Speciale 23 Feb 2021

The Legend of Zelda: cinque giochi che meglio raccontano la serie

Ripercorrere le tappe del lunghissimo, decennale cammino della serie The Legend of Zelda impone, come operazione preliminare, il riaffermarne con convinzione il ruolo seminale: nella struttura di gioco, nelle meccaniche, nel world building, nella direzione artistica, la saga ha spesso aperto la via. E il fatto che tale ruolo continui a perdurare nel tempo è strabiliante: così come trenta, venti, dieci anni fa non esistevano action adventure, bidimensionali e tridimensionali, che non avessero debiti nei confronti della saga, oggi non esistono open world che possano prescindere da quanto Breath of the Wild ha insegnato.

Quasi ognuno dei capitoli che la compongono ha proposto qualcosa di nuovo, sperimentando, rifondando, alcune volte persino eccedendo. Sembra quasi superfluo ribadirlo, ma si tratta di un brand che, semplicemente, va giocato dal primo all’ultimo episodio, attraverso le piattaforme, il tempo, i generi. È chiaro, però, che sono stati solo alcuni episodi a rivoluzionarne la natura e, all’esterno, ribaltare il panorama videoludico. Ci sono giochi che descrivono e raccontano cosa sia The Legend of Zelda meglio di altri. In essi se ne rintraccia la risplendente e fierissima identità, la luce che altri hanno potuto solo seguire. A volte anche benissimo, ma comunque seguire.

Ma nel cercare di proporre sempre qualcosa di nuovo la serie è persino inciampata, a volte. Ciò non ha mai prodotto reali fallimenti, quanto piuttosto grandi capitoli incompiuti. E come spesso accade quando sono frutto di una forte visione, gli incompiuti hanno comunque moltissimo da dire.

Non vogliamo quindi stilare una selezione dei migliori capitoli (dovete giocarli tutti, ve l’abbiamo già detto!), quanto piuttosto mettere insieme le ambizioni, le rivoluzioni, i traguardi della serie attraverso alcuni titoli fondamentali per la sua comprensione.

Potreste persino rimanere stupiti da quelli che abbiamo scelto.

1 The Legend of Zelda: A Link to the Past (Super Nintendo, 1991)

A Link to the Past è il primo The Legend of Zelda perfettamente compiuto, e tanto basta per affermare che sia il capitolo più importante all’interno di tutta la serie. The Legend of Zelda su NES conteneva già molti dei suoi elementi definitori, ma non tutti; era figlio di idee clamorose, ma semplicemente non aveva modo di implementarle compiutamente, fosse anche solo per i limiti dell’hardware. Era già un open world trent’anni prima che l’open world diventasse un fatto, tanto per sottolineare quanto fosse deflagrante la sua visione. Dopo il particolare e non troppo riuscito esperimento di Adventure of Link, che doveva concedere qualcosa all’allora emergente fenomeno dei JRPG, si tornò all’impostazione del primo episodio, ma con l’obiettivo di un mondo e una struttura di gioco più coerenti.

Obiettivo perfettamente centrato. A Link to the Past è una delle evidenze migliori di come il passaggio dagli 8 ai 16 bit sia stato tra i più rilevanti nella storia videoludica. La possibilità di allargare gli spazi di gioco, di renderli riconoscibili attraverso un’estetica più varia e raffinata, di esprimere una storia compiuta attraverso qualcosa in più delle sole linee di dialogo ne aumentarono a dismisura l’impatto rispetto ai suoi predecessori. Il modo in cui il mondo di gioco è strutturato, aprendosi gradualmente e in maniera intelligente all’esplorazione, stimolando di continuo il giocatore a tornare sui propri passi, perché è evidente che quel determinato luogo nasconda qualcosa, e allora forse si ha bisogno di oggetti dei quali non si è ancora in possesso, è l’identità storica della serie. È tutta lì, ed è stata quella per decenni, prima che Breath of the Wild la rivoluzionasse.

2 The Legend of Zelda: Ocarina of Time (Nintendo 64, 1998)

Come A Link to The Past è la definizione dei The Legend of Zelda bidimensionali, Ocarina of Time lo è di quelli tridimensionali. Se il gioco per SNES ne è la prima forma realmente compiuta, quello per Nintendo 64 segna la prima evoluzione, perché oggi sembra quasi una banalità, ma quanto deve essere stato difficile portare in un nuovo spazio quanto si era appena raggiunto tutto sommato solo pochi anni prima? Le grandi sfide possono fallire miseramente o essere portate a compimento in maniera spettacolare: il fatto che moltissimi ritengano Ocarina of Time il miglior capitolo in assoluto della saga dimostra la portata dell’impresa di Nintendo.

Nel 1998 la prima visione dell’Hyrule Field non poteva non provocare un tuffo al cuore. The Legend of Zelda è una serie nella quale gli spazi, intesi non solo come luoghi ma come estensioni della sensazione di avventura, hanno un’importanza primaria. Vedersi aprire in quel modo il mondo di gioco, dopo che le primissime ore erano state trascorse tra un piccolo villaggio e l’interno di un dungeon, era per l’epoca stupefacente. Oggi sembra un giardinetto, ma quel campo all’epoca sembrava sconfinato.

Il mondo non solo si allarga, ma diventa più interattivo, più vivo. Rispetto a A Link to the Past, Ocarina of Time fa un passo in più nel modo in cui ci si rapporta con chi vive a Hyrule, e allora ecco le missioni secondarie di piccolo e grande respiro. E una volta che si prende confidenza con esso, eccolo stravolto da un evento impensabile. Il primo assaggio della sconfitta (accadrà altre volte nella storia della serie) porta Link attraverso il tempo, la storia diventa anche un racconto sul raggiungimento della maturità, il bambino si fa uomo e, un’altra volta, il cervello del giocatore esplode per lo stupore.

3 The Legend of Zelda: The Wind Waker (Game Cube, 2002)

All’epoca dell’uscita si faceva veramente fatica a descrivere a parole la straordinaria estetica di The Wind Waker, tanta era la sua magnificenza, e ancora oggi è bellissimo. E pensare che qualcuno si permise persino di storcere il naso al riguardo, quando il gioco venne svelato. Fu con coraggio che Nintendo donò una nuova veste alla serie, ma lo fece in maniera del tutto coerente con la sua natura fiabesca e con tecnica sopraffina. Il cel shading è il pennello con il quale è dipinta un’avventura memorabile, che ancora una volta, rispetto a quelle precedenti, si allarga nel respiro.

Lo fa soprattutto scegliendo una sconfinata distesa blu come ambientazione principale. Si solcano le acque di un oceano costellato di minuscole, piccole e grandi isole e, nonostante siano presenti artifizi che occasionalmente ne limitano l’esplorazione, la sensazione di libertà e scoperta è enorme, raggiunge picchi che saranno superati solo quindici anni dopo, da Breath of the Wild. Poco importa che i dungeon non siano sempre eccezionali e che a un certo punto della storia sembri cadere un’accetta sulla sua naturale progressione. The Wind Waker, anche per momenti particolarmente intensi e per un background in realtà tra i più drammatici della serie, è uno dei capitoli dal maggior impatto emotivo.

4 The Legend of Zelda: Skyward Sword (Nintendo Wii, 2011)

Si farebbe presto a scrivere che Skyward Sword sia il “peggior” The Legend of Zelda, ma non gli si renderebbe minimamente giustizia. È vero che ha vari, evidenti problemi, ma in primo luogo tale aggettivo non ha minimamente cittadinanza in una saga dalla qualità media ottima. Inoltre il gioco è perfettamente rappresentativo di quale sia una delle regole della saga e, più in generale di Nintendo, ovvero la continua ricerca della novità.

Sarebbe infatti ugualmente pigro inquadrarlo come il The Legend of Zelda che sfrutta i sensori di movimento. È vero, fa un utilizzo intensivo del controller della console di pubblicazione, il WiiMote di Wii, ma è altrettanto vero che lo fa in una serie di situazioni, dagli enigmi alle battaglie con i boss, che con qualche accorgimento sarebbero facilmente affrontabili anche con un sistema di controllo standard.

La potenza di Skyward Sword sta nel non aver voluto accettare la regola del “più grande, più bello”, che in un certo senso aveva dettato almeno parte dell’evoluzione della saga fino a quel momento. Il gioco muta totalmente l’implementazione dell’overworld, che non è più un territorio da attraversare, sia esso campo o oceano, puntellato di segreti ed enigmi ambientali. È, a tutti gli effetti, un rilevante elemento di level design, che offre un’esperienza totalmente diversa rispetto a quella dei predecessori. Gli spazi si riducono e si fanno più densi dal punto di vista ludico, le aree nelle quali sono collocati i dungeon sono anch’esse dungeon, a loro modo, perché intricati o pieni di situazioni delle quali venire a capo. Tanta felicità quindi per la riedizione in alta definizione, anche se purtroppo siamo sicuri che mancheranno quei piccoli aggiustamenti dei quali il gioco avrebbe certamente bisogno.

5 The Legend of Zelda: Breath of the Wild (Wii U/Nintendo Switch, 2017)

Breath of the Wild è l’alfa e l’omega, è la summa di una serie che era partita come open world e che finalmente, trent’anni dopo, riuscì a manifestarsi nella sua versione originale. Non è un caso se uno degli artwork del gioco richiami uno molto simile del The Legend of Zelda del 1986, dove Link, da una rupe, osservava l’estensione delle pianure, delle foreste, dei fiumi e delle montagne di Hyrule. Era quello lo spirito originale, il voler realizzare un’avventura nella quale perdersi in un mondo vastissimo e bellissimo, lasciando che fossero l’anelito di libertà e la sensazione di scoperta a condurre non solo l’esplorazione, ma anche lo spirito del giocatore.

Il capolavoro per Wii U e Nintendo Switch è quindi un punto di arrivo, la chiusura del cerchio, ma anche un punto di partenza, perché è impossibile immaginare, almeno per ora, un nuovo capitolo che possa prescindere da quanto proposto da questo episodio termini ludici. La totale coerenza tra mondo di gioco e abilità a disposizione, la possibilità di interpretare le situazioni del primo attraverso le seconde, con una varietà di esiti assurda, figlia di una fisica sublime, è un qualcosa che appare irrinunciabile non solo per il prossimo episodio della saga, ma per qualunque open world.

Anche nella rappresentazione del caratteristico immaginario della serie si percorrono vie inesplorate e si conquistano cime mai prima raggiunte: sono soprattutto certi luoghi iconici a beneficiarne, più grandi, più dettagliati, più belli. È a tutti gli effetti un The Legend of Zelda del tutto nuovo e non vediamo l’ora di scoprire quanto il suo seguito diretto metterà in campo per essere non solo un sequel all’altezza, ma anche per distaccarsene, come sempre ricercando inedite interpretazioni di un’identità storica.

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