09 Mag 2016

Uncharted 4: Fine di un Ladro – Recensione

C’è una cosa di cui, a distanza di anni, finisco sempre per parlare con un vecchio amico: come, nel lontano 2007, l’arrivo di Uncharted: Drake’s Fortune su PlayStation 3 avesse dato un senso alla locuzione “next generation”. L’arrivo di Nathan Drake, istrionico cacciatore di tesori dall’animo gentile e dai modi non sempre così morbidi, non solo rivitalizzò in modo evidente il microcosmo dell’action in terza persona, ma diede un assaggio di quello che, nella passata generazione, l’ammiraglia Sony sarebbe stata in grado di fare. La foresta con le sue fronde mosse dal vento, le ombre dinamiche proiettate al suolo, quelle cascate così alte da levare il fiato: tutti elementi che, gli aspiranti esploratori di casa PlayStation, ricorderanno sicuramente. A distanza di nove anni, ironia della sorte, le premesse di Uncharted 4: Fine di un Ladro non sembrano essere cambiate di molto. Cambia l’ammiraglia, stavolta PlayStation 4, e cambia la scala del pubblico in trepidante attesa del nuovo capitolo, divenuto un esercito impaziente di proporzioni titaniche: ed è altresì impossibile non notare come cambi, o forse è davvero il caso di dire evolva, anche la ricetta originaria del franchise, testimonianza dell’assoluta maestria dei ragazzi di Naughty Dog. Un cammino di crescita durato un decennio, che a suon di avventure memorabili da levare il fiato e sonori sganassoni culmina in quello che, forse, è l’epilogo più atteso – grazie anche ad un paio di rinvii – a memoria di giocatore.

Già, Uncharted 4. La fine di un ladro, come recita quella laconica tagline: attesissima e chiacchieratissima, l’ultima fatica di Naughty Dog non ha fatto altro che parlare di sé già dai minuti successivi l’annuncio ufficiale, accompagnato da un gameplay trailer (mostrato in occasione dello scorso E3) capace di far precipitare le mascelle anche al giocatore più scafato. Per carità, stiamo pur sempre parlando dei creatori di un capolavoro assoluto come The Last of Us, ma quanto osservato nella giostra di annunci e trailer che si sono susseguiti negli ultimi mesi lasciava intendere un messaggio ben chiaro: dopo Uncharted 4: Fine di un Ladro nulla sarebbe stato più lo stesso. Perché è arrivato il tempo di guardare oltre, come dichiarato dallo stesso sviluppatore, e per quanto male possa fare, ad un certo punto, è necessario scrivere la parola fine. Basta farlo nel migliore dei modi possibili: e inutile dirvelo, anche questa volta Naughty Dog ci è riuscita.

Ad un certo punto, è necessario scrivere la parola fine. Basta farlo nel migliore dei modi possibili: e anche questa volta Naughty Dog ci è riuscita.

Non appena inserirete il disco di Uncharted 4 nel lettore di PS4, fareste bene a tenere a mente un nome: Neil Druckmann. Di origini israeliane, classe ’78, curriculum a dir poco invidiabile e, piccola nota a margine, creative director di The Last of Us: un elemento niente male alle redini della sceneggiatura dell’ultimo tassello delle gesta di Drake, che nonostante il brusco cambio di ambientazioni e tematiche trattate riesce a imprimere in modo decisivo il proprio tocco all’interno della narrazione. Un tocco che, ve ne accorgerete da subito, vale l’intero prezzo del biglietto: perché ok, Uncharted 4 è la quintessenza dell’avventura digitale, come vedremo a breve. Ma ogni personaggio e ogni sua storia personale sono trattate con intimità, delicatezza, con una componente emotiva dirompente che, in talune situazioni, riesce a mettere in secondo piano persino il fine ultimo di quest’avventura. Basta osservare il Nathan dei primi minuti, insoddisfatto da una vita “normale” lontana da cacce al tesoro, arrampicate e sparatorie, che per esorcizzare il proprio passato gioca al bersaglio in soffitta con una pistola di gomma. Un leone in gabbia, che vuole regalare alla moglie Elena una quotidianità senza tombe da profanare sparse per il mondo, nonostante il cuore dica tutt’altro.

Tutto questo senza dimenticare Samuel Drake, fratello maggiore di Nate, dato per morto una quindicina di anni prima in una prigione di Panama, quando una raffica di proiettili gli impedì la fuga ad un passo dalla libertà. Il tutto sotto gli occhi di un giovane Nathan, da allora incapace anche solo di riguardare le vecchie foto dei due fratelli o di indossare quel giubbotto di jeans che, ai tempi dell’orfanotrofio, gli venne regalato. Dettagli dunque, piccole scene di normale ordinarietà che si alternano a vecchi ricordi, fotogrammi mai dimenticati e sensi di colpa impossibili da sopire. Un’evoluzione non certo indifferente nell’economia narrativa del franchise, che pur senza raggiungere i livelli di male esistenzialista presente nel titolo di Joel e Ellie dimostra di aver raggiunto una maturità propria e per certi versi inedita. Drake è sempre quel casinista irriverente dal grilletto facile, nonostante il triennio di inattività che separa questo capitolo dal precedente: ma è un uomo, con i suoi dubbi e perplessità. Ed è proprio questa umanità dei personaggi ad elevare ulteriormente una sceneggiatura, già di per sé, spettacolare.

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Senza incappare in pericolosi spoiler, Uncharted 4: Fine di un Ladro inizia da lontano, dall’infanzia difficile del suo protagonista, riproponendo alcune delle tappe cruciali nella definizione del carattere – e del “lavoro” – di Drake. Il tutto fino ad arrivare ai giorni nostri, quando Nathan ha messo al chiodo pistola e taccuino per dedicarsi alla propria giovane moglie e ad una vita come tutti gli altri, con un lavoro avaro di soddisfazioni e di emozioni e un futuro da cui è difficile aspettarsi grandi cose. Almeno fino a quando il passato torna preponderante come un pugno sullo stomaco e assume le sembianze di tuo fratello, messo alle strette da un narcotrafficante senza scrupoli che esige un enorme dazio per pareggiare un conto aperto. Tocca dunque mentire ad Elena, contattare nuovamente quella macchietta di Victor Sullivan e partire a bordo del suo aereo, in giro per i quattro angoli del pianeta alla ricerca del tesoro del pirata Henry Avery. Quel tesoro famigerato che, quindici anni prima, popolava i sogni dei due fratelli e, nella sua disperata ricerca, finì per costare molto caro ad entrambi. Lo stesso tesoro sulle cui tracce si trovano mercenari senza scrupoli e vecchi “amici” dagli intenti poco nobili: nulla che possa spaventare due teste calde come i fratelli Drake, anche se l’impresa, questa volta, pare essere irraggiungibile.

Posto che non diremo più anche solo una parola inerente all’ottima trama di Uncharted 4, vale la pena sottolineare come il rapporto tra i due fratelli rappresenti una costante per tutta la durata del playthrough: non solo sarà possibile attivare dei dialoghi “nascosti” tra i due protagonisti (in modo analogo a quanto visto tra Ellie e Joel in The Last of Us), ma durante ciascuna sezione che li vede agire in simultanea assisteremo ad una pioggia di battute taglienti, citazioni, domande e risposte. Il che può sembrare una scelta marginale a prima vista, ma oltre a fornire ulteriori dettagli su alcuni aspetti secondari della trama, è la dimostrazione perfetta dell’operato di Druckmann all’interno del capitolo: del resto, come non aspettarsi che due fratelli che non si vedono da quindici anni non abbiamo milioni di cose da dirsi, anche nelle situazioni più critiche e delicate?

Il tocco di Neil Druckmann vale l’intero prezzo del biglietto.

Tra una punzecchiata e l’altra, non è raro che sia proprio Sam a suggerirci cosa fare o dove andare. Questo perché, a testimonianza del cammino di evoluzione intrapreso dallo sviluppatore californiano, non mancano affatto novità in termini di gameplay. La prima, e forse la più evidente, è l’abbandono della linearità degli scenari – riscontrata negli episodi precedenti – in favore di un approccio a più dimensioni, che pur non essendo dichiaratamente open world inganna sapientemente il giocatore mettendolo sovente di fronte a bivi e biforcazioni. Non stiamo dicendo certo che mancano sezioni leggermente scriptate o, per intenderci, dove ci si muove in un enorme corridoio: tuttavia, gran parte dell’esplorazione all’aperto permette a Nathan di scegliere tra più alternative possibili, sfruttando a seconda dei casi le sue doti di arrampicatore o, all’evenienza, alcuni gingilli nuovi come il rampino e il chiodo da scalata. La diversificazione dei percorsi dona notevole profondità all’azione, e permette a chi gioca di gestire un approccio del tutto differente in base ai propri gusti: nessuno vieterà infatti di affrontare uno dei numerosi avamposti nemici mantenendo un profilo stealth, magari sfruttando l’erba alta per nascondersi agli occhi dei soldati e il rampino per muoversi velocemente da un punto all’altro, piuttosto che il classico approccio action con spalle appoggiate alla prima copertura valida e fuoco a volontà.

A tal riguardo, è bene evidenziare alcune novità del combat system di Uncharted 4: per prima cosa, sarà possibile effettuare un tag dei nemici nell’area in modo analogo a quanto visto in altri shooter in terza persona. Un piccolo triangolo bianco apparirà sopra il capo del nostro bersaglio, che tuttavia non apparirà “visibile” come sagoma attraverso muri o pareti: a nostro modo di vedere, il compromesso scelto da Naughty Dog non solo è azzeccato, ma giova in modo sensibile al gameplay generale, costringendo chi stringe il pad tra le mani ad un minimo di attenzione mentre analizza lo spostamento dei nemici taggati. Ciascuno di questi, dal canto proprio, è equipaggiato con una sorta di indicatore che si riempie in modo progressivo qualora Nate si trovi all’interno del suo campo visivo. Dovesse essere notato un movimento inaspettato o una sagoma minacciosa oltre una certa soglia di tempo, il suddetto indicatore diverrà giallo e, per tutta risposta, il soldato nemico inizierà a perlustrare la zona di interesse. Toccherà a noi sfuggire dall’area, facendo rientrare l’emergenza, o abbattere l’ostacolo di turno senza farsi beccare dai rimanenti nemici. In caso contrario, l’intera squadra sarà allertata e inizierà a piovere piombo da ogni angolo.

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Nessun problema, direte voi. Beh, piano con l’ottimismo: il lavoro di revisione del team di sviluppo ha toccato da vicino anche l’Intelligenza Artificiale delle controparti avversarie, che pur non essendo quanto di più sofisticato si sia visto nel genere action riesce comunque a dare del sano filo da torcere al giocatore più navigato. Restare fermi in una posizione coperta e sparare a destra e manca si traduce in un rapido fallimento, laddove gran parte delle coperture presenti nello scenario sono distruttibili e, cosa non da poco, i nostri inseguitori hanno il sano vizio di muoversi nell’area nel tentativo di accerchiarci. Capiterà infatti spesso di essere impegnati a colpire teste di miliziani posti di fronte a noi lasciando del tutto scoperte le spalle al corazzato di turno, a cui basterà un solo colpo di fucile a pompa per spedirci nell’Aldilà in compagnia di Avery. Maggiore sarà la difficoltà selezionata (cinque sono i livelli disponibili all’avvio della partita, con l’ultimo che non permette nemmeno di effettuare il citato tag), maggiore sarà l’indole nemica di muoversi, braccarci e gettare granate come se non ci fosse un domani. Lo stesso discorso si applica nelle fasi di allerta, quando li vedremo cercarci con estrema solerzia e colpo rigorosamente in canna. Da questo, dovreste intuire da soli l’importanza del level design nell’approccio offensivo, visto e considerato che un paio di uccisioni stealth sfruttando la conformazione dell’area in cui ci si trova, a ben vedere, potrebbero permettervi di portare la pellaccia a casa.

Level design che, ormai l’avrete capito, rappresenta uno dei piatti forti di questo epilogo. Se già nelle passate declinazioni il talento e l’ispirazione dello sviluppatore erano praticamente sotto gli occhi di tutti, forti di un livello di dettaglio maniacale e di una carica emozionale così dirompente da trasmettere la sensazione di essere davvero dentro lo schermo, in Uncharted 4 tutto viene ulteriormente amplificato e portato a livelli inimmaginabili. Se della forte verticalità degli scenari e dei suoi effluvi positivi sulle meccaniche di gioco (arrampicata in primis, resa ancora più fluida e reale) abbiamo già parlato, è impossibile non rimanere impietriti di fronte alla vastità e alla magnificenza di ciascuna location. Italia, Scozia, Madagascar: un giro per il mondo memorabile, in grado di regalare scorci da cartolina ad ogni passo – difficile non ritrovarsi con centinaia di screenshot effettuati tramite il Photo Mode, tanto i panorami saranno unici. Le dimensioni delle mappe, specie le esterne, crescono a dismisura: è il caso di King’s Bay, giusto per citare un esempio, così vasta ed esplorabile che richiede per forza di guidare una jeep per raggiungere il nostro obiettivo. Non fosse che nel mezzo di questa arida terra rossa africana sono disponibili rovine e manufatti antichi, al cui interno è probabile trovare tesori e altri collezionabili interessanti, come le Pagine del Diario.

Difficile non ritrovarsi con centinaia di screenshot effettuati tramite il Photo Mode, tanto i panorami saranno unici.

Risultato? Vi ritroverete a guidare la jeep come forsennati, lasciandovi stupire dal sole che splende sulle pendici di un vulcano e, all’occorrenza, sfruttando il verricello tanto odiato da Sully per calarvi in un pozzo o per abbattere piloni di legno marcio di un ponte a pezzi. Shooting ed esplorazione non sono solo bilanciati alla perfezione, ma si amalgamano a vicenda in un connubio equilibrato di giocabilità, divertimento e profondità. Non ci si annoia un solo attimo, sia che si stia sparando dalla sommità di una torre piratesca sia che, dentro quella stessa torre, si cerchi un modo per risolvere l’ennesimo enigma di fronte ai nostri occhi. Perché lo sapete tutti, Uncharted non sarebbe tale se non ci fossero svariati indovinelli, puzzle e sfide da risolvere. E anche questa Fine di un Ladro non si tira certo indietro, offrendo una sapiente alternanza di enigmi ambientali tradizionali e prove logiche, dove il semplice “tentare finché non si risolve” non porta da nessuna parte e, inesorabilmente, tocca spremere le meningi. Va da sé che, nel complesso, il livello di sfida offerto dalla componente puzzle non richiede una laurea in criminologia per esser superato: l’intrinseca astuzia di alcuni, tuttavia, regala una soddisfazione non certo trascurabile.

Tutto questo ben di Dio gioca decisamente a favore della longevità del titolo, che si assesta a livello normale attorno alle 15 ore. Si tratta di una run notevole, destinata ad allungarsi ulteriormente qualora la caccia ai collezionabili rappresenti uno dei vostri imperativi: i 109 tesori segreti, alcuni dislocati con insano sadismo dal team di sviluppo, vanno a braccetto con un buon set di conversazioni facoltative tra i protagonisti e svariate decine di pagine di diario, fondamentali per apprezzare l’intricato contesto storiografico su cui si basa il titolo. Man mano che questi vengono raccolti, verranno sbloccate contestualmente gallerie speciali, contenenti bozzetti preliminari su personaggi, location, navi piratesche e molte altre diavolerie inerenti l’universo del pirata Avery. Nettamente più interessante, soprattutto in termini di rigiocabilità, è la possibilità di sbloccare modalità di gioco alternative che, previa un utilizzo geniale di filtri grafici, rendono il tutto ancor più divertente: riuscite ad immaginare Uncharted 4 in cell shading o addirittura in una strepitosa variante a 8 bit? A queste si aggiungono chicche esilaranti, come la modalità a gravità zero o una sorta di mirror world entro cui muoversi, a cui si aggiunge la già citata –  ed efficientissima – modalità fotografica. Difficilmente, una volta terminato il gioco, raggiungerete i credits con ciascuna di queste brillanti alternative: ma vuoi per la curiosità, vuoi per alcune trovate da Nobel, sarà parimenti impossibile non farci più di qualche capatina.

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Prima di approfondire il dettaglio tecnologico di Uncharted 4 spendiamo un paio di parole sulla ricca offerta multiplayer del titolo – che abbiamo potuto testare soltanto parzialmente, vista la naturale assenza di giocatori connessi durante il nostro periodo di prova. La componente online del titolo si basa su un’idea brillante, abbassare leggermente il dettaglio grafico in modo da garantire 60 frame al secondo in qualsiasi situazione: la perdita visiva è davvero marginale, ma la velocità e la reattività del gioco agli input valgono abbondantemente questo piccolo sacrificio. Le mappe disponibili al lancio (dopo aver scaricato una patch day one di circa 5 gigabyte) saranno otto, affrontabili in tre modalità differenti. La prima, Deathmatch a squadre (nella doppia variante 5 contro 5 classificato e non), non ha certo bisogno di presentazioni e ricalca il solco tracciato dall’ottimo multi del precedente episodio maggiore. Lo stesso discorso vale per Controllo, classica modalità di gioco dove sarà necessario conquistare specifici punti della mappa per il maggior tempo possibile, aumentando il bottino di punti raccolti abbattendo il leader avversario. Chiude il trittico Saccheggio, una rivisitazione del tradizionale Cattura la Bandiera dove, comprensibilmente, stavolta la bandiera viene sostituita da un Idolo prezioso.

Premesso che sarà possibile indossare i panni di praticamente tutti i personaggi (buoni e non) apparsi nei capitoli precedenti del franchise, la meccanica alla base di ciascuna modalità appena esposta è oltremodo intelligente: ogni uccisione sul campo premia il giocatore con un quantitativo variabile di denaro virtuale da investire nell’acquisto di perk temporanei (i cosiddetti Mistical), e armamento potenziato o, cosa più interessante, per assoldare un Alleato controllato da CPU che ci assista nel corso delle sparatorie. Esistono quattro tipologie di Sidekick disponibili nel gioco, precisamente Cecchino, Medico, Cacciatore e Corazzato: ciascuno di questi gode chiaramente di specialità e skill differenti, a cui ricorrere con oculatezza in base alla propria strategia di gara. Ricordiamo infine, sempre rimanendo in tema online, che le future mappe e i DLC aggiuntivi (tra cui quello che aggiunge la variante cooperativa della storia principale) saranno disponibili a partire dall’estate, a costo zero per il giocatore. Discorso diverso per il primo DLC single player di Uncharted 4, previsto a pagamento per il prossimo autunno e di cui non mancheremo certo di parlarvi.

Tutto questo ben di Dio gioca decisamente a favore della longevità del titolo, che si assesta a livello normale attorno alle 15 ore.

Per quanto concerne l’impianto tecnologico, a ben vedere, rischieremmo di annoiarvi con centinaia e centinaia di parole, girando attorno ad un concetto quantomai evidente: Uncharted 4 è quanto di meglio possiate attualmente trovare nel panorama console. Naughty Dog alza ulteriormente l’asticella, portando alla luce un’opera che eccelle sotto ogni punto di vista: qualità dell’immagine, cura dei dettagli, espressività dei volti e maniacale realismo delle animazioni. All’interno di Fine di un Ladro c’è praticamente tutto quello che potreste pretendere da un titolo tripla A current gen: un sistema di illuminazione dinamico strepitoso, un filtro cinematografico delle grandi occasioni che non ha nulla da invidiare alle pellicole hollywoodiane più blasonate, una riproposizione di ambienti aperti e strutture secolari interne dettagliatissime e sempre diverse una dall’altra. I tanto “odiati” ritardi sulla consegna del prodotto definitivo, a quanto pare, hanno permesso a Naughty Dog di sbizzarrirsi nella pulizia e nell’ottimizzazione di quanto svolto nei mesi precedenti, e il risultato parla da sé praticamente in ogni schermata.

Davvero, appare quasi inutile elencare anche solo alcune delle tantissime sofisticherie, come le righe d’espressione nei volti di chi parla, il luccichio dei relativi occhi nelle situazioni di forte stress emotivo, gli effetti particellari che accompagnano magistralmente sparatorie ed esplosioni o, tanto per dire, la bellezza del mercato di King’s Bay e il reale fuggi fuggi generale che si scatena all’esplodere del primo proiettile. Ogni cosa è al proprio posto, realizzata nel migliore dei modi possibile. Resta forse un leggerissimo amaro in bocca per quei 30 frame granitici che vanno a braccetto coi 1080p della produzione: difficile comunque chiedere di più, visto il risultato raggiunto questa volta. Nulla da dire infine sul versante sonoro di Uncharted 4, che vanta una colonna sonora come da tradizione sopra le righe (il passaggio di testimone da Edmonson a Jackman non poteva essere migliore) e un doppiaggio in lingua italiana ancora una volta ben al di sopra dei migliori standard nostrani. Per i giocatori più anglofili consigliano l’ascolto in lingua originale, laddove le voci di Nolan North e soci raggiungono standard elevatissimi ed esaltano il lavoro eccelso di lip-sync svolto dallo sviluppatore. Sì, insomma, Uncharted 4: Fine di un Ladro è un piccolo prodigio tecnologico: aveste avuto anche un solo dubbio, probabilmente non conoscevate abbastanza la nomea di Naughty Dog.

Conclusioni

Non è mai facile dire addio, svegliarsi una mattina con la consapevolezza che, in un modo o nell’altro, qualcosa che per lungo tempo ha accompagnato la tua vita non sarà più con te, se non sotto forma di ricordo meraviglioso. Per quanto possa sembrare patetico, tutto questo si applica anche all’universo dei videogiochi e, in modo particolare, alla serie di Uncharted. Negli ultimi nove anni, le gesta di Nathan Drake sono divenute un appuntamento fisso ed imprescindibile per i possessori di console PlayStation, che hanno trovato nell’istrionico esploratore non solo un’icona di indubbio fascino e carisma, ma per certi versi la “personificazione” di alcuni momenti della propria infanzia, quando le cacce al tesoro erano all’ordine del giorno e bastava una semplice moneta in disuso nascosta chissà dove per dare il via ad un viaggio indimenticabile.

Uncharted, in questi nove anni, è stato tutto questo. Avventura, esplorazione, scoperta: potremmo affermare tranquillamente la quintessenza di queste cose – e forse, proprio per questo, è stato capace di instaurarsi nei cuori di milioni di giocatori sin dal primissimo capitolo. Più che naturale, per quanto amaro possa essere, attendersi una conclusione degna di tale nome: un ultimo saluto memorabile, di quelli che ti fanno bagnare gli occhi e che, con un retrogusto agrodolce in bocca, ti accompagnano da qui alla fine della tua carriera di videogiocatore. Ed è proprio quanto ha fatto Naughty Dog con Uncharted 4: Fine di un Ladro, un epilogo sontuoso e avvincente ma allo stesso tempo intimo e delicato, che con la regia gentile (e permetteteci, meravigliosa) di Neil Druckmann celebra al meglio l’uscita di scena di uno degli eroi videoludici moderni più amati. Perché lo ripetiamo, non è mai facile salutarsi definitivamente dopo un lungo viaggio: ma per quanto meravigliosa possa essere la meta conclusiva, quello che conta è il cammino fatto assieme. E quello con Nathan Drake non ce lo dimenticheremo facilmente.