Non è mai facile fare il grande passo, abbandonare le certezze cui ci si è stretti fino a quel momento per compiere il proverbiale salto nel buio; arriva tuttavia il momento in cui diventa necessario, se l’idea è quella di crescere e migliorare se stessi. Proprio come ha fatto Bloober Team con The Medium, ultimo, attesissimo gioco nonché una dichiarazione d’amore agli horror giapponesi vecchia scuola che hanno fatto la storia – da Resident Evil passando per Silent Hill.
Il team polacco si è sempre distinto per inquietanti esperienze in prima persona che hanno fatto della narrazione uno dei loro punti cardine, assieme a una direzione artistica sulla quale non si è mai avuto nulla da dire; a loro sfavore c’era il fatto di affidarsi, soprattutto in giochi come Layers of Fear e Blair Witch, all’abusato trucchetto del jumpscare per generare paura nel giocatore. The Medium rappresenta un punto di rottura in questo e molti altri aspetti, presentandosi come un horror psicologico in terza persona dove la paura non viene chiamata ma costruita; dove la tensione diventa la nostra fedele compagna e il limite tra ciò che crediamo stia succedendo e ciò che è successo davvero risulta impercettibile.
Nel corso delle dieci e più ore necessarie per arrivare ai titoli di coda seguiremo le vicende di Marianne, una giovane medium nella Polonia degli anni ’90, che a partire dal sogno in cui una bambina viene uccisa inizierà una surreale esperienza che la porterà a scoprire di più su di sé e sulle proprie origini.
Come potete ben intuire, anche in questo caso siamo di fronte a un gioco prettamente narrativo, come del resto ci si deve aspettare da Bloober Team, ma la storia messa in scena con The Medium supera di almeno una spanna tutte quelle proposte in precedenza: sia per una narrazione in continuo crescendo, dove i colpi di scena sono distribuiti in maniera molto intelligente e ciò che ci aspettiamo non sempre corrisponde ai fatti, sia grazie a una regia squisitamente cinematografica che sfrutta spesso la meccanica dei due mondi anche nei filmati per un risultato di indubbia qualità.
Ci troviamo di fronte a una storia tragica e drammatica, che scava a fondo nell’animo umano per riportare su schermo un orrore che è più vicino di quanto vogliamo illuderci a credere. Marianne è l’unica protagonista umana del gioco ma non è mai davvero sola: ad accompagnarne i passi ci sono le presenze più o meno ostili del mondo spiritico, nel quale lei cammina di continuo, in sospeso tra quello e la realtà. Un’esistenza a metà, per riprendere le sue parole, senza davvero appartiene a nessuna.
The Medium mette in scena un’esperienza di gioco simultanea priva di sbavature
Il dualismo del mondo di gioco rappresenta anche il maggior punto di forza, in termini di gameplay, andando a prendere un concetto già noto (quello appunto del doppio mondo) per coniugarlo in un’esperienza familiare ma al contempo nuova – in cui le due realtà sono costantemente in contatto e si influenzano a vicenda. Non si tratta soltanto di muoversi contemporaneamente in entrambi, quanto di interagirvi con l’obiettivo di scatenare una reazione che ci permetta di proseguire nella nostra indagine. Si completano a vicenda, offrendo a Marianne un quadro completo, sollevando il velo della semplice realtà per mostrare cosa si cela al di sotto e fino a che punto può legarsi al nostro piano di esistenza.
Che sia dal punto di vista esplorativo o in termini di enigmi, The Medium mette in scena un’esperienza di gioco simultanea priva di sbavature (se non consideriamo animazioni non sempre convincenti) che pur non essendo attivabile a piacimento – la distorsione della realtà è infatti legata a specifici momenti del gioco – ci lascia completa libertà nel momento in cui si manifesta. I movimenti di Marianne sono perfettamente replicati in uno e nell’altro mondo, ci sono tuttavia situazioni in cui è necessario ricorrere all’esperienza extracorporea per abbandonare il proprio corpo mortale e prendersi (poco) tempo in quello spirituale, superando barriere che altrimenti sarebbero insormontabili.
Nemmeno a dirlo, tutto il gioco ruota attorno alle capacità di Marianne, il cui vero potere si manifesta nell’altro mondo e ci permette di sfuggire anche agli occasionali ma sentiti momenti di confronto. Non usiamo questa parola a caso, perché The Medium non offre alcun combattimento nel vero senso del termine, tuttavia ci mette comunque in situazioni di pericolo mortale grazie alla presenza di Fauci – una creatura nata dai recessi dell’animo umana che ci darà la caccia senza sosta in un gioco del gatto con il topo dal quale non si può davvero uscire vincitori. Un incubo che il magistrale doppiaggio di Troy Baker concorre a rendere fin troppo reale.
La nostra unica speranza è ritardare l’inevitabile, aggirando la creatura e ostacolandola senza poterla davvero uccidere, nemmeno con i poteri a nostra disposizione: se veniamo raggiunti è game over, a meno di non avere con noi dei residui di energia spirituale con cui allontanarla, e la consapevolezza che potrebbe attarci in qualunque momento rende ogni passo all’interno dell’hotel Niwa (ma non solo) un terno al lotto. Ci sono molte sorprese che vi attendono giocando, alcune delle quali preferiamo non anticiparvele per non rovinarvi la sorpresa: è difficile parlare di un videogioco prettamente narrativo con la completezza che si vorrebbe ma fidatevi quando vi diciamo che sarà un’esperienza vivibile da più angolazioni.
The Medium non vuole ostacolarvi con enigmi impossibili, perché non è quello che cerca
Se ci avete seguito fino a qui, avrete capito che ancora una volta Bloober Team ha messo il gameplay in funzione della narrazione, perciò non aspettatevi un’esperienza complessa quanto, piuttosto, articolata: un distinguo essenziale quando si tratta di giochi simili, che non si affidano a una difficoltà cerebrale come quella che potrebbe sfidarci nella serie Zero Escape, preferendo invece un approccio più stratificato, che richiede il mettere fisicamente assieme dei pezzi prima di poter proseguire – siano essi delle chiavi, delle maschere, o qualunque altra soluzione possa venirvi in mente.
The Medium non vuole ostacolarvi con enigmi impossibili, perché non è quello che cerca: essendo basato principalmente sulla narrazione, il gioco deve far sì che la stessa non ristagni di fronte a una difficoltà eccessiva e francamente inutile per questo tipo di esperienza. Da questo punto di vista The Medium potrebbe apparirvi facile ma, di nuovo, non è un discorso di complessità quanto di intrecci; gameplay e storia vivono e respirano nello stesso istante senza mai ostacolarsi, proprio come il mondo reale e quello spirituale, procedendo di pari passo per condurci a fondo in una vicenda che affonda le proprie radici nei tempi della Repubblica Popolare di Polonia. Rompicapi, occasionali inseguimenti e tanta, tanta tensione sono gli ingredienti chiave del nuovo gioco di Bloober Team, che dimostra la propria volontà di fare il salto in avanti rispetto alla zona sicura dove si sono mossi fino adesso.
Non possiamo parlare di The Medium, però, senza dedicare parole di meraviglia per l’incredibile direzione artistica: non è un mistero che il team abbia voluto omaggiare il pittore polacco Zdzisław Beksiński ma, se fosse ancora vivo, difficilmente crederemmo che non abbia dipinto lui i paesaggi surreali che fanno da sfondo al mondo spiritico. Figure dal volto bendato, deturpato o cancellato; paesaggi brulli, aridi, desolati; oggetti mutilati, corrosi e in fase di decomposizione: gli sviluppatori sono riusciti a dipingere alla perfezione l’inferno di Beksiński, e The Medium andrebbe giocato anche solo per questo. Per godere di una vera e propria opera d’arte, senza se e senza ma.
The Medium come uno fra i primi, se non il primo, vero gioco della nuova generazione
Per una volta possiamo lasciare da parta tutta la retorica delle prestazioni ed esaltare, lo ripetiamo, una direzione artistica eccellente, valorizzata ancora di più da una colonna sonora che vede la collaborazione con il leggendario Akira Yamaoka. Serve davvero aggiungere altro? Si potevano forse avere dubbi sulla qualità? No, ma lo diciamo lo stesso: in The Medium la musica non prende mai il sopravvento sul gioco; lo segue, lo accompagna, lo blandisce a volte e altrettante sa quando tacere, lasciando sia il silenzio a dire la propria, ma non cerca mai di imporsi.
Se c’è qualcosa su cui davvero è difficilissimo questionare per quanto riguarda The Medium è proprio il comparto artistico, che eleva ancora di più la coraggiosa decisione di non considerare Xbox One in fase di sviluppo e concentrarsi solo sulla next-gen. Di fatto possiamo considerare The Medium come uno fra i primi, se non il primo, vero gioco della nuova generazione: un titolo che si merita a occhi chiusi.
The Medium è un’esperienza imprescindibile per tutti gli amanti degli horror, a maggior ragione della vecchia scuola, perché recupera il passato e lo ammanta con il presente creando un gioco che, proprio come Marianne, si muove due mondi distinti ma in costante comunicazione. Non è difficile, non vuole ostacolarvi in una progressione volta principalmente a raccontare la propria storia, e pur avendo almeno un paio di occasioni in cui si respira quell’approccio walking simulator che ha caratterizzato i lavori precedenti, nel complesso è un lavoro più che lodevole nel complesso. Un horror psicologico di alto livello, caratterizzato da una narrazione in costante crescita fino alla sua inaspettata conclusione, un gameplay ben strutturato e dal ritmo compassato tipico di queste produzioni; il tutto accompagnato da una direzione artistica eccellente e un comparto tecnico funzionale, dove la simultaneità dei due mondi brilla per fluidità e resa visiva. Forse non è un gioco per tutti, qualcuno può essersi fatto le aspettative sbagliate e non trovare quello che credeva, ma un team che si prende dei rischi consapevoli come Bloober Team si può solo apprezzare; a maggior ragione se il risultato fa centro. |