25 Gen 2017

Tom Clancy’s Ghost Recon Wildlands – Anteprima

Cambiare non è mai facile. Innovarsi, o rinnovarsi in questo caso specifico, è un obiettivo da ricercare a passi ne troppo piccoli ne troppo grandi; chi non risica non rosica ma anche il troppo stroppia, nella fiera delle frasi fatte. Lo sa bene Ubisoft, che con Ghost Recon Wildlands porta il franchise ad affrontare per la prima volta la delicata realtà dell’open world: la decima installazione della serie ispirata, come a loro volta Splinter Cell e Rainbow Six, ai romanzi dello scrittore statunitense Tom Clancy abbandona infatti il contesto futuristico di Ghost Recon Future Soldier per ritornare a una ambientazione odierna, una decisione non lontana da quella per il titolo pioniere nel lontano 2002.

Teatro degli scontri si rivelerà la Bolivia, una terra selvaggia e dalle infinite sfumature, vibrante, ricca di vita, un luogo pacifico nel quale le tradizioni hanno ancora un forte significato e gli dei vegliano sugli uomini… almeno fino al giorno in cui voltano le spalle cedendo il passo a un nuovo messia, portatore di un’era scritta col sangue, la violenza, la coercizione. La morte. El Sueño non è un santo e nemmeno un dio, solamente un uomo che ha lastricato la propria strada sulle vite degli altri, guidato da un codice che di morale ha ben poco ma non tollera il mancato rispetto verso se stessi; un uomo sotto la cui guida il cartello della droga noto come Santa Blanca è passato in poco tempo da essere “lo spacciatore dietro l’angolo” a un esponente del narco-terrorismo, al punto da richiamare l’attenzione dei servizi segreti statunitensi – anche e soprattutto per l’arroganza derivata dall’impunità. Non puoi infrangere alcuna legge, se quella stessa legge sei tu a dettarla.

Ormai centro nevralgico dove convogliano tutti gli aspetti legati alla droga, la sola speranza per la Bolivia è una controffensiva invisibile ma letale: per sconfiggere la Morte, nessuno è meglio degli Spettri. Conosciuta appunto come Ghost, l’unità elitaria delle forze speciali è composta da persone che ufficialmente non esistono e, affidandosi alla propria eccellenza, dovranno soltanto in quattro, porre fine all’impero criminale di El Sueño seguendo l’approccio che voi giocatori, in completa libertà, deciderete di adottare.

Partiamo dall’aspetto che più ci ha colpito nella sessione hands-on: il contesto. Guidata dall’ammirevole ambizione di ricostruire il brand Ghost Recon, Ubisoft offre dopo cinque anni di sviluppo l’open world più grande mai realizzato dalla compagnia: pensato per essere gestito a discrezione dell’utente, da solo o in co-op fino a un massimo di quattro giocatori, il territorio boliviano si estende per chilometri e chilometri. Parliamo di oltre 21 province divise in 11 ecosistemi diversi, il che significa una diversificazione non indifferente in termini di gameplay e conduzione delle missioni a seconda che ci si trovi in zone desertiche, nelle saline, sulle montagne innevate o circondati da atmosfere rurali; una realtà reattiva dunque e dotata di vita propria, dove gli npc seguono una personale routine contribuendo ad arricchire un’ambientazione già di per sé immersiva fin dal primo impatto, con una resa visiva ottima anche sulla lunga distanza e forse appena più carente durante l’uso dei velivoli, dove i dettagli vanno un po’ a perdersi, ma nel complesso portavoce dell’impegno di Ubisoft.

La totale libertà di esplorazione è perfettamente retta dal secondo pilastro portante del gioco, ovvero il cartello di Santa Blanca menzionato in precedenza. Tratteggiata con il realismo che caratterizza le stesse nella vita reale, l’organizzazione segue una struttura gerarchica che vede al suo vertice il carismatico e feroce El Sueño, sotto il quale si diramano i quattro aspetti fondamentali della gestione di Santa Blanca, gestiti da altrettanti luogotenenti e seguiti ciascuno da una ramificazione di cellule minori eppure essenziali per lo smantellamento metodico del nemico. Non basta tagliare le teste dell’idra, bisogna cauterizzare. La presenza di così tanti obiettivi sensibili, più o meno rilevanti, spinge il giocatore da una parte all’altra della Bolivia senza che ci sia una vera e propria forzatura o non sia una dipendenza dovuta solo ai collezionabili: è vero che per arrivare al capo dei capi occorre principalmente colpire i quattro nodi di controllo del mercato, quindi l’influenza sul territorio, la produzione, il traffico e la sicurezza (nota come l’area più militarizzata del cartello), ma è parimenti vero che non sarebbero gestibili senza una progressione del personaggio sia in termini di abilità sia equipaggiamento, tutti elementi perfezionabili.

Nel buio oltre la siepe, Ubisoft dimostra di volerci vedere bene.

La customizzazione è un altro aspetto ricco di Ghost Recon Wildlands, che presenta entrambe charactersmith e gunsmith per una personalizzazione a trecentosessanta gradi del proprio soldato attraverso una vasta gamma di scelte; un gradito dettaglio che ci è balzato all’occhio rispetto ad esempio al più recente The Division, o forse sarebbe meglio dire all’orecchio, è il doppiaggio per il nostro avatar, qualcosa che concorre a dare l’idea di una figura ben più integrata tanto nel mondo quanto nella squadra, slegandola dal ruolo di marionetta muta e/o inespressiva – sebbene l’espressività sia ancora un poco acerba. Si aggiungono a questo numerosi veicoli legati al concetto che qualsiasi cosa pilotabile possa essere utilizzata e laddove appartenga a qualcuno, si applica la tecnica di El Sueño: ciò che non è mio, ora lo diventa. Giocando da soli è obbligatorio essere il conducente, ma si può ordinare alla squadra di eseguire un assalto dal mezzo in movimento, mentre nel caso di più giocatori il ruolo può essere ricoperto da chiunque lasciando agli altri il ruolo di passeggeri/attaccanti. Non dimenticate che come potete disporne voi, anche e soprattutto il nemico ha completa padronanza dei veicoli. Perciò nel caso attiraste troppa attenzione, non lamentatevi poi se verrete inseguiti da un’auto, una camionetta armata o addirittura un elicottero! Le truppe del nuovo profeta sono sempre di pattuglia.

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Le sessioni, single e multiplayer, ci hanno offerto una prospettiva differente per Ghost Recon Wildlands e in particolare la seconda ha reso evidente il netto divario, in positivo, che sussiste nell’affrontare le missioni da soli o in compagnia di amici (oppure tramite matchmaking) ed enfatizzato l’aspetto tattico del gioco, permettendo una varietà di approcci che in single player – nonostante il valido supporto dato dall’intelligenza artificiale alleata e dalla sua gestione – non avrebbero per forza di cose la stessa efficacia. Quasi la sensazione di giocare a due titoli diversi e in questa sempreverde freschezza, nella non linearità che è comunque alla base del nuovo capitolo a prescindere dalla modalità, vediamo una vittoria e, noi speriamo, un multiplayer di successo. Si può passare in qualsiasi momento da single a multiplayer ma tenete a mente che una volta tornati alla vostra esperienza in solitario, se siete stati ospiti di una partita, porterete con voi solamente la progressione del personaggio: eventuali luoghi scoperti o missioni completate non verranno conteggiate come tali.

L’open world più grande mai realizzato da Ubisoft

In conclusione, Ghost Recon Wildlands è un titolo interessante sotto molti punti di vista. Non è un’innovazione, anzi possiamo dire che si mantiene molto sul classico e presenta qualche imperfezione come una IA nemica non particolarmente brillante, ma riconosciamo e apprezziamo l’intenzione con questa operazione di “tastare il terreno”, procedendo senza bruciare le tappe né rimanere indietro. In attesa del 7 marzo, e della nostra dettagliata recensione che precederà l’uscita, questa prova ci ha lasciato soddisfatti e con una certezza in particolare: nel buio oltre la siepe, Ubisoft dimostra di volerci vedere bene.


 

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