Realizzare un gioco che sappia trasmettere tutto il contorto orrore degli scritti di Lovecraft e al tempo stesso rendergli il giusto omaggio non è semplice: la complessità dei suoi lavori è stata a volte ridotta al semplice fatto che basti inserire il culto di Cthulhu, qualche parola in r’lyehiano e alcuni fanatici sparsi perché l’esito sia fedele all’originale. I fatti – nello specifico The Black Mirror e Call of Cthulhu – ci hanno dimostrato che questi elementi non sono sufficienti se non si è in grado (anche a causa di limiti tecnici) di amalgamarli per dare vita a quell’atmosfera di cui si ammantano le opere lovecraftiane. Sotto questo profilo, anche The Sinking City sembrava destinato a percorrere la stessa strada almeno a giudicare dalle demo provate nel corso di eventi e fiere: quello che invece ci siamo ritrovati fra le mani è stato sicuramente un prodotto molto grezzo sotto alcuni aspetti e totalmente dimenticabile per altri, ma finalmente in grado di dare giustizia a un universo che sembrava destinato più sotto della mediocrità.
All’opera c’è Frogwares, lo studio di sviluppo noto per i suoi titoli su Sherlock Holmes (Crimes&Punishment, The Devil’s Daughter) che ha fatto dell’investigazione il cavallo di battaglia con cui lanciarsi in questa nuova sfida. The Sinking City è un survival horror in terza persona ambientato negli Stati Uniti durante il periodo del proibizionismo, più precisamente nella città inondata di Oakmont: qui Charles Reed, un ex sommozzatore della Marina dal passato oscuro e diventato poi investigatore privato a Boston, si trasferisce alla ricerca di indizi che lo dovrebbero aiutare nel caso al quale sta lavorando ma nello stesso tempo anche per dare una risposta alle allucinanti visioni che lo tormentano.
Gli sviluppatori hanno dato vita a una città esplorabile senza soluzione di continuità, cioè priva di caricamenti e accessibile fin dall’inizio in ogni sua area; sebbene le promesse non siano state mantenute al cento per cento e alcuni problemi tecnici portino a una schermata di caricamento quando si tratta di accedere agli edifici più rilevanti della mappa, nel complesso il lavoro svolto è interessante soprattutto dal punto di vista “urbanistico” se così vogliamo definirlo: l’inondazione che ha colpito la città, portando con sé mostri mai visti prima e con essi tutte le loro folli conseguenze, ne ha stravolto le strade al punto da costringere i cittadini ad attrezzarsi per lo spostamento sull’acqua. Necessità dovuta anche al fatto che sotto la superficie qualcosa aspetta nuove prede da trascinare sul fondo. In tutto questo, i cittadini cercano di vivere la loro vita al meglio ma non è difficile capire come un contesto storico già difficile di per sé risulti aggravato dagli eventi sovrannaturali intercorsi, portando non solo a casi di pazzia sempre più frequenti ma anche a un accrescersi delle tensioni sia fra le famiglie più importanti della città sia tra la gente comune e gli Innsmouth, i cosiddetti uomini-pesce la cui presenza porta a episodi di emarginazione sociale, sfiducia e in generale una sottile vena di razzismo.
The Sinking City rende finalmente giustizia alle opere di Lovecraft
Frogwares è riuscita molto bene nella resa dell’ambientazione in termini visivi e sonori, restituendoci l’immagine di una città marcia sotto ogni accezione possibile. Non è strano anzi avvertire una sensazione viscida quando se ne percorrono strade, sotto un cielo che per primo non pare voler sorridere alla situazione, quasi si fosse avvolti da una patina invisibile e sempre più soffocante. Naturalmente Oakmont è suddivisa in quartieri che ne riflettono le differenze sociali, tuttavia persino nelle aree più a modo la follia non fa sconti e l’immagine benestante che vorrebbe riflettere è soltanto il misero tentativo di mascherare un’evidenza già sotto gli occhi di tutti.
Qualunque cosa stia succedendo, non fa distinzioni di razza, colore della pelle o status e nessuno è davvero immune a questa regressione forse lenta ma inesorabile. Lo dimostra di per sé che il denaro ha perso ogni tipo di valore e la popolazione è tornata al baratto (sul modello di Fallout): qualunque forma di pagamento avviene attraverso i bossoli di proiettile, perché i soldi non possono difendere dagli orrori che infestano le strade. Proprio per questo stesso motivo e anche per il fatto che gli abitanti non vedono di buon occhio gli stranieri, non ci sono negozi nei quali Reed può effettuare acquisti e di qualsiasi cosa necessiti deve crearla da sé.
Questa meccanica di crafting aggiunge un elemento di difficoltà in più soprattutto quando si decide di ignorare la storia principale per inseguire incarichi secondari: da un certo punto di vista si dimostrano necessari sotto l’aspetto dell’esplorazione, perché sebbene la ricompensa per il completamento sia soddisfacente non lo è abbastanza quanto prendersi qualche rischio ed esplorare abitazioni abbandonate. La progressione richiede dunque una gestione oculata delle proprie risorse, l’accettazione del fatto che la fuga si rivela la soluzione migliore per non sprecare inutilmente armi e cure, e anche un bilanciamento tra storia principale e missioni per essere sicuri di ottenere l’esperienza necessaria a fare di Reed un personaggio più resistente sia fisicamente sia mentalmente, nonché attrezzato.
Se la componente esplorativa porta con sé tutta la (mal)sana inquietudine che si dovrebbe giustamente provare quando si entra a contatto con Lovecraft e la sua progenie, non vale lo stesso per quanto riguarda il combattimento: il gunplay è semplicemente dimenticabile, con pistole e fucili che emettono suoni più simili a quelle del softair, un feedback dei colpi poco incisivo e un ancor peggiore attacco fisico nel quale è più semplice andare a vuoto che non centrare effettivamente il bersaglio. Decisamente l’aspetto peggiore di The Sinking City.
Il sistema di combattimento è l’aspetto peggiore di The Sinking City
Viene però controbilanciato da un sistema di indagine che ci riporta ai fasti di Sherlock: ricca e approfondita, l’investigazione segue diversi approcci che passano dalla ricerca di indizi in loco, a continui spostamenti agli archivi importanti della città (la stazione di polizia, la biblioteca, l’ospedale, il giornale locale) per cercare dettagli, fino alla messa in scena di un vero e proprio palazzo mentale in cui Reed ricostruirà gli eventi occorsi sia per ricavare nuovi indizi sia per prendere decisioni morali in merito ad alcune situazioni che si troverà ad affrontare. Sebbene profondo per quanto riguarda i possibili approcci, mi sarei aspettata anche un livello di difficolta maggiore per questo sistema di investigazione che nel complesso si rivela soddisfacente ma allo stesso tempo frenato nelle sue potenzialità. Similmente, la costruzione di molti misteri non fa troppo affidamento su tutti questi aspetti optando per un procedimento spesso lineare: quando al contrario decide di inscenare qualcosa di più articolato, il gioco trasmette un effettivo senso di progressione ma in particolare la soddisfazione di risolvere pezzo dopo pezzo un puzzle accattivante e coinvolgente.
Non c’è dubbio che l’investigazione sia comunque la parte alla quale Frogwares abbia prestato maggiore cura e al di là di ciò che avrebbe potuto dare di più, è una meccanica che funziona e ci sentiamo di promuovere quasi a pieni voti. Abbiamo anche fatto un accenno a scelte morali che Reed si ritroverà a dover compiere ed ecco, se c’è un’occasione un po’ sprecata è questa: sebbene le decisioni da prendere impattino non poco sulla nostra moralità di giocatori, di fatto non portano a ripercussioni concrete in-game quando invece – senza necessariamente parlare di finali multipli – avrebbero potuto. Certo, indisporre una persona cui si stanno chiedendo informazioni può precludere indizi ai quali stavamo puntando ma sono più errori di calcolo che vere e proprie scelte morali.
Sotto il profilo artistico, Frogwares ha svolto un ottimo lavoro sull’ambientazione e un po’ meno sui personaggi a eccezione di pochi, che risultano abbozzati in modo grezzo fino a lasciare la strana sensazione che siano più manichini e meno persone. Non si può negare che forse è un effetto ricercato per restituire il senso di estraneità dei cittadini con il dilagare della follia ma se anche così fosse, il risultato non è ugualmente riuscito. Un plauso invece al paesaggio sonoro e in generale alla colonna sonora che ci accompagna nel corso dell’avventura, realizzato in modo tale da calcare la mano sull’inquietudine e l’ansia che inevitabilmente ci attanagliano quando abbandoniamo la poca civiltà presente per inoltrarci in aree isolate dove sappiamo esserci qualcosa ad aspettarci.
Ed è proprio questo senso di aspettativa, spesso risolto in un nulla di fatto, il pilastro portante di un’atmosfera tra le più fedeli al Mito: vivere costantemente in punta di piedi per timore di essere aggrediti, aspettarsi pericoli anche dove non ce ne sono, sono tutti elementi a corredo di un crescente senso di paranoia che da Reed filtra anche verso di noi. Ci sono però dei problemi tecnici, bug e soprattutto pop up, che minano nel complesso l’opera di Frogwares restituendo un gioco discreto sotto alcuni aspetti, ottimo sotto altri e infine del tutto dimenticabile per altri ancora. Questa altalena qualitativa non permette a The Sinking City di spiccare come forse avrebbe potuto ma nel panorama videoludico dedicato a Lovecraft è senza dubbio il lavoro migliore svolto fino a questo momento.
The Sinking City è un titolo che gioca le carte migliori sotto il profilo investigativo e dell’atmosfera, offrendo un’esperienza che non mancherà di inquietarvi e farvi domandare se, forse, non stiate un po’ impazzendo anche voi. La cittadina di Oakmont riflette bene il lento declino verso la follia e quando si tratta di risolvere misteri i diversi approcci a disposizione risultano soddisfacenti. Dove purtroppo il gioco ha grossi inciampi è nel gunplay di pessima qualità, nelle scelte morali prive di un reale peso e in un comparto tecnico che più volte rallenta il ritmo dando una sgradevole sensazione di legnosità. Nel complesso però non si può negare che il lavoro svolto da Frogwares sia discreto: se siete disposti a chiudere un occhio sui difetti meno imperanti e a mandar giù (senza zucchero) la pillola del sistema di combattimento, allora vi aspetta un coinvolgimento assicurato. |
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