque elemento del mondo formano una combo schiacciante fin dall’inizio, da quell’Altopiano delle Origini che è il nostro banco di prova prima della vera Hyrule. Possiamo fare tutto e proprio perché possiamo, lo facciamo; perché siamo un po’ folli e un po’ curiosi e una simile profondità non ci era mai stata offerta prima.
Questo intendiamo, quando parliamo di quintessenza: un mondo che non si limita a essere sconfinato ma è soprattutto responsivo, che non si piega davanti alla nostra volontà e anzi, molte volte è lui a ricordarci che noi siamo solamente un misero granello nella sua vastità. Che ad ogni azione, corrisponde un’immancabile e spesso spietata conseguenza. Appena ottenuto un particolare oggetto, Hyrule sarà alla nostra mercé: ci aspettano mostri di vario genere, antiche macchine programmate per uccidere a vista – dove per vista s’intende Link – e nessuna indicazione per capire quando siamo ben sotto il livello di difficoltà di una zona. Possiamo solo muoverci secondo la logica del “prova e fallisci” per comprendere l’ecosistema di queste terre selvagge e il loro desiderio affinché noi non entriamo a farne parte.
The Legend of Zelda: Breath of the Wild rispetta l’intelligenza del giocatore
Per offrire a Link gli strumenti adeguati alla sua sopravvivenza, gli sviluppatori hanno implementato un certo numero di aspetti: cercheremo di andare con ordine e il più chiari possibile, a cominciare dall’equipaggiamento. Proprio a favore di quell’interazione che tanto ha reso speciale il gioco, il nostro eroe può usare qualsiasi tipo di arma, da un’elegante e raffinata spada da cavaliere a un ben più rustico spazzolone – fare gli schizzinosi, quando c’è in gioco la tua vita, passa in secondo piano. Ognuna ha una durevolezza, dipendente dal materiale e dall’uso che decideremo di farne: per dire, se cercate di ricavare materiali da un giacimento minerario usando il suddetto spazzolone, non stupitevi se vi ritroverete in pochi secondi con un paio di monconi inutilizzabili. Oltre all’arma bianca si possono equipaggiare anche uno scudo e un arco, anch’essi di diverse tipologie (vale lo stesso per le frecce) e soggetti alle medesime condizioni di fragilità. A eccezione dell’arco, che una volta rotto potrà essere sostituito solo nel menu di gioco, scudi e spade si scelgono anche dal menu rapido dei tasti direzionali.
Parlando di menù di gioco, ad affiancare le sezioni appena citate troviamo “abiti e armature”, divise in testa, busto e gambe. Indossando tutti gli elementi di uno specifico set, si avrà diritto a dei bonus aggiuntivi. Le voci “materiali” e “cibo” sono quelle più interessanti, perché aprono lo spiraglio su una delle caratteristiche base di The Legend of Zelda: Breath of the Wild: la salute e i potenziamenti. Laddove generalmente la ricerca di ingredienti e la preparazione di pietanze sia accessoria e alla lunga noiosa, in questo gioco non solo è essenziale ma più immediata nel fornire una ricompensa e anche divertente, poiché una volta apprese le combinazioni di base non c’è quasi limite alla diversità dei piatti che si possono cucinare; la ragione pratica dietro questo bisogno non risiede solo nel recupero di energia vitale ma è altrettanto in rapporto con le potenzialità fisiche di Link. Preparando il giusto rimedio o piatto, potremo ad esempio aumentare temporaneamente la stamina per raggiungere un punto prima troppo lontano, o scaldarci così da riuscire a traversare zone ghiacciate.
Questa pratica di apprendimento sul campo rende Breath of the Wild il primo titolo della serie in terza persona che si astiene dal presentare un’intricata e inutilmente lunga sezione tutorial. Intendiamoci, viene insegnato come giocare e come approcciarsi al mondo – l’Altopiano iniziale serve proprio a questo – ma al contempo non si è vincolati e anzi, si è invitati a muoversi come meglio si crede. Siamo padroni della nostra strada e del nostro destino. Il gioco rimane in disparte e ci asseconda nelle scelte, senza mai intromettersi e punendo dove necessario; nel rispettare la nostra intelligenza, dunque, dà anche un valore al nostro tempo e questo concetto (il rispetto) si estende anche ai puzzle e le prove che costellano Hyrule, la cui risoluzione è strettamente logica e molto sapientemente basata sulla fisica. Ci sono enigmi semplici inseriti ad hoc nell’ambiente, che porteranno alla scoperta di buffe creature della foresta chiamate Korogu e all’ottenimento di semi omonimi dalla specifica funzione. Oppure si possono affrontare le prove all’interno dei sacrari disseminati lungo tutto il territorio, per un totale di oltre cento; ognuno è una sfida d’intelletto notevole, che se risolta porterà al conseguimento di un Emblema del Trionfo – simboli di eroismo accumulabili e scambiabili in una determinata quantità con un Portacuore o Portavigore, che aumenteranno la nostra salute e stamina massima.
The Legend of Zelda: Breath of the Wild è riuscito a integrare un flusso costante di nuove idee e colpi di scena su concetti della saga già esistenti: abbiamo parlato prima delle armi ma anche la Tavoletta Sheikah menzionata all’inizio incorpora bene questo concetto. Nel suo essere un’assoluta novità racchiude in sé non pochi elementi familiari come la mappa e le ben note Bombe Radiocomandate, alle quali si affiancano poi il Kalamitron per manipolare gli oggetti metallici, la Stasys per fermare un oggetto nel tempo, il Glacyor per dominare l’acqua congelandola a proprio piacimento e altre funzioni ancora che lasciamo alla vostra scoperta. Nonostante questi cambiamenti, che non sono poi tutti, The Legend of Zelda: Breath of the Wild non ha mai perso per un attimo la sensazione di essere un vero gioco del franchise e a dirla tutta sembra pronto ad affermarsi come il suo titolo più “vivo”, grazie a quella libertà e autonomia garantite fin dall’inizio.
Se la trama principale si attesta attorno alle 20-30 ore, che comunque di per sé non è poco e resta lo stesso soggetta all’approccio del giocatore, ad accompagnarla ci sono ore e ore da spendere per l’esplorazione, le sub-quest e tutti quegli elementi da completisti che arricchiscono ancora di più un titolo eccellente; un esempio fra tanti sono i cavalli, allo stato brado in natura ma passabili di cattura e registrazione presso i diversi maneggi di Hyrule (bene o male comunicanti tra loro), gestiti con quel piglio un po’ “manageriale” che caratterizza anche il limitato ma espandibile menu di gioco. Ogni bestia ha le proprie caratteristiche, è più o meno incline a farsi catturare e, ugualmente, l’affezione verso Link sarà variabile e richiederà tempi diversi per raggiungere il massimo.
The Legend of Zelda: Breath of the Wild sta agli open world come Mario 64 è stato ai platform 3D
Dal punto di vista narrativo siamo ancora una volta di fronte a un’eccellenza, coadiuvata in questo caso da un doppiaggio italiano ottimo: la storia, in un certo senso, riparte da zero, con ovvi riferimenti che i fan coglieranno ma capace di spiegarsi ai neofiti senza lasciarsi buchi alle spalle. Un gioco, dunque, capace di avvicinare chi cercava un’installazione in grado di svecchiare un franchise che non avrebbe potuto continuare a reggersi solo in virtù del nome, ma anche di portare a sé nuovi giocatori offrendo loro un ottimo punto dal quale partire a ritroso per scoprire una saga che ha fatto ben trent’anni di storia dei videogiochi. Da sempre viaggio dell’eroe per antonomasia, con passaggi di crescita memorabili come in Ocarina of Time (dove la crescita interiore è affiancata da una crescita fisica del personaggio) ma senza dimenticare altri esponenti maggiori come Twilight Princess e The Wind Waker, The Legend of Zelda: Breath of the Wild ripercorre ancora una volta i sei stadi di questo viaggio e lo fa in maniera diversa da chi l’ha preceduto, sfruttando l’escamotage dell’amnesia e partendo, se vogliamo, da un altro viaggio interrotto: quel fallimento che ha portato Hyrule alla rovina, quella morte (non necessariamente fisica, sebbene qui ci si avvicini molto) e la conseguente rinascita che porteranno Link a una presa di coscienza di sé, dunque alla maturazione di un nuovo Io per affrontare e vincere ciò che prima l’aveva messo in ginocchio. Con queste premesse, potremmo definire Breath of the Wild come “un viaggio dell’eroe dentro un viaggio dell’eroe”.
La nostra disamina su The Legend of Zelda: Breath of the Wild in versione Nintendo Switch è stata un successo: nonostante alcune incertezze tecniche, siamo di fronte ad un nuovo capolavoro targato Nintendo. Resta quindi lecito chiedersi come, sulla console su cui è stato effettivamente pensato, si comporti Breath of the Wild. Ci riferiamo proprio alla versione Wii U, che abbiamo giocato con grande piacere e che ci ha sorpreso positivamente: siamo difatti di fronte ad una versione che si affianca in tutto e per tutto a quella Switch. Tecnicamente si muove tra alti e bassi, e proprio come la versione sopracitata soffre di sporadici (ma spesso insistenti) cali di frame rate, soprattutto nei villaggi o in alcune zone erbose. Nulla che vieta di godere al massimo del titolo, che si discosta quindi dalla versione Switch solo per una minore definizione grafica, ferma a 720p, dove invece (in TV Mode) Nintendo Switch offre una risoluzione di 900p. La differenza tra i due The Legend of Zelda: Breath of the Wild sta quindi solo nell’aspetto tecnico, vista anche la totale assenza di interazione con lo schermo del controller di Wii U: resta comunque un ottimo modo per giocarlo in comodità sul Gamepad, senza distrazioni da touch screen o chissà cosa. Siamo di fronte ad un’esperienza imprescindibile, che va vissuta indipendentemente dalla console su cui gira. A cura di Andrea Baiano Svizzero |
The Legend of Zelda: Breath of the Wild è un capolavoro. È quel gioco che si aspettava da anni, forse dai tempi di Ocarina of Time, e chi ha giocato al titolo originale della serie potrebbe ritrovare le stesse sensazioni di allora; solo più in grande, a testimoniare che questo può considerarsi il suo vero seguito. Ha un’assoluta confidenza in se stesso e nel mondo che lo costituisce: non ha bisogno di forzare il giocatore a fare qualcosa perché non dubita che, a dispetto del percorso che deciderà di intraprendere, sarà in grado di soddisfarlo e intrattenerlo in ogni caso, consapevole che presto o tardi seguirà l’obiettivo a lui destinato. Le scelte che appesantivano titoli come Twilight Princess o Skyward Sword qui sono assenti e la natura più aperta di questo nuovo capitolo non solo crea un profondo senso di avventura ma rende quest’ultima più pericolosa e imprevedibile. La natura non si piega a noi, è il contrario. Ed è questo, sopra ogni altra cosa, che lo rende meritevole. In un periodo dove l’open world è sempre più utilizzato ma la sua struttura si limita a larghe mappe esplorabili, The Legend of Zelda: Breath of the Wild ha colto il nocciolo della questione, ha capito cosa significa costruire un open world, come è stato ai tempi per Super Mario 64. Non viene detto come funziona il mondo: bisogna scoprirlo. C’è un senso di dinamismo mai vissuto in uno dei titoli precedenti, con piccoli e imprevedibili momenti capaci di fornire un buon equilibrio a una serie che per lungo tempo è sembrata “inquadrata”. E nel fare un plauso alla narrazione ci riferivamo proprio a questo, un atteggiamento di show-don’t-tell che spinge il giocatore a imparare di più del mondo esplorandolo e interagendo con esso. Abbiamo provato a trovare qualche difetto a The Legend of Zelda: Breath of the Wild ma la realtà, semplice, è che ne siamo rimasti impressionati. Ci si aspetta sempre, da un brand così forte, un prodotto di qualità, eppure la volontà d’innovare a l’attenzione al dettaglio (sfociata in un design memorabile) che caratterizzano questo titolo vanno oltre quelle che erano le nostre già altissime aspettative. Il gioco si adatta allo stile del giocatore con una fluidità impressionante, nel bene come nel male, e nonostante qualche lieve, sporadico calo di frame-rate in modalità TV, Nintendo Switch non poteva trovare un esponente migliore per mostrare le proprie potenzialità. Un gioco che, nella sua bellezza, comincia proprio quando arriviamo alla fine, una fusione perfetta di meccaniche moderne con quel pizzico di “polvere magica” che ha reso The Legend of Zelda una saga così speciale. |