17 Mag 2017

The Surge – Recensione

Seguire il sentiero tracciato dai “giganti”, anche a costo di barcamenarsi tra il sentito tributo e il plagio, non è necessariamente un atto da vili o codardi, tutt’altro. È la semplice constatazione dei propri limiti, la presa di coscienza del proprio livello qualitativo, minato, il più delle volte (e, si spera, solo provvisoriamente) da mancanza di esperienza, di risorse, qualsiasi ostacolo impedisca ad un creatore di lasciare la propria impronta. A volte però, l’impegno e gli anni passati a macinare stringhe di codice non bastano, soprattutto in un’industria che non risparmia i semi-dei, figuriamoci i programmatori della domenica.

Se è un’identità ben precisa a mancare, c’è poco da fare: si punta alla moda del momento, centrando qualche volta il bersaglio, qualche volta no, continuando a mantenere strenuamente lo sguardo su un poster raffigurante il proprio punto di riferimento, il proprio totem. Chi vi scrive, gli studi di Deck13 se li immagina tappezzati di gigantografie di Miyazaki-san, la star di From Software. Non si spiega altrimenti la volontà di non smarcarsi minimamente dalla definizione di “soulslike”, etichetta un po’ aleatoria che sta stretta a tanti titoli sui quali è stata piazzata, ma che su Lords of the Fallen, prima, e su questo The Surge, fresco di pubblicazione, calza davvero a pennello. Si trattasse realmente di un abito, però, la cerimonia di vestizione sarebbe simile a quella a cui viene sottoposto Warren, l’anonimo (non nel senso “miyazakiano” del termine, purtroppo), nel corso della breve, quanto potente, sequenza introduttiva: forzata e per nulla indolore, a tratti un po’ raffazzonata.

Warren è un vero tamarro: potrete optare per un set  completo, con tanto di bonus, o applicare pezzi di armature differenti

La stessa premessa narrativa su cui si regge The Surge, così come l’intera trama, è scevra di qualsiasi solennità: il protagonista è infatti un tecnico al primo giorno di lavoro presso l’azienda CREO, un debutto decisamente più traumatico di quello di chiunque altro. Si ritroverà infatti in un gigantesco complesso in declino, lontano anni luce dalla struttura rigogliosa dipinta nei video motivazionali con protagonista Don Hackett, il CEO dell’azienda, con i suoi modi e la sua retorica jobsiana. Ora non è nient’altro che un guscio vuoto, testimonianza del fallimento del progetto Resolve, un piano di ripristino che avrebbe rigenerato un’umanità devastata da guerra e riscaldamento globale, ma che invece è collassato su se stesso, devastando la culla del progetto stesso. Qualcosa di strano sta accadendo ai dipendenti, così come ai robot di supporto, che non rispondono più ai comandi, e al povero Warren, dall’interno del suo possente eso-scheletro, spetta scoprire cosa diamine sta succedendo, oltre, ovviamente, a provvedere alla sua sopravvivenza.

The Surge si pone come un soulslike d’impronta sci-fi

Una premessa, insomma, lontana anni luce dal simbolismo di From Software, dalla raffinatezza narrativa dei “Souls” che non hanno bisogno di alcuno strumento didascalico o di qualsivoglia chiarezza per raccontare qualcosa, salvo riuscire a dire un po’ tutto il necessario; una lontananza che non ha a che vedere solamente con le atmosfere. The Surge si pone infatti come un soulslike d’impronta sci-fi, in cui cattedrali gotiche e foreste marcescenti vengono rimpiazzate da colate di cemento, freddo metallo e scintille, ma che tradisce da subito la necessità di scimmiottare il proprio punto di riferimento, provando a permeare tutto di un certo ermetismo, fallendo però miseramente nel compito auto-imposto.

La storia di fondo non è infatti molto interessante, gli sporadici dialoghi con i superstiti ancora dotati di sale in zucca lo sono ancora meno, e Warren ha il carisma di un estintore rotto, un chiacchierone non proprio brillante, che se non fosse per la sua abilità nel menare le mani, sarebbe potuto tranquillamente restare a casa. Manca il fascino, manca il ricco lore in grado di far parlare per anni di sé, e le poche informazioni, centellinate attraverso audio-messaggi sparsi qua e là, non contribuiscono minimamente alla creazione di una qualsiasi connessione con il mondo di gioco, smorzando tutte le potenzialità e quelle intuizioni che un simile contesto, sicuramente rinfrescante per il genere, necessita per lasciare il segno in un mare di copie carbone.

Occhio a non lasciare parti del corpo scoperte, ed evitate gli scontri di gruppo

Piano però, perché The Surge qualche asso nella manica non indifferente ce l’ha eccome, a partire da una certa, per così dire, “scalabilità” della difficoltà, che potrebbe permettergli di far breccia principalmente nel cuore di quei giocatori che si sono sempre tenuti a debita distanza dalle opere complesse e arzigogolate firmate da Miyazaki e soci. Non che ci sia una modalità “Facile”, anzi: morirete tantissime volte, e non solo durante gli scontri con gli imponenti boss meccanici, che pur non potendo garantire la stessa malvagia epicità di un Dark Souls a caso, sapranno darvi filo da torcere e vi bloccheranno la strada in ogni modo possibile. I semplici mob, siano essi robot, macchine, umani muniti di eso-scheletro o ibridi biomeccanici, saranno tutt’altro che semplici, e gli basteranno due o tre colpi ben assestati per mandarvi al tappeto: ognuno di loro è dotato di specifici pattern da memorizzare e imparare a schivare tramite scatto (à la Bloodborne, per intenderci), il più comodo e rapido da eseguire, oppure vari tipi di schivate e parate, in base alla direzione degli attacchi (che possono essere orizzontali e verticali, anche per il giocatore, assegnati rispettivamente ai tasti R1 e R2), tecniche più coreografiche e soddisfacenti, non c’è dubbio, ma un po’ troppo macchinose da realizzare nel vivo della battaglia.

Morirete tantissime volte

Sì, morirete tantissime volte, meglio ribadirlo. E per complicare le cose, alla spietata meccanica che vi costringe a tornare nel punto in cui siete morti per recuperare il prezioso bottino perduto (al posto delle classiche anime avrete degli Scarti Tecnologici, fondamentali, come da tradizione, tanto per salire di livello, quanto e soprattutto per potenziare l’equipaggiamento, ma ci torniamo su entrambe le questioni tra un attimo), Deck13 ha ben pensato di aggiungere un timer di 3 minuti, rallentato dalle kill effettuate lungo il cammino, allo scadere del quale bisognerà dire addio al malloppo faticosamente conquistato. Ma alla diabolica formula ormai standardizzata e ben assimilata dai fan del genere, data dall’equilibrio di meccaniche ed elementi tarati al millesimo, sono state aggiunte tante modifiche, alcune insignificanti, altre drastiche e sicuramente in grado di far storcere il naso all’utenza più hardcore: una scommessa da parte del team tedesco che non ci sentiamo di considerare pienamente vinta, ma che potrebbe fargli conquistare quella fetta di pubblico di appassionati di action/RPG preclusa alla ben più tosta serie/musa ispiratrice.

Le armi a due mani sono generalmente più deboli, ma bruceranno meno resistenza

Ad esempio, ci si cura con facilità e velocità, rinunciando a quel delicato ed elettrizzante fattore rischio che ogni “fiaschetta”, nei Souls, porta con sé; gli scarti possono essere depositati presso le Med-Bay, i “falò” di turno, potendo così decidere con calma se investirli nell’aumento del livello o nell’equip senza il terrore di perderli da un momento all’altro; c’è un drone che ci offre una mano, aprendo determinate porte, e soprattutto “aggrando” da lontano i nemici, permettendoci di separare eventuali gruppi (che complicherebbero e di tanto la vita) ed eliminare con relativa calma, uno per volta, i mob; fino ad arrivare alle scelte che il giocatore dovrà compiere ad ogni incontro, tutt’altro che a cuor leggero.

I semplici mob sono mediamente molto forti, e tra il numero limitato di cure e quello loro, ben più nutrito, c’è il serio rischio di ritrovarsi scarichi e senza alcuna chance di sopravvivere. Diventa quindi cruciale capire quando sfoderare l’arma e quando invece sfruttare i goffi movimenti avversari (e un Intelligenza Artificiale non sempre brillante) per sgattaiolare alle loro spalle ed esplorare da cima a fondo le zone, alla ricerca delle famigerate scorciatoie, cuore pulsante del level design (su cui torneremo tra poco). Altrettanto cruciale diventa la decisione, ed è qui che il giocatore può scegliere come “modulare” la propria esperienza, optando di proseguire più agilmente, o di complicarsi volutamente le cose, puntando però ad un loot più ricco e al potenziamento della propria armatura metallica: tra le meccaniche più interessanti (e originali) di The Surge spicca infatti il loot system, che permette al giocatore di mirare ad un punto specifico del corpo del nemico (le gambe, le braccia, la testa e il corpo).

In The Surge è cruciale capire quando sfoderare l’arma e quando fuggire dalle situazioni più calde

Se scoperto, si infliggerà una maggiore quantità di danni, lasciando però al giocatore solo un pugno di (pur sempre utili) scarti, mentre l’infierire su una parte del corpo ben bardata, permetterà (grazie a delle coreografiche e brutali finisher) di recidere l’arto o il pezzo in questione, e sbloccare i progetti per la creazione, nel caso del primo contatto, così come i materiali necessari per il crafting e per il potenziamento di quelli che diventeranno i propri pezzi di armatura. In questo modo si potrà quindi separare i momenti di pura esplorazione, semplificando il processo di “ripulitura” (ma ciò non significa che i nemici cadranno come mosche: bisognerà stare continuamente all’erta, tra trappole, zone avvelenate, lanciafiamme, speciali sentinelle a protezione di zone off-limits o segrete), e quelli di farming selvaggio, fondamentali per accumulare i materiali o potenziare la propria energia nucleare.

Oltre ai boss regolari, troverete mid-boss nascosti in aree (alcune delle quali) segrete

Di cosa si tratta? Altra intuizione del team, che ha semplificato drasticamente il sistema di progressione del personaggio, permettendo di creare build in totale libertà, grazie ad un sistema di impianti/mod intuitivo e di semplice assimilazione, forse troppo, date le poche statistiche coinvolte. L’energia nucleare va infatti vista come una sorta di livello unico di esperienza, che oltre a garantire l’accesso a nuove aree (in alcuni punti si dovrà tornare nelle fasi più avanzate, dopo aver raggiunto un livello più alto, così da poter aprire porte precedentemente chiuse o sbloccare le sudatissime scorciatoie), stabilisce il numero massimo di slot entro i quali potremo personalizzare Warren.

Ogni elemento dell’armatura occupa alcuni slot, e lo stesso vale per gli impianti, che influenzano la salute, la resistenza (importantissima come nei Souls, in quanto restando a secco ci si ritroverà alla mercé dei nemici) e l’energia (accumulata eseguendo attacchi e sbloccando azioni particolari, come ad esempio, con la giusta mod, il ripristino della salute o gli attacchi del drone): si dovrà quindi trovare il giusto compromesso, magari alternando parti più leggere e deboli a quelle più possenti, o facendo economia nella maniera più intelligente possibile, sperando di trovare mod via via più potenti e utili. Basterà recarsi nella Med-Bay, dove è possibile aumentare l’energia e ripristinare le cure (così come attivare il respawn dei nemici) per stravolgere la propria build in qualsiasi momento e adattarla in base alle necessità, magari per superare un punto particolarmente ostico o un boss apparentemente impossibile, sperimentando con le armi e l’equip, magari scegliendo un approccio più lento e pesante, investendo sulla difesa, oppure uno più rapido, incentrato su una saggia gestione della stamina.

In The Surge è possibile creare build in totale libertà grazie ad un sistema di impianti intuitivo e di semplice assimilazione (forse troppo semplice)

MedBay che, come avrete intuito, sono una sorta di falò, ma ne troverete principalmente una per zona (in alcuni casi ne troverete una seconda, che servirà solamente a ripristinare le cure), ed è attorno ad esse che sono costruiti i livelli. Più che optare per un unico, vasto mondo interconnesso (probabilmente anche per alleggerire il gioco, ndr), Deck13 ha optato per una divisione in 7 aree, alcune più vaste e labirintiche, altre più piccole ma comunque dense di corridoi sotterranei e non, tutte claustrofobiche e dense di tensione, tanto quelle sotto terra quanto quelle in superficie. Sono collegate da treni, e come detto, il punto nevralgico sono le stanze nelle quali vi “rifocillerete”. vi dedicherete al potenziamento degli oggetti e al crafting, e da cui ripartirete dopo ogni morte, una soluzione che rende fondamentali le già citate scorciatoie, e in tal sento The Surge non delude, regalando un brivido ad ogni nuova porta aperta, ad ogni ascensore sbloccato, ad ogni ponte attivato.

Peccato però che la poca varietà delle ambientazioni non rende così semplice l’orientamento, creando non poca confusione nelle fasi esplorative. Le aree sono tutte un po’ uguali tra loro, colpa anche di un certo riciclo negli assets, e saranno perlopiù le tipologie di nemico, sicuramente più variegate e riconoscibili, ad offrirvi un punto di riferimento. In compenso, il colpo d’occhio generale non è da buttare, e nonostante alcune texture non brillino, lato tecnico The Surge sa difendersi egregiamente, merito anche di una fluidità visiva, garantita dai 60fps (scalfiti solo sporadicamente), restituendo perfettamente la freddezza che un’ambientazione sci-fi deve donare, peccando però, come detto, in varietà, rimestando qualche buona intuizione più del dovuto. È inoltre presente un’opzione, almeno sulla versione PS4 Pro da noi testata, che permette di rinunciare a quella fluidità (riducendo sensibilmente la conta dei frame-per-second) a favore di una risoluzione maggiorata, risultando però in una differenza non così sostanziale da giustificare cali evidenti e fastidiosi.

Conclusioni

Nonostante l’esperienza sulle spalle, Deck13 appare ancora come uno studente un po’ discolo, che fa il suo compito senza particolari guizzi, e che si presenta a lezione, ma dimostra di non aver assimilato del tutto le nozioni al centro della stessa. The Surge è un passo avanti rispetto a Lords of the Fallen, risultando indubbiamente più fresco e godibile, al punto da offrire un’esperienza, per certi versi, “modulabile” dal giocatore, smarcando qualche ingiusta frustrazione di troppo.

Pur offrendo qualche personale reinterpretazione, il team non riesce a però sganciarsi (né a far emergere completamente la propria personalità) dalla propria palese fonte di ispirazione. La semplificazione di alcune meccaniche (la progressione del personaggio, ad esempio) farà storcere il naso ai puristi del genere, che troveranno sicuramente pane per i loro denti, pronto ad impegnarli a lungo (raggiungendo e superando tranquillamente le 30 ore), ma non un “Dark Souls sci-fi” (qualitativamente parlando, e non solo) come le premesse lasciavano intendere.

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