Transference

Transference – Recensione

Partorito dalla mente di Elijah Wood assieme ai registi Daniel Noah e Josh Waller, e annunciato durante l’E3 del 2017, Transference è finalmente arrivato sui nostri dispositivi. Ma di cosa si tratta? Definire il lavoro di SpectreVision come un mero videogioco non rende giustizia all’esperienza offerta da Transference, che si pone il difficile obiettivo di essere ponte fra esperienza cinematografica e media videoludico. Lo so, ci hanno già provato in tanti prima e con risultati abbastanza discutibili. Ubisoft e SpectreVision ci sono invece riusciti? Solo in parte. Più che una risposta semplice e diretta a questa domanda occorre analizzare per bene il gioco e i suoi attori, entrando nel mondo inquietante e anche vagamente schizofrenico di Transference.

Il titolo del nuovo gioco Ubisoft prende il nome da un meccanismo mentale studiato in psicologia e conosciuto come traslazione (o transfert), secondo il quale un soggetto sposta diversi schemi di sentimenti, pensieri, emozioni e sensazioni da una relazione importante del suo passato addosso a una persona importante nel suo presente contemporaneo. Questa premessa si ricollega alla scoperta di Raymond Haynes, protagonista di Transference, che è riuscito a trovare un modo di analizzare la coscienza umana trasformando gli impulsi cerebrali in una rappresentazione renderizzata in digitale, liberamente esplorabile grazie alle tecnologie di realtà virtuale. Sulla carta, questo incredibile traguardo medico potrebbe portare a una svolta nella psicanalisi e nella psichiatria, permettendo ai medici di comprendere i disagi dei pazienti entrandogli direttamente in testa. Nella pratica però, qualcosa è andato terribilmente storto.

 

 

Il nostro studioso ha deciso infatti di sperimentare la sua incredibile tecnologia sulla sua famiglia, e i risultati sono stati particolarmente devastanti. Voglio rimanere intenzionalmente sul vago per quanto riguarda il comparto narrativo, perché oltre alle informazioni che già vi ho elencato aggiungere altro significherebbe in qualche modo rovinarvi l’esperienza pensata da SpectreVision, che punta tutto proprio sulla sceneggiatura e le vicende della famiglia Haynes, da ricostruire enigma dopo enigma praticamente a discrezione del giocatore. La trama di Transference non è affatto una storia semplice e lineare, ma va scoperta, strato dopo strato, immergendosi nella distorta psiche di Raymond e la sua proiezione di suo figlio Benjamin e sua moglie Katherine.

Non voglio aggiungere niente altro, ma sappiate che ciò che accade su Transference vi rimarrà nella testa per parecchio tempo. Non aspettatevi però un vero e proprio horror, perché Transference è molto più vicino a Firewatch e The Vanishing of Ethan Carter piuttosto che non a un Resident Evil qualunque. La maggior parte del gioco la passeremo infatti a camminare e a risolvere enigmi, senza muoverci mai dalla inquietantissima magione della famiglia Haynes. Anche i jumpscare sono limitatissimi, e non vi faranno balzare dalla sedia per più di due o tre volte durante tutta la vostra prima run.

La trama di Transference non è affatto una storia semplice e lineare

Il gameplay di Transference è piuttosto essenziale: l’intera esperienza di gioco si svolge in prima persona, camminando e risolvendo enigmi via via più complessi per procedere alla “stanza successiva”. Durante la nostra esplorazione degli ambienti avremo modo di raccogliere ed esaminare vari oggetti e cercare alcuni video nascosti (una sorta di versione primordiale dei collezionabili ai quali siamo più abituati) grazie ai quali potremo avere più indizi per risolvere il puzzle della famiglia Haynes. Non si può correre né sparare, colpire qualcosa o qualcuno. L’unica possibilità che ci viene data è quella di camminare con calma e immergerci senza fretta nella casa degli Haynes. L’esperienza di gioco migliora vertiginosamente se in casa possedete un Oculus Rift, un HTC Vive o un PlayStation VR: esplorare gli ambienti offerti da Transference in realtà virtuale aggiunge ulteriore profondità al racconto di SpectreVision, complice anche un comparto audio davvero ben realizzato che vi farà letteralmente immergere in questa strana e inquietante avventura.

transference

C’è da dire che Transference non vi permetterà mai di rimanere tranquilli e beati ad ammirare la ricostruzione digitale della casa degli Haynes; Ubisoft e SpectreVision hanno deciso di inquinare costantemente la mente del giocatore con un’ambientazione carica di ansia, sofferenza, luci che vanno e vengono, scritte inquietanti, rumori vari, richieste d’aiuto e altre cose inquietanti che sembrano uscite da una puntata di Twin Peaks o dallo Shining di Stephen King. Forse tutto questo “rumore mediatico” è fin troppo, e a volte vi ritroverete a detestare il gioco e a voler staccare tutto e dedicarvi ad altro.

Non ho ben compreso se questa costante sensazione di disagio fosse voluta dagli sviluppatori o meno, ma resta il fatto che bisogna farci i conti per tutta la durata del gioco, che può variare da circa 90 minuti fino a quasi tre ore, a seconda della velocità con la quale risolverete gli enigmi proposti dal gioco. Anche sul fronte della rigiocabilità Transference non offre moltissimo rispetto alla prima run: oltre a cercare i sopracitati video nascosti, non ci sono molti altri motivi che vi possono spingere a riprendere in mano il lavoro di SpectreVision.

Con Transference, Ubisoft e SpectreVision inquinano costantemente la mente del giocatore

Il nuovo lavoro di Ubisoft non sorprende particolarmente per una realizzazione tecnica degna di nota. Transference è abbastanza gradevole alla vista ma non c’è nulla che faccia gridare particolarmente al miracolo: su PC il gioco offre un comparto grafico in linea con la media dei titoli semi-indipendenti, senza stupire il giocatore. Qualche compenetrazione poligonale piuttosto fastidiosa e qualche incertezza in modalità Oculus VR penalizzano un po’ l’esperienza finale offerta da Transference (in particolar modo l’esperienza con i due controller di Oculus risulta essere particolarmente frustrante, specie se dovete raccogliere un oggetto in basso o interagire con l’ambiente circostante). Quello che invece è davvero notevole è l’intero comparto audio: qui si vede l’esperienza e le grandi capacità dei cineasti, che hanno saputo giocare con suoni, canzoni e parole per comporre un mosaico musicale coerente con l’ambientazione, particolarmente evocativo e sicuramente immersivo.

Conclusioni

Transference non è un gioco per tutti; se cercate un’esperienza adrenalinica o anche solo leggermente più frenetica, il titolo di Elijah Wood e dei registi Daniel Noah e Josh Waller non fa assolutamente per voi. Calarsi nell’esperienza pensata da SpectreVision richiede pazienza e anche una buona dose di dedizione, nonostante duri circa due ore e mezza. Dovete essere consci che state per affrontare una sorta di esperimento, esattamente come è accaduto alla famiglia di Raymond Haynes.

Se affrontato in questo modo, il pacchetto di esperienze offerto da Transference potrà piacervi anche parecchio, grazie a una storia mai banale e a un comparto audio davvero incredibile. Inoltre, se possedete un visore VR Transference darà il meglio di sé, facendovi letteralmente immergere nella mente di qualcun altro. Insomma, per essere il primo lavoro di SpectreVision, Transference riesce quantomeno a convincere, ma è chiaro che per arrivare all’eccellenza in questo medium non basta essere validi registi o bravi attori, e la strada per la vetta è ancora lunga.

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