Da che mondo è mondo, nella stragrande maggioranza di film, romanzi e videogiochi, la parte del leone la fa il/la protagonista. Eppure ci sono personaggi secondari talmente carismatici ed interessanti da meritarsi uno spazio tutto loro nel cuore dei giocatori, al punto da guadagnarsi dignità propria con spin-off o espansioni, quando non opere intere. Tiny Tina’s Wonderlands è il perfetto esempio di questa affermazione: tutto nacque infatti da un DLC a tinte fantasy di Borderlands 2, con protagonista proprio la folle Tina.
Un esperimento curioso e parzialmente riuscito, al punto da spingere Gearbox a trasformarlo in un’esperienza con tutti i crismi, che parte da meccaniche e motore di gioco già visti e apprezzati nella serie principale, ma che compensa l’inevitabile sensazione di more of the same con qualche trovata intrigante, ma soprattutto con una scrittura sopraffina. Al punto da renderla davvero godibile, al netto di qualche difetto che però non inficia troppo sul risultato complessivo.
Il primo elemento di Tiny Tina’s Wonderlands a colpire è il contesto generale: siamo letteralmente i protagonisti di una campagna D&D (qui ribattezzato B&B, Bunkers & Badasses) giocata da Tina, Valentine (doppiato da Andy Samberg, il Peralta di Brooklyn Nine-Nine), il robot Frette (con l’iconica voce di Wanda Sykes, la Wanda di Curb your enthusiasm, giusto per citare uno dei tanti ruoli interpretati), e un personaggio guidato dal giocatore.
Narrazione e ritmo vengono dettati proprio da Tina, con eventi e location frutto della sua folle mente (e dei folli dev di Gearbox, s’intende), mille citazioni alla saga e a opere letterarie e videogiochi (no spoiler, ma aspettatevi anche qualche frecciatina a celebri franchise), un cattivo da annientare (il Signore dei Draghi, doppiato da Will Arnett, aka Bojack Horseman – ma soprattutto, G.O.B. di Arrested Development) e con un tabellone 3D in cui lattine fungono da montagne, gomme da cancellare si rivelano preziosi ponti e il percorso è interrotto da patatine e pop-corn dimenticati, strategicamente posizionati per giustificare un boss o una quest.
Tabellone che funziona da vero e proprio over-world, una trovata studiata per dare un’impostazione da GDR più classico a un gameplay però estremamente debitore dallo shooting in prima persona classico di Borderlands e connettere tra loro le varie arene e dungeon in cui ci addentreremo.
Non mancano nemmeno gli incontri casuali à la JRPG, se possibile però ancor più sfiancanti, essendo vere e proprie mini-orde di nemici da affrontare in location sempre uguali ed estremamente ripetitive, utili per accumulare punti di esperienza, ma evitabili con un attacco meelee ben assestato al momento giusto prima di iniziare lo scontro.
A proposito di attacchi meelee, nonostante il contesto fantasy non la faranno da padrone: pur presenti, restano inevitabilmente le armi lo strumento di offesa principale, con curiosi ibridi di armi più moderne e design fantasy (pistole a forma di balestre, baionette piazzate un po’ ovunque etc), e proiettili via via più folli, da sfere di energia a pesci fetidi che avvelenano… o balestre che sparano balestre. La differenza più grande però è nell’assenza delle granate, qui rimpiazzate da dei potenti incantesimi di vari elementi e tipologia, da proiettili energetici a veri e propri meteoriti di fuoco e ghiaccio da scagliare su orde di nemici. Possibilmente da alternare con una abilità speciale legata a ognuna delle 6 folli classi (dal Domartiglio dotato di fida viverna al Brr-serker), oppure optando per lo Sparamagie, accentrando totalmente il proprio stile di gioco sulle magie con doppio lancio e conseguenti combinazioni realizzabili. Se avete giocato Borderlands, comunque, il look & feel dell’esperienza è esattamente il medesimo, con un gunplay veloce e fluidissimo, solo traslato in salta un po’ più fantasy e medievaleggiante.
Un discorso applicabile tanto al sistema di crescita, qui però più centrato sulle classi e sulla possibilità di sbloccare una seconda classe (con l’immancabile grado Mito raggiunto al livello 40, che porta a sfumare ancora di più il grado di personalizzazione delle stat nell’end-game), quanto all’art style, identico sul fronte tecnico ma completamente distante dalle atmosfere sci-fi della saga madre. Gli aridi pianeti e gli avamposti alieni sono stati infatti rimpiazzati da foreste incantate, borghi e castelli, prigioni pullulanti di teschi zombi, funghi assassini, arpie e ciclopi che vanno a sostituire gli Psycho e i banditi vari (pur mantenendone lo stesso parco animazioni e, vagamente, la fisionomia). Meno convincente è invece il nuovo level design, più confusionario e frammentato rispetto al passato, oltre che reiterato forse troppo, con location riproposte fin troppe volte, o strutture dei dungeon poco organiche, il tutto, purtroppo, con la sensazione di voler allungare il brodo.
Il più grande difetto di Tiny Tina’s Wonderlands sta nel non riuscire ad osare abbastanza da guadagnarsi una sua piena identità
E il più grande difetto di Tiny Tina’s Wonderlands sta proprio lì, nel non riuscire ad osare abbastanza da guadagnarsi una sua piena identità, accontentandosi si risultare, quello sì, assolutamente godibile e divertente, da giocare e da fruire, grazie a una scrittura brillante ricca di battute, gag, giochi di parole in grado di strappare più di un sorriso, colpi di scena, eventi apparentemente improvvisati come in una vera e propria avventura D&D alterata da qualche birra di troppo da un master poco preparato, e una generale coerenza, che dimostra che chi ha scritto le tante piccole storie che compongono la trama principale sa di cosa sta parlando e ha passato ben più di una sera a lanciare dadi (tra l’altro, uno dei vari collezionabili sparsi qua e là per l’over-world e le singole mappe). Ma la ripetitività di nemici, struttura delle quest e location, sul lungo termine, rovinano parzialmente l’esperienza, stemperata in caso di co-op, anche sullo stesso divano, ben più faticosa in completa solitudine.
E ci si mette poi una user interface davvero mal congegnata, che rende il tutto ancor più confusionario, con una genuina difficoltà nel capire bonus ed effetti di ognuno dei singoli oggetti che compongono l’arsenale, la cui comprensione richieste qualche schermata e tasto di troppo. Oltre a una instabilità del frame-rate, anche su Xbox Series X e in modalità prestazioni, come da noi testato in sede di recensione.
Tiny Tina’s Wonderlands è un ottimo spin-off di una fantastica saga, che diverte e intrattiene per decine e decine di ore, anche senza avere una conoscenza enciclopedica della saga originale, ma che rischia parzialmente di deludere sia i neofiti che i fan della prima ora per tutta una serie di difetti che, sul lungo termine, intaccano l’esperienza: stiamo parlando di qualche problema tecnico (user interface in primis, ma anche il frame-rate ballerino), ma soprattutto, di un’estrema ripetitività e un riciclo di asset che, specialmente in solitaria, rischiano di appesantire la fruizione dell’avventura, di per sé assolutamente ben scritta e a tratti geniale, oltre che, nel complesso, assuefacente, tra il gunplay collaudato preso in prestito da Borderlands, qualche intrigante novità (gli incantesimi che sostituiscono le granate) e tutta una serie di quest e side-quest dalle storie fuori di testa. I fan della saga targata Gearbox non se lo devono lasciare sfuggire, questo è poco ma sicuro, ma è un peccato, perché con uno sforzo in più staremmo parlando di uno dei titoli più interessanti del 2022. |