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Speciale 21 Feb 2021

The Legend of Zelda, trentacinque anni di storie favolose

The Legend of Zelda è la storia di un’avventura che si fa avventura, il gioco di un bambino che, una volta grande, trasforma emozioni e divertimento provato un tempo in un’esperienza videoludica destinata a segnare per sempre l’evoluzione del nostro passatempo preferito.

La leggenda di un giovanissimo Miyamoto che, sgambettando per un immenso giardino, assapora il piacere della scoperta, del mistero, dell’avventura, è nota praticamente a tutti, inconsapevole atto cosmogonico di un universo finzionale che solo decenni dopo si sarebbe concretizzato nella pubblicazione del primo capitolo, già pioneristico e rivoluzionario, di uno dei brand più prolifici e apprezzati della Grande N.

Dopo il successo e la piena fiducia nelle sue capacità conseguiti con Donkey Kong, il cabinato del 1981, il giovane e brillante Shigeru tra il 1985 e il 1986 sfornò una combo che cambiò per sempre il corso della storia. Da una parte Super Mario, platform bidimensionale che come sappiamo ha dato vita ad una sequela sterminata di seguiti, dall’altra, per l’appunto, The Legend of Zelda, avventura con visuale a volo d’uccello incentrata sul combattimento con mostriciattoli di ogni forma e dimensione, sul recupero di equipaggiamento con cui sbloccare l’accesso a nuove location, sulla risoluzione di enigmi basati sul recupero di oggetti specifici.

La mappa (tutta la mappa) dell’Hyrule del primissimo The Legend of Zelda. Vi sembra piccola? All’epoca sembrava sconfinata.

Il 21 febbraio del 1986 i Famicom nipponici conobbero la prima versione di una storia che, a fronte di superficiali modifiche al canovaccio, si ripete ciclicamente, eterna lotta tra Bene e Male polarizzata intorno ai veri, unici, protagonisti della leggenda, un triangolo, una Triforza, che in buona sostanza ripete, conferma e convalida lo schema narrativo teorizzato da Joseph Campbell nel suo saggio Il Viaggio dell’Eroe, costrutto teorico alla base di qualsiasi narrazione, di ogni media, in ogni tempo.

C’è un cattivo, Ganon, accecato dal suo desiderio di potere. Un eroe, il prode Link spesso armato solo del suo inscalfibile coraggio. L’aiutante, la saggia Zelda che spesso agisce nell’ombra, prigioniera dell’oscuro villain che puntualmente mira a conquistare l’altrimenti pacifica Hyrule.

Lo schema è semplicissimo, basilare, a tratti prevedibile, soprattutto se si ha un minimo di dimestichezza con miti e leggende. Eppure Nintendo è sempre riuscita a raccontare la stessa storia impreziosendola con suggestioni di volta in volta uniche e particolari.

Grazie a riedizioni e remastered non è difficile mettere le mani su quasi tutti i capitoli, almeno quelli principali, della saga. A Link’s Awakening, per esempio, è stato riproposto un anno fa su Nintendo Switch grazie ad un meraviglioso remake.

Del resto, il sottoscritto, ha conosciuto la saga relativamente tardi e, soprattutto, per puro caso. Finito in un negozio che evidentemente voleva attirare nuova clientela, il 2X1 promosso dal rivenditore mi consentì di tornare a casa non solo con Star Wars: Rogue Squadron, regalo di compleanno ideale per un giovane fan della saga di Lucas, ma anche con Ocarina of Time, acquistato attratto dalla copertina e da quell’affascinante Legend del titolo.

Raggi laser e caccia interstellari dunque, ma anche elfi bambini e luminose fatine in miniatura. Tanto completavo un livello dopo l’altro ora a bordo di un Ala-X, ora di un velocissimo Ala-A, tanto, tentativo dopo tentativo, ero ancora rinchiuso e prigioniero nel gigantesco tronco dell’Albero Deku, infernale prigione in cui stava annegando il mio divertimento e l’interesse per quel gioco che, pensandoci bene, non lo avevo neanche pagato.

All’epoca, parliamo del 1999 visto che recuperai l’episodio della saga tempo dopo la sua effettiva release avvenuta in Europa nel dicembre del 1998, non c’erano i walkthrough su YouTube, non c’era Twich dove seguire le run di qualche streamer, né tantomeno amici a cui chiedere consiglio, presi come erano dalle loro PlayStation. Anche le guide cartacee scarseggiavano e non era così facile reperirle, soprattutto di un gioco relativamente vecchio.

Tra i capitoli meno noti della saga, Minish Cap, sviluppato in via eccezionale da Capcom, propone un’avventura diversa dal solito, che ha come protagonista un Link dalle ridottissime dimensioni.

Eppure, come anticipato, The Legend of Zelda ha un fascino tutto suo, indefinibile eppure percepibile anche da un dodicenne bloccato nelle stesse sale da ormai qualche settimana. Fu l’inspiegabile certezza di avere a che fare con un grande titolo a non farmi mollare. L’inspiegabile certezza e il colpo di fortuna che mi permise di scoprire che si poteva dare fuoco ai bastoni raccolti eliminando i nemici, così da togliere di mezzo le ragnatele che bloccavano il passaggio.

Dallo scontro con Gohma, alla carrellata che mostra l’immensa e sconfinata (per l’epoca) piana di Hyrule, fu un crescendo di emozioni. Lo struggente saluto a Saria, l’abbandono del sicuro e tranquillo villaggio dei Kokiri, ma soprattutto il lungo racconto dell’Albero Deku che, un attimo prima di esalare l’ultimo respiro, ragguaglia Link sul pericolo che sta correndo Hyrule e sull’esistenza della Triforza: un climax strepitoso, straordinario, che mette le ali alle gambe dell’utente, per nulla scoraggiato dalla lunga distanza che deve coprire nel suo viaggio verso il castello della Principessa Zelda.

Oscuro, bizzarro, a tratti disturbante: Majora’s Mask è uno dei capitoli più affascinanti e particolari dell’intera saga.

Ocarina of Time è solo un esempio del senso di grandezza che si respira in ogni The Legend of Zelda, una vertigine sempre diversa, ma uguale a sé stessa, soprattutto per le emozioni che scatena in chi tiene il pad tra le mani. In A Link To The Past, del 1991 per Super Nintendo, scaturiva dalla presenza di due mondi interconnessi tra loro; In Link’s Awakening, primo capitolo portatile del 1992, dall’idea di avere a che fare con un modo bizzarro e onirico; in The Wind Waker, per Game Cube, dalla sensazione che potesse nascondersi un tesoro su ogni isola; in Twilight Princess, del 2006, dalla struggente malinconia di una Hyrule al crepuscolo; in Breath of the Wild tutto è grande e il senso di vertigine è perenne.

Attraverso le generazioni di hardware e le tendenze di design, The Legend of Zelda ha sempre fatto scuola, anticipando i tempi, interpretando molto meglio di altri meccaniche ludiche cavalcate da più parti. Anche nelle sue uscite peggiori, la sgraziata tech demo del Wiimote che risponde al nome di Skyward Sword, The Legend of Zelda riesce sempre ad ammaliare per qualche motivo. Del resto, almeno artisticamente la saga ha sempre messo in mostra la bontà e le capacità degli addetti ai lavori, Kōji Kondō, storico compositore della saga, in testa.

In fin dei conti The Legend of Zelda non è altro che una splendida storia nata per gioco in un giardino. Una storia che varia, pur restando sempre uguale a sé stessa, favola rassicurante e al tempo stesso sorprendente che pur cambiando l’ordine degli addendi dà sempre lo stesso risultato.

Esattamente trentacinque anni fa con l’esordio del brand il mondo dei videogiochi è cambiato per sempre e ad ogni nuovo capitolo la percezione del genere e non solo muta puntualmente. Da vecchi appassionati e fan della saga, non possiamo che augurarci altri trentacinque anni di successi ed episodi straordinari, magari proprio a cominciare dal già attesissimo Breath of the Wild 2, di cui speriamo di sapere molto presto qualche informazione in più.

Buon compleanno Zelda!

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