Memorie dolorose
In un mercato videoludico spesso orientato verso scelte consolidate e datate, trovarsi di fronte ad un titolo che non soltanto è frutto dell’impegno e del lungo lavoro di sviluppo da parte di un nuovo team, ma che tratta untema socialmente ed eticamente delicato attraverso lo sguardo della memoria, non può che renderci felici. Abbandonando fin da subito le scelte più ovvie e superficiali, LKA (società italiana) non sceglie il divertimento o la violenza come strumento di racconto, ma utilizza i frammenti di un’intera epoca nera per ambientare una storia come tante altre che resteranno per sempre segrete. Donando voce al tema a ciò che in passato era l’unica cura per le malattie mentali: la reclusione manicomiale, che per fortuna non esiste più. Da qui parte tutto, lo strumento videoludico che presenta un lungo periodo di tenebre che fin dagli inizi del Novecento ha ridefinito il concetto di umanità e civiltà non solo a livello psichiatrico ma per tutta l’Italia. Chapeau.
The Town of Light
Piattaforma: PC, Xbox One
Genere: Avventura grafica / Thriller psicologico
Sviluppatore: LKA
Publisher: LKA
Giocatori: 1
Online: Assente
Lingua: Completamente in Italiano
Partiamo dal raccontare la storia, visto che come avremo modo di approfondire a breve, fin dalle prime fasi sarà possibile incontrare notevoli differenze rispetto a quegli elementi tipici che un giocatore dotato di sufficiente esperienza potrebbe riconoscere come una vera e propria meccanica di gioco. Vi ritroverete nei panni, inizialmente non ancora ben definiti e piuttosto misteriosi, di Renèe, una ragazza che sta cercando con molta sofferenza di rimettere insieme i pezzi di un passato doloroso. La giovane è stata infatti al centro di una triste esperienza che l’ha certamente segnata quando era appena sedicenne, non soltanto dal punto di vista psichico ma anche fisico, essendo stata ricoverata nel lontano 1938 all’interno di un ospedale psichiatrico per cause che saranno svelate man mano che emergeranno i frammenti dei suoi ricordi. Non approfondiremo oltre una trama che rappresenta l’elemento nevralgico del progetto, ma vi basti sapere che lo scenario in cui vi ritroverete a muovervi sarà ben diverso da quelli che solitamente capita di visitare in una moderna produzione videoludica. Scordatevi città distanti metropoli o mondi fantastici, questa volta l’incubo si trova a due passi da voi, in Italia, ed una volta tanto la vicinanza con la realtà è più concreta di quanto avreste mai potuto immaginare. Dunque, proprio per questo, meritevole di molta attenzione. Dopo pochi passi, che percorrerete seguendo una visuale in prima persona molto suggestiva, tutto ha avuto inizio.
La realtà si assottiglia ed io mi ritrovo senza pelle, ogni alito di vento è terribilmente doloroso
L’iniziale presentarsi di una vegetazione piuttosto mal curata, non costituirà certo un motivo di turbamento soprattutto se affrontata alla luce del giorno e sotto un cielo piuttosto limpido, eppure siamo certi che un brivido di tensione inizierà a presentarvi il conto quando vi ritroverete al cospetto dell’ospedale psichiatrico ormai abbandonato e per certi versi molto inquietante, l’incubo che dovrete affrontare per riportare a galla ciò che il tempo ha in parte cercato cancellare insieme al dolore della protagonista, in quanto sede della suddetta permanenza forzata a cui la giovane era stata costretta in passato. Non vi ritroverete però in una location casuale, ma bensì nel noto ospedale di Volterra. Non per caso, verrebbe da dire, in quanto se per la maggior parte dei giocatori questo nome non rappresenterà più di una normale location da esplorare, è proprio da questo elemento che può essere fatta una prima e doverosa precisazione sul lavoro degli sviluppatori e sul progetto. Non per nulla non abbiamo ancora mai definito questa produzione con il termine di videogioco in senso stretto, proprio perché più che di un’esperienza ludica potremmo parlare di memoria storica e sociale, sapientemente cucita insieme ad elementi di fantasia per raccontare fatti purtroppo assai frequenti e ripetuti per un lungo arco temporale. Vi basti sapere che l’ospedale psichiatrico di Volterra non ha richiesto molti sforzi per indossare le vesti di location dalle forti tinte cupe e sinistre.
Vi basti sapere che in quasi un secolo di attività la struttura non era certo diventata famosa per la modernità delle cure adottate o per l’umanità dei trattamenti adottati nei confronti dei pazienti, ma anzi più di una fonte storica lo aveva ben presto etichettato come “La bocca dell’Inferno”, per via delle condizioni al limite dell’umano a cui si era sottoposti, dei metodi degni del peggiore film horror e per via di tutta una serie di altre “pratiche mediche” che non approfondiremo né per turbare i lettori più suggestionabili né per evitare di svelare elementi importanti della storia. A questo punto, come ovvia conseguenza, potrete ben immaginare come la ricostruzione di questa struttura da parte del team di sviluppo non soltanto sia il risultato di un attento studio, ma perfettamente in linea con un progetto in cui l’atmosfera rivestirà una componente fondamentale nel cercare di risolvere i misteri del passato della giovane.
Partendo dal presupposto che non vi ritroverete mai ad avere a che fare con situazioni irreali, creature mostruose o altro del genere, ciò non vuol dire che ben altre situazioni, per certi versi più spaventose in quanto mentalmente riconducibili a quanto potremmo riconoscere come una dimensione reale, non risulteranno altrettanto importanti dal punto di vista della tensione emotiva e dei colpi di scena. Proprio da questo punto di vista può infatti essere individuato un elemento centrale della struttura, che non si basa dunque su un vero e proprio gameplay ma sulla ricostruzione dei fatti vissuti dalla protagonista attraverso una sorta di diario narrato attraverso l’utilizzo del mezzo videoludico e di un’interazione che dunque potrebbe risultare più coinvolgente che in altri contesti.
Una produzione coraggiosa e fuori degli schemi costruita su una forte componente narrativa ed in grado di coinvolgere fin dall’inizio
Tutti i progressi della storia che man mano si comporrà, sono riassumibili in tre elementi che potremmo definire fondamentali, consultabili in qualsiasi momento: il vissuto, le memorie e la cartella clinica. Dall’esplorazione dell’ospedale in prima persona, attraverso un forte senso di immedesimazione che sarà quasi immediato nei confronti di Renèe anche per via dei pensieri che ci emergeranno puntuali a supportare la ricostruzione dell’esperienza vissuta dalla giovane. Fino ad arrivare ai ricordi che emergeranno all’improvviso portando alla consapevolezza che l’incubo da lei provato altro non era stato che una lunga quanto dolorosa realtà a cui sopravvivere tra indicibili sofferenze. Ogni ambiente porterà ad aggiungere nuovi elementi e ricordi, alcune volte attraverso oggetti affettivamente importanti per la ragazza, altre volte rievocando situazioni davvero di grande impatto emotivo, soprattutto se i vostri pensieri sconfineranno andando a collegare il tutto con pratiche che erano state davvero in uso per molti anni in Italia. In un crescendo di tensione ma senza eccessivi carichi quantitativi a discapito della qualità, la storia scorre dunque in maniera assai fluida e senza che si presenteranno particolari problemi o punti critici da superare, soprattutto se adotterete un po’ di sano spirito d’osservazione facendo attenzione agli indizi che troverete ed a ciò che l’ambiente vi mostrerà apertamente. Il risultato è dunqueuna produzione coraggiosa e fuori dagli schemi, che non ci sentiamo di catalogare come un vero e proprio gioco, seppur a primo impatto possa offrire dei connotati da thriller psicologico e per quanto sia ispirato da fatti reali e da una lunga documentazione storica e clinica.
La scelta degli sviluppatori esplora probabilmente più il lato narrativo che quello ludico, ma questo non è assolutamente un difetto. Anzi, semmai potremmo dire che hanno sfiorato l’impresa riuscendo solo in parte in quello che sarebbe stato un risultato eccezionale e che attualmente può essere considerato solo buono. Cosa manca dunque a The Town of Light per poter essere considerato univocamente un titolo meritevole di acquisto? Difficile dare una risposta che potrebbe accontentare tutti, ci si trova di fronte ad uno di quei progetti che spesso dividono utenti e critica, ma per quello che è stata la nostra esperienza potremmo iniziare a definire gli elementi che forse avrebbero potuto esprimere meglio l’enorme potenziale a disposizione. Partiamo dall’aspetto tecnico. Dal punto di vista puramente grafico gli ambienti sono stati ricostruiti molto bene, pur non raggiungendo livelli di qualità eccellenti ma senza mai scendere sotto l’ottimo. Diverso è invece il discorso relativamente ad alcuni elementi dello scenario quale ad esempio una vegetazione a tratti non molto varia per texture adottate e lo stesso dicasi per le pareti interne dell’ospedale, in alcuni contesti troppo omogenee per una struttura abbandonata ormai da alcune decine di anni. La visuale in prima persona si dimostra funzionale e piuttosto precisa per quel che riguarda la gestione della visuale, ma la fluidità non è apparsa straordinaria, considerando la totale assenza di altri elementi in movimento che avrebbero potuto giustificare un certo limite.
Ogni ambiente di gioco contribuirà a ricostruire i frammenti di un passato doloroso e ricco di flashback di forte impatto narrativo
Molto valido il doppiaggio in italiano, che contribuisce ad arricchire l’atmosfera. Dal punto di vista narrativo, fermo restando quanto precisato nei paragrafi precedenti, il più grande limite è costituito di una longevità davvero ai minimi termini per poter essere considerata valida. Pur tenendo conto del particolare contesto scelto, l’assenza di particolari motivazioni e stimoli che potrebbero spingere a rivivere la storia, comporta una durata complessiva pari a circa tre ore abbondanti per un giocatore di media esperienza. Un tempo che non è detto possa soddisfare le esigenze di tutti. In tal senso si compie l’impresa sfiorata, che ridimensiona tutte le eccellenti idee ed il lavoro, sicuramente importante e degno di nota del team di sviluppo, che ha voluto concentrarsi su un tema importante senza badare troppo ai fronzoli. Espandere meglio il contesto ludico, per quanto possibile, ad esempio proponendo un secondo personaggio sbloccabile o ampliando maggiormente la vicenda attraverso scelte ad oggi non prese in considerazione, avrebbe forse potuto consentire di raggiungere un differente risultato stabilendo davvero un nuovo parametro di valutazione, peraltro raggiungibile eventualmente in futuro sulla base di questa prima e importante esperienza. Infine precisiamo che non si tratta di una produzione per tutti, per via delle situazioni trattate, ma riteniamo che si tratti di un titolo meritevole di essere preso in considerazione da chiunque voglia confrontarsi con qualcosa di diverso.
In conclusione…
La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. In breve, questo noto pensiero potrebbe riassumere il giudizio su The Town of Light, ma è bene precisare che non stiamo attribuendo al gioco particolari colpe o problemi tecnici tali da rendere l’esperienza videoludica meno coinvolgente. Anzi, da un certo punto di vista l’esperienza emozionale è probabilmente il metro di valutazione più corretto per approcciarsi a questo titolo, che di fatto appare ben diverso dagli standard che solitamente il mercato propone. Proprio sotto questo aspetto dunque, l’elevato potenziale a disposizione degli sviluppatori si dimostra solo in parte ben sfruttato, tenendo conto che saranno sufficienti circa tre ore abbondanti per giungere alla fine della storia. Sicuramente pregevole l’impegno dimostrato dal team nell’affrontare unatematica sociale e culturale davvero importante, ma si sa che il giocatore di oggi è assai esigente e probabilmente non tutti riusciranno a comprendere o a farsi piacere qualcosa che solo superficialmente è un videogioco, ma che di fatto ha obiettivi molto più profondi dal punto di vista dell’interazione e della narrazione, con porte che potrebbero essere spalancate verso riflessioni più serie. L’esperimento può dunque dirsi parzialmente riuscito, ma speriamo sia solo un primo passo per provare a settare un nuovo standard videoludico, verso scelte che sicuramente potrebbero avvicinare anche coloro che ritengono un videogioco solo un passatempo non educativo.
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