News 12 Lug 2014

Transformers: Rise of the Dark Spark – Recensione

Moltissimo tempo fa i ragazzi come me, classe 1987, ebbero la possibilità di mettere le mani su alcuni dei giocattoli più belli mai creati, robot che con semplici movimenti, effettuati da chi li stava utilizzando, erano in grado di cambiare totalmente la loro forma e passare dall’aspetto umanoide a quello di semplice veicolo. Che si trattasse di una semplice auto sportiva, di un elicottero o di un carro armato, si poteva attingere dalla propria fantasia in modo da creare scenari di gioco praticamente infiniti: scene di combattimento o gare di veicoli che fossero, l’immaginazione la faceva da padrona e non serviva null’altro. Poi, qualche anno fa, ci fu l’annuncio dell’uscita del primo film riguardante questi fantastici robot e fu subito amore per tutti coloro che si sentivano troppo cresciuti per tornare a spolverare il proprio scatolone dei giocattoli, dimenticato chissà dove, e avevano abbandonato involontariamente i ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza.

Ai film seguirono, ovviamente, videogame basati su di essi: riscuotendo un successo non proprio eccelso, confermarono ancora una volta la regola che i titoli ufficiali sviluppati su licenza non hanno mai lo stesso impatto di altri titoli creati di sana pianta, ma che piuttosto sono semplici macchine da soldi che sfruttano l’onda del momento e l’hype passeggero, che si insinua puntualmente nell’animo di tutti coloro che hanno da poco visionato il film in questione o che hanno intenzione di recarsi nelle sale cinematografiche. Sto parlando dei Transformers, di Rise of the Dark Spark, l’ultimo capitolo distribuito da Activision e sviluppato da WayForward Technologies, e della mia voglia di giocare questo videogame con totale ottimismo, sperando che la “maledizione” che affligge i titoli d’accompagnamento ai film venga spezzata.

Siamo sulla Terra, tra le macerie di alcune città devastate e completamente evacuate, quando succede quello che tutti gli umani temono: lo schianto di un corpo celeste non identificato. Non si tratta di un asteroide che causerà l’estinzione del genere umano o di una stazione orbitale attratta dalla forza di gravità perché troppo vicina all’atmosfera, ma della Dark Spark, un oggetto creato su Cybertron, pianeta natale dei Transformers, in grado di dare enormi poteri a chi la possiede. Ovviamente non è da precisare che il cattivo di turno è dietro l’angolo, pronto a impossessarsene…

Subito mi viene proposto un tutorial che, a conti fatti, occuperà tutto il primo capitolo, ambientato in una città completamente devastata da chissà quale guerra. Tra uccisioni obbligatorie per impratichirsi con i comandi, la frustrazione di non potersi immediatamente trasformare in veicolo, feature disponibile solo dopo parecchi minuti, e l’utilizzo dell’abilità che possiede il mio Autobot, Driftla noia giunge veloce nella ricerca di questa Dark Spark, come la falce del Tristo Mietitore su una persona in fin di vita che si accorge, all’ultimo, di quanto sia poco il tempo a disposizione. Questo paragone, per quanto possa risultare esagerato o brutale, è perfetto per spiegare il funzionamento delle prime fasi del gioco, durante le quali l’eccitazione dovuta al lancio del gioco scema in maniera repentina per la poca cura applicata nella realizzazione del titolo.

Essendo un videogame con protagonisti alcuni robot alti cinque volte un umano e pesanti giusto un paio di decine di tonnellate, subito si presenta nella mia mente una domanda legittima: sarà possibile schiacciare gli oggetti passandoci sopra con i miei pesanti piedi metallici? La risposta è sì, ma non con l’effetto sperato. Moltissimi oggetti come auto, container e staccionate metalliche risulteranno praticamente immuni al vostro passaggio, rimanendo integre come se le leggi fisiche non esistessero. Di norma, se un corpo letteralmente enorme si scaglia su un oggetto molto fragile o ci passa sopra, esso si frantuma, si piega, si scompone o, come preferisco, esplode.

In Rise of the Dark Spark, ribadisco, non succede nulla di tutto questo: saltando sopra un auto essa non si piega, impattando contro una recinzione di metallo essa non si frantuma, urtando violentemente un bus esso non si scompone e non si sposta di un solo centimetro. Ogni singolo elemento che vedrete su schermo sarà solo ed esclusivamente ornamentale, messo in mezzo al campo di battaglia giusto per abbellirlo un po’, regalando a chi impugna il pad una sana sensazione di frustrazione e di impotenza. Potrebbero anche sembrare sciocchezze agli occhi dei più, ma con le console messe a disposizione in questi anni e l’enorme potenza di calcolo che possiedono, si poteva affinare questo aspetto, siccome, come Godzilla insegna, non c’è nulla di meglio che essere enormi e distruggere tutto ciò che ci circonda. Questo esempio di come non si applica la fisica, purtroppo, vale anche per i nemici: vi capiterà di colpire un avversario in corpo a corpo, con la pressione del tasto dedicato che coincide con quello del controllo dell’ipersensibile telecamera, e vederlo schizzare in aria come se una forza invisibile l’avesse colpito dal basso, rendendo il tutto prima divertente, poi semplicemente ridicolo.

Le prime impressioni, e i primi brividi, citati poco sopra potrebbero, e dovrebbero, passare in secondo piano se comparati ad un aspetto che acquista sempre più valore negli anni, ovvero la grafica: se su schermo si potesse ammirare qualche effetto di luce ben curato, o chi per lui, unito ad un ambiente di gioco stimolante e coinvolgente, la fisica e le ridicolezze sparirebbero senza lasciar traccia, ma in Rise of the Dark Spark sembra che tutto faccia da contorno alla parola “mediocre”.

Gli edifici, terrestri o Cybertroniani che siano, le strade, i veicoli e i campi di battaglia in genere sembrano essere creati solo ed unicamente per dare al giocatore un posto in cui muovere il proprio Autobot o Decepticon, con texture (per l’appunto) mediocri che, spesso e volentieri, vengono caricate faticosamente, dando tutto il tempo al giocatore di chiedersi perché, nel 2014, si trovano ancora livelli grafici ambientali al pari di Grand Theft Auto III. Se uniamo a tutto questo discorso il fatto che l’azione, se così la si può definire, viene spesso interrotta da un freezing temporaneo dello schermo e l’odiata parola “Caricamento” in un angolo, si può facilmente immaginare quanto il gameplay ne risenta, portando il videogiocatore a pensare se vale veramente la pena andare avanti o uscire con gli amici per prendere un caffè. O un superalcolico, per distruggere il pensiero di aver speso troppi soldi per un gioco da prima Xbox o PlayStation 2.

Come se le pecche grafiche non bastassero a minare l’integrità strutturale del videogame in questione, ci si mettono d’impegno entrambe le fazioni e l’IA correlata. A parte me stesso, davanti allo schermo con il pad in mano, che tento di fare del mio meglio per sopravvivere in una giungla di comandi poco intuitivi, che talvolta mi tocca utilizzare tre volte per effettuare una singola azione, sia i nemici che i miei compagni meccanizzati si comportano in maniera agghiacciante. Da un lato abbiamo la fazione avversaria che si mette spesso al riparo dietro ad oggetti inesistenti, forse dotati di una mimetica ottica al pari di quella di Solid Snake, oppure ci corre incontro ad armi spianate, sfruttando il pessimo bilanciamento della difficoltà di gioco che favorisce, con qualsiasi impostazione, sempre il nemico, soprattutto nel quantitativo di danni inflitti, mentre dall’altro lato l’Intelligenza Artificiale alleata muove, o dovrebbe muovere, i compagni d’arme senza alcuna logica, facendogli addirittura dimenticare di aprire il fuoco contro un nemico a venti centimetri dal loro naso meccanico.

Non rimane che cercare un po’ di salvezza nel multiplayer, che solitamente in un videogame con visuale in terza persona fa storcere il naso al pubblico, in quanto o è bilanciato molto bene, rinfrescando così il gameplay e invogliando l’investimento in ore di un giocatore, oppure abbatte ancora di più gli animi, mettendo definitivamente la parola “bocciato” sul titolo, in quanto ennesimo disastro da aggiungere all’elenco.

Questa sezione, chiamata Escalation, mette a disposizione del player svariate mappe, che potranno essere giocate insieme ad un massimo di altri tre compagni, nelle quali si dovranno affrontare diverse ondate di nemici pronte a ballare sulla nostra tomba. La scelta dei Transformers da utilizzare è molto ampia e, sinceramente, appagante, ma la semplicità tattica adottata dagli avversari li rende estremamente facili da bersagliare, trascinando, ancora una volta, il divertimento verso il baratro della mediocrità.

Benché ci siano svariate difese attivabili dal giocatore, si capirà ben presto che questi elementi sono sul campo di battaglia come puro escamotage per far girare il tutto, in modo da evitare che il party che affronta le ondate si fossilizzi in un punto della mappa immobile, in attesa. Se la matematica non è un’opinione, 1+1 fa sempre 2, quindi noia+noia crea sempre noia mortale, non c’è altro modo di spiegarlo.

In conclusione…

Che si tratti di videogiocatori “giovani”, che si sono avvicinati a questo mondo solo grazie ai film usciti qualche anno fa, o “anziani”, come me, che portano ancora dentro ricordi felici di pomeriggi passati all’insegna di superbattaglie tra robot,  Transformers: Rise of the Dark Spark non riesce a far presa in nessun ambito, mettendo la parola “noia” al primo posto della scala emotiva.

Passerà la voglia di giocare e la voglia di approfondire la trama, così come sparirà l’idea di cimentarsi nel multiplayer per dare qualche merito ai propri Autobot o Decepticon, sminuiti e poco curati da questo team di sviluppo che ha sfruttato le licenze ufficiali per tirare fuori un videogame fatto di aria, che nemmeno su Next-Gen o PC di fascia altra riesce a dare soddisfazioni di alcun genere.

La maledizione dei videogame su licenza continua… purtroppo.

Voto: 4/10

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