In molti ne hanno parlato bene, anche noi alla gamescom ne siamo rimasti piacevolmente colpiti. Through the Woods, l’horror dello studio norvegese Antagonist, distribuito da 1C Company, vantava non poche nomination per un indie e poteva rivelarsi davvero un buon titolo. Poteva, perché così non è stato, e se nella demo le aspettative create erano comunque molto positive, vuoi anche solo per un’ambientazione un po’ diversa dai soliti luoghi sperduti vittime di outbreak di sorta, a quanto pare le carte migliori erano tutte lì. Calati gli assi, son seguiti solo due di picche.
Parole dure, forse dovute anche ad un’occasione davvero mancata che ha lasciato l’amaro in bocca, ma non prive di fondamento. Partiamo dall’inizio. Cos’è Through the Woods? Un’avventura horror in terza persona vissuta nella Norvegia occidentale attraverso gli occhi di Karen, una madre alla disperata ricerca del figlio Espen, apparentemente scomparso per mano di una misteriosa figura chiamata Old Erik. Già qui occorre fermarsi di fronte al primo dei numerosi problemi del gioco: una evidente crisi di identità.
Incapace di stabilire quale dei due aspetti enfatizzare di più, Through the Woods finisce col fallire un po’ da entrambi i lati ma in particolare dal punto di vista horror: laddove l’esplorazione può ancora funzionare, nel momento in cui si cerca la tensione Antagonist non ci riesce davvero. La storia si sviluppa in mezza giornata – dal tramonto all’alba, direbbe Tarantino – e durante la fase notturna si scatena la maggior parte di quegli effetti che, almeno sulla carta, avrebbero voluto essere di forte impatto; al di là di un buon comparto sonoro e di alcune scelte artistiche interessanti, però, tutto si risolve in un nulla di fatto anche piuttosto semplicistico, che nulla aggiunge all’esperienza complessiva e anzi contribuisce in parte a decostruire quella piccola, flebile parvenza di atmosfera.
I mostri sono sempre anticipati da un estratto a riguardo trovato in uno dei luoghi un tempo abitati, che li descrive e spiega, o fa intuire, come evitare di finirne vittima. Essere preparati di fronte a una minaccia è sempre buona cosa ma considerando la scarsità delle azioni di Karen (correre, accucciarsi, puntare la torcia), la ripetitività dello schema nota folkloristica-mostro, ma soprattutto la brevità e facilità di questi incontri, il risultato è una serie di sequenze dal ritmo troppo inconsistente per funzionare davvero: nessun nemico rappresenta una sfida, se escludiamo una sorta di stalker poco amante della luce che accenna ad instillare un vago senso d’ansia quando ci insegue, perché non c’è nemmeno il tempo di percepirlo come tale. Non permettere al giocatore di assimilare appieno la minaccia impedisce la persistenza di qualunque impressione, facendo sì che l’esperienza sia fine a se stessa o, ancora peggio, dimenticata in fretta.
Una delle supposte componenti base del gioco viene dunque a mancare in modo deludente, demandando alla sola avventura il non facile compito di risollevare l’asticella: un tentativo che, di nuovo, non possiamo apprezzare completamente. L’esplorazione è godibile e ben si lega alla raccolta di collezionabili, che svelano mano a mano gli eventi ineluttabili vissuti dalla popolazione, ma le ambientazioni risultano presto somigliarsi per buona parte della partita e la scarsità di sentieri alternativi, bloccati da muri invisibili nel bel mezzo del nulla, non concorrono poi molto ad accendere il nostro animo di treasure hunters.
Dopo il discutibile gameplay, è il turno di una nota ancora più dolente: il comparto tecnico. Come detto all’inizio, le impressioni positive derivate dalla demo ci avevano preparato a un prodotto, sulla carta, potenzialmente interessante, e sapere che fra i requisiti raccomandati era richiesta una GTX 960 lasciava davvero ben sperare. La realtà ci è letteralmente franata addosso nei panni di un framerate fisso a 25-30 fps nonostante l’uso di un preset medio-basso, che si rivela inguardabile quando si alza il livello delle impostazioni, portando l’unico elemento a disposizione di Karen – la torcia – ad essere odiato, per via di un ulteriore abbassamento delle prestazioni, se utilizzata; un aggiornamento al secondo giorno dal rilascio ha parzialmente risolto il problema per alcuni giocatori, ma noi, purtroppo non siamo fra questi. Vista la brevità del gioco, comunque, non si può dire che l’iniziale (ed atroce) performance sia stata un buon biglietto da visita.
E se tutto questo non fosse già abbastanza, vediamo affiancarsi come già detto un’occlusione ambientale scadente, la mancanza di un filtro antialiasing che rende i volti dei personaggi tagliati con l’accetta, e le animazioni pessime, per quanto riguarda le uniche due cutscenes del gioco, incapaci di trasmettere quel pathos e quel dramma che, soprattutto nell’ultima, dovrebbero essere ben presenti ma riescono solo a mozzare le gambe ai tentativi del gioco di emergere.
Through the Woods ha promesso molto e osato poco
Agganciandoci a pathos e drammaticità, chiudiamo questa recensione soffermandoci sulla narrazione. Anche questa purtroppo non sfugge alla lente e mostra come le idee ci fossero ma siano state approfondite poco e/o male: a partire proprio dalla protagonista, che sia per caratterizzazione sia soprattutto per doppiaggio impedisce ogni immersività. La narrazione in retrospettiva avrebbe potuto rappresentare un ottimo punto di forza, ma fallisce per la piattezza e la monotonia della voce, un problema che però non può trovare giustificazione nel fatto che (senza fare troppi spoiler) Karen sia un’antitesi della figura materna. È una donna meschina, fondamentalmente anaffettiva nonostante decida di andare alla ricerca del figlio, e un doppiaggio migliore, unito appunto alla narrazione retrospettiva avrebbe potuto renderlo un personaggio interessante; magari non un modello in cui rispecchiarsi ma proprio per questo motivo, per questo suo uscire da schemi positivi, un personaggio da ricordare, laddove ha invece annoiato, se non addirittura infastidito.
Il tentativo della storia di esplorare tre filoni diversi – Karen, il villaggio, Old Erik – cozza inevitabilmente con la durata esigua di Through the Woods, fornendoci un racconto scarsamente approfondito e del quale è difficile ricordare davvero qualcosa, considerate alcune forzature e il finale molto sbrigativo. Il folklore norreno, pilastro portante di una scrittura dove si riconosce l’ineluttabilità che in genere accompagna le narrazioni scandinave, apre un intero bacino di possibilità horror ma ancora una volta sembra che Antagonist si sia voluta tarpare le ali presentandoci poco o niente della sua immensa ricchezza.
Through the Woods è una promessa non mantenuta. Non è in lizza per il peggior gioco dell’anno, perché qualche aspetto positivo ce l’ha, ma nella sua incapacità di sfruttare, allargare ed approfondire quelle buone intuizioni su cui, in sede di anteprima, sembrava basarsi, tradisce le aspettative di quei giocatori che vedevano nel titolo di Antagonist una svolta interessante e appassionante all’interno del panorama horror, qualcosa che ne rendesse meritevole un prezzo non proprio basso. E questo è forse peggio. |
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